Il Cosmo è più vuoto del previsto

Qualcuno un giorno disse che “lo Spazio è la cosa vuota più affascinante che l’umanità abbia mai conosciuto”. Nella realtà dei fatti, quegli spazi neri tra astri e pianeti sono colmi di materia che, invisibile all’occhio umano, si rivela nella sua complessità alle sofisticate strumentazioni degli astrofisici.

Un team di astronomi della Minnesota University (USA) ha però recentemente scoperto un’area del cosmo molto estesa e completamente vuota, dal sorprendente diametro di un miliardo di anni luce. In questa zona del Cosmo gli strumenti non hanno rilevato né la presenza di materia comune (pianeti, stelle) né tantomeno la presenza di materia oscura.
Questo enorme “nulla” dista circa 7 miliardi di anni luce dalla Terra, ed è stato localizzato nel settore della costellazione di Eridano grazie allo studio incrociato di migliaia di informazioni fornite dai 27 radiotelescopi del VLA in Messico (Very Large Array).

Per Lawrence Rudnick, coordinatore del team di ricerca, le scoperta di questo immenso “nulla” è senza precedenti: “Se potessimo viaggiare alla velocità della luce, impiegheremmo diversi anni per raggiungere le stelle più prossime a noi della Via Lattea. Ma se entrassimo nella ‘zona vuota’ appena scoperta, dovremmo viaggiare per un miliardo di anni per percorrerla tutta da un capo all’altro”.

Coldarea La scoperta potrebbe fornire importanti risposte per lo studio della radiazione cosmica di fondo, l’impronta termica lasciata dall’immensa quantità di energia sprigionata miliardi di anni fa dal Big Bang. Il “nulla” identificato dai ricercatori del Minnesota si trova, infatti, in un’area molto studiata dagli astrofisici perché più fredda rispetto alla temperatura media della radiazione cosmica di fondo.
Secondo molti scienziati, questa differenza di temperatura sarebbe imputabile alla misteriosa energia oscura, indicata come la prima responsabile nell’accelerazione della crescita dell’intero Universo. Si ipotizza che, passando attraverso il vuoto, le particelle di luce perdano una maggiore quantità di energia lasciando l’enorme “zona vuota” più fredda.

I risultati della ricerca degli astrofisici del Minnesota potrebbero rivelarsi fondamentali per comprendere le dinamiche che hanno portato alla nascita dell’Universo e alla sua espansione. La strada è ancora lunga, ma una cosa è certa: da oggi l’energia oscura sarà un po’ meno… oscura.

Geniali scarafaggi, ma solo di notte

Gli scarafaggi diventano molto più intelligenti dopo il tramonto. Un gruppo di ricercatori è giunto a questa inquietante conclusione attraverso una lunga serie di esperimenti condotti su alcuni esemplari di scarafaggio.

Esemplare di Leucophaea maderaeIntenzionati a comprendere il meccanismo della “memoria olfattiva” degli insetti, un team di ricercatori della Vanderbilt University (Nashville – USA) ha condotto alcuni test su un particolare esemplare di scarafaggio, il Leucophaea maderae.
In una prima fase sperimentale, diurna, gli scarafaggi sono stati “istruiti” per riconoscere le essenze di vaniglia e menta, allo scopo di registrare le capacità della loro memoria a breve termine. Lasciati liberi di scegliere un’essenza, gli scarafaggi hanno dimostrato interesse per la vaniglia, molto più zuccherina della menta. Dopo circa 30 minuti, questi insetti hanno però perso la capacità di ricordare quale fosse la sostanza con una maggiore quantità di zucchero, e sono così tornati al normale comportamento per prove ed errori.

Nella seconda fase di test, svolta di notte, i ricercatori hanno condizionato il comportamento degli scarafaggi associando alla menta uno stimolo positivo grazie all’aggiunta di zucchero, e alla vaniglia uno stimolo negativo grazie all’aggiunta di una soluzione ricca di sale.
Dopo aver imparato a distinguere i due odori, gli scarafaggi hanno concentrato il loro interesse sulla menta, ignorando completamente l’aroma di vaniglia. A differenza del test effettuato in orario diurno, gli insetti hanno mantenuto in memoria ciò che avevano imparato quella notte per le 48 ore successive.

coverpnas.gifCon il loro esperimento, pubblicato sul volume di settembre della rivista Proceedings of the National Academy of Sciences (PNAS), i ricercatori della Vanderbilt University hanno dimostrato come per gli insetti la capacità di acquisire e mantenere un ricordo sia strettamente legata ai ritmi circadiani, ovvero alle diverse fasi dei processi fisiologici che si susseguono nelle 24 ore di una giornata.
Come ha evidenziato l’esperienza in laboratorio, nelle fasi notturne dei loro cicli circadiani gli scarafaggi sono più attenti e “lucidi” per immagazzinare dati e informazioni sul mondo che li circonda. La scelta di questi fastidiosi insetti di compiere le loro scorribande in orario notturno potrebbe essere quindi legata alla capacità di apprendere e ricordare dati con più facilità, e non al timore di essere scoperti e sterminati da un’altra specie, magari armata di insetticida…

Deodoranti per ambienti, cancerogeni?

Il mercato dei deodoranti per ambiente è in continua crescita, molto diffusi negli Stati Uniti, questi spray per “rinfrescare” l’aria di casa stanno conquistando i mercati europei. Alcuni promettono di impreziosire l’aria con delicate fragranze, altri ancora sono magnificati per la loro capacità di dissolvere gli odori e non mancano gli spray per tessuti contro l’odore di fumo e fritto.
Vaporizzare uno di questi deodoranti è semplice quanto bere un bicchiere d’acqua, ma quanto sono sicure per la nostra salute le fragranze chimiche contenute nelle bombolette?

Struttura chimica degli ftalati [credit: Wikipedia]Uno studio pubblicato la scorsa settimana negli Stati Uniti dal Natural Resources Defense Council (NRDC) ha testato 14 tipi diversi di deodoranti per ambiente, scoprendo che dodici di essi contengono ftalati, i composti chimici utilizzati nell’industria delle materie plastiche per migliorarne la flessibilità e la modellabilità.
Presenti anche nei cosmetici, nelle vernici e in alcuni giocattoli per bambini, gli ftalati sono da tempo al centro di numerosi dibattiti sulla loro sicurezza per l’organismo umano. Numerosi studi hanno suggerito un legame, almeno indiretto, tra un’alta esposizione agli ftalati e l’insorgenza di gravi patologie come il cancro e deformazioni agli apparati sessuali nei bambini.
Mentre negli Stati Uniti non esiste alcuna regolamentazione per l’uso degli ftalati (ogni Stato applica autonomamente propri regolamenti in materia), dal 2004 l’Unione Europea ha vietato l’utilizzo di due tipi di ftalati utilizzati come ingredienti per i cosmetici e per la costruzione dei giocattoli per neonati.

spray.jpgGli ftalati sono stati ritrovati anche nei deodoranti esplicitamente dichiarati “naturali” o “privi di profumazione”, in una concentrazione che in alcuni caso ha raggiunto 7.330 parti per milione. Molti dei deodoranti per ambiente contengono il DEP, un tipo di ftalato sospettato di creare gravi disfunzioni a livello ormonale.
In seguito all’indagine della NRDC, i produttori di deodoranti coinvolti hanno espresso l’intenzione di voler ripetere i test presso un laboratorio indipendente.

La ricercatrice del Natural Resources Defense Council, Gina Solomon, difende il suo operato: “Non abbiamo affermato che ci sia una prova chiara e incontrovertibile sulla possibile tossicità di questi prodotti. Tuttavia, consigliamo ai consumatori di non abusare con l’utilizzo di questi deodoranti finché non sarà fatta sufficiente chiarezza sul tema.”
La ricerca del NRDC ha riaperto l’annoso dibattito sulla pericolosità degli ftalati. Mentre alcuni studi sui roditori hanno evidenziato che un’elevata esposizione agli ftalati può causare danni ai reni, ai polmoni, al fegato e allo sviluppo completo delle ghiandole sessuali, una ricerca simile condotta da un team di ricercatori giapponesi su una specie di primati non ha evidenziato insorgenze di patologie gravi, né cancerogene né legate agli organi sessuali.

[fonte: Time]

Stazioni radiofoniche nello spazio

Rappresentazione artistica di un’emissione radio nel Cosmo [photo credit: NASA/CXC/M. Weiss, via Science]Giunge dal Cosmo un nuovo rompicapo per gli astronomi. Studiando numerosi dati appartenenti a una recente mappatura di una porzione di cielo, un gruppo di ricercatori ha identificato un’enorme e fulminea emissione di onde radio unica nel suo genere e della durata di pochi millesimi di secondo.
Scoprire l’origine di questa insolita “trasmissione” potrebbe fornire nuove informazioni per comprendere il funzionamento delle stelle di neutroni e dei buchi neri.

Migliaia di onde radio attraversano in ogni istante l’Universo, lasciando un’impronta inconfondibile del loro passaggio. Alcuni segnali sono molto deboli e difficili da percepire, come le emissioni originate dalle sonde spaziali Voyager e le Pioneer che viaggiano nel Cosmo ormai da decine di anni, mentre altri sono estremamente potenti come quelli originati dalle stelle di neutroni.
Il misterioso segnale captato recentemente parrebbe essere molto diverso dalle tradizionali emissioni registrate nello Spazio. Nei suoi 5 millesimi di secondo di trasmissione, il segnale radio ha emesso una quantità di energia pari a quella prodotta dal Sole in un mese intero.

Una delle antenne del radiotelescopio di ParkesAttraverso un’attenta analisi dei dati ricevuti dal radiotelescopio di Parkes (Australia), un gruppo di astrofisici guidati da Duncan Lorimer (West Virginia University – USA) ha stimato la posizione del punto di origine dell’emissione radio a tre miliardi di anni luce di distanza dalla Terra.
Secondo i ricercatori solo due fenomeni celesti potrebbero essere alla base dell’incredibile emissione di onde radio: una fusione tra due stelle di neutroni estremamente dense, oppure la definitiva scomparsa di un buco nero.

Dopo aver pubblicato i risultati della sua ricerca sulla rivista scientifica Science, Lorimer intende approfondire lo studio dei dati forniti dai radiotelescopi australiani, confrontandoli poi con le informazioni raccolte dall’Allen Telescope in California (USA).
Se le ipotesi di Lorimer saranno confermate, l’insolita emissione di onde radio potrà aprire un nuovo capitolo nell’affascinante e complesso studio delle incredibili forze che diedero origine all’Universo.

La notte dei ricercatori è tutta in Piemonte

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Seguendo l’invito della Commissione Europea, anche quest’anno il Piemonte accoglie la Notte dei Ricercatori. Oggi, 28 settembre, le città di Torino, Alessandria, Biella e Vercelli ospitano un’intera notte di feste e incontri per far scoprire a tutti il meraviglioso e affascinante mondo della ricerca.

Nata dalla collaborazione tra numerosi enti attivi nella ricerca, nell’innovazione, nell’istruzione e nella divulgazione scientifica, la Notte dei Ricercatori costituisce un appuntamento imperdibile per tutti gli appassionati di scienza desiderosi di imparare qualcosa sui risultati della ricerca che un giorno potrebbero cambiare la vita di tutti.
Sotto la guida attenta dei ricercatori italiani, i “non addetti ai lavori” potranno entrare in contatto con i principali fondamenti scientifici, in un percorso semplice e divertente tra i diversi campi di applicazione della ricerca.

Sul sito italiano della Notte dei Ricercatori trovate il programma dettagliato delle iniziative organizzate nelle città piemontesi che partecipano all’iniziativa.
La Scienza può essere davvero divertente!

Cocktail oceanico

“Perché non mischiamo le acque degli oceani per raffreddare il Pianeta?”
Questa la singolare proposta espressa da James Lovelock e Chris Rapley in una lettera aperta alla prestigiosa rivista scientifica Nature.

Schema del ciclo di emissione e assorbimento di CO2 degli oceani [photo credit: Planktos.com]Secondo Lovelock, passato alla cronaca per la sua controversa teoria sulla capacità della Terra di “curarsi” da sola, e il curatore del London Science Museum Rapley, si potrebbero utilizzare delle imponenti tubature verticali per mescolare le acque ricche di nutrienti vegetali dei fondali marini con le acque di superficie, meno dense e povere di vegetazione. Ciò comporterebbe un maggior consumo di anidride carbonica (CO2) grazie alla fotosintesi delle alghe, con un conseguente abbattimento della concentrazione di gas serra nell’atmosfera.
Nella loro lettera aperta pubblicata su Nature, i due autori ammettono che quella del “cocktail oceanico” sia ancora una semplice idea, perfetta nella teoria, ma difficile da applicare nella pratica. Lovelock e Rapley sono però convinti che solamente utilizzando le enormi potenzialità naturali ed energetiche del Pianeta sarà possibile arrestare il surriscaldamento globale.

Sommità di un “pozzo di pompaggio oceanico” [photo credit: Atmocean]Quella di mescolare le acque degli oceani può apparire un’idea balzana e irrealizzabile, eppure un’azienda di Santa Fe (New Mexico – USA) sta cercando già da alcuni mesi di creare un sistema per il pompaggio verticale dell’acqua oceanica.
Secondo Phil Kithil, amministratore delegato della Atmocean, un utilizzo intensivo dei sistemi di pompaggio potrebbe raddoppiare la capacità degli oceani di sottrarre anidride carbonica dall’atmosfera. La sua azienda ha già sviluppato un particolare tipo di tubi galleggianti larghi tre metri e lunghi 300m in grado di svolgere perfettamente il compito suggerito da Lovelock e Rapley.

L’idea di rendere più fertile gli oceani per aumentare la loro capacità di assorbimento dell’anidride carbonica non è una novità. Il biologo ed oceanografo David Karl (University of Hawaii, USA) si dedica da molti anni allo studio delle alghe e dei loro nutrienti coinvolti nei cicli di emissione e assorbimento della CO2.
Interessato a misurare l’effettiva capacità delle acque oceaniche di “ripulire l’aria”, il prossimo anno Karl condurrà un esperimento su larga scala utilizzando le strumentazioni messe a disposizione dalla Atmocean. Raccolti i dati, Karl cercherà poi di calcolare il bilancio finale del processo comparando la quantità di anidride carbonica riportata in superficie dalle profondità oceaniche con quella effettivamente assorbita dalle alghe.

onda.jpgAlcuni scienziati temono infatti che il bilancio finale del processo proposto da Lovelock e Rapley possa essere negativo.
Secondo i detrattori del “cocktail oceanico”, le sostanze presenti nelle profondità oceaniche contengono ingenti quantità di anidride carbonica che, una volta portate in superficie a una pressione molto più bassa, potrebbe liberarsi rapidamente nell’atmosfera come avviene con le bollicine in un bicchiere d’acqua gassata.
Inoltre, per estrarre l’acqua dalle profondità oceaniche sarebbero necessarie ingenti quantità di energia che, allo stato, non potrebbero essere ottenute da fonti rinnovabili e a basso impatto (anche se la Atmocean afferma che per il suo sistema sia sufficiente l’energia fornita dai moti ondosi).
Nonostante le numerose stroncature di questa teoria, David Karl prosegue con pionieristico ottimismo le sue ricerche: “È un progetto magnifico, anche se so che potrebbero esserci forti difficoltà per tramutare la teoria nella pratica…”