Palloni aerostatici: la nuova frontiera dell’astronomia

Nei primi giorni di ottobre, un enorme pallone aerostatico ampio 100 metri è stato fatto decollare dai cieli del New Mexico, con a bordo 2.500 chilogrammi di materiale per rilevazioni scientifiche.
Questo curioso lancio fa parte di una serie di test preliminari della missione Sunrise, ideata con l’intento di scattare le migliori fotografie mai realizzate del Sole. Queste immagini ad altissima definizione verranno utilizzate per comprendere meglio la possente e caotica struttura del campo magnetico solare, in grado di scatenare violente tempeste che talvolta coinvolgono anche il nostro pianeta.

Il pallone aerostatico lanciato dal New Mexico [credit: Carlye Calvin, UCAR]Il successo del progetto non solo consentirebbe di comprendere alcune caratteristiche della nostra stella, ma potrebbe anche costituire il punto di partenza per una nuova era dell’astronomia, basata sull’utilizzo di efficienti ed economici palloni aerostatici.
Il lancio ufficiale della missione Sunrise è previsto per l’estate del 2009, quando un pallone, equipaggiato con un potente telescopio, sarà lanciato dalla Svezia e portato a una quota di 37 chilometri d’altezza.
Assicurato a un complesso sistema di giroscopi, implementati per rendere minime le vibrazioni, il telescopio sarà in grado di scattare fotografie della superficie solare cogliendo dettagli fino a 30 chilometri di grandezza, sbaragliando di ben quattro volte la concorrenza del miglior telescopio puntato sul Sole in orbita intorno alla Terra. Non male per uno zoom che guarda a quasi 150 milioni di chilometri di distanza…

Ascesa del pallone aerostatico con la strumentazione per i rilevamenti [credit: Carlye Calvin, ©UCAR]Il test, realizzato nei primi giorni di ottobre, ha avuto esiti molto incoraggianti per le sorti del progetto. Riempito di elio, il pallone sì è librato nei cieli del New Mexico a una velocità di 18 chilometri orari. Abbandonata parte della zavorra, il pallone si è poi stabilizzato a un’altitudine di 37 chilometri, lasciandosi trasportare dolcemente dai venti di alta quota.
Sfortunatamente le basse temperature, circa -70°C, hanno compresso parte della strumentazione elettronica che non ha consentito di rilevare tutti i dati inviati dal pallone a terra.
Dopo circa 10 ore i ricercatori hanno interrotto l’esperimento, facendo saltare alcune cariche esplosive per distaccare le strumentazioni dal pallone. Queste sono atterrate regolarmente grazie ad alcuni paracadute che ne hanno addolcito la discesa, mentre il pallone è rimasto in quota più a lungo per poi raggiungere nuovamente il suolo.

Secondo Michael Knölker, responsabile del progetto e direttore dell’High Altitude Observatory del National Center for Atmospheric Research (NCAR) del Colorado, il costo complessivo della missione potrà aggirarsi sui 100 milioni di dollari, una missione spaziale equivalente costerebbe almeno dieci volte tanto. All’ambiziosa e innovativa ricerca partecipano alcuni enti europei e la NASA, molto interessati alle potenzialità di questo nuovo modo di “fare” astronomia.

Dalle falene e dalle cicale una nuova tecnologia per i pannelli solari

Progettare pannelli solari più efficienti parrebbe una questione legata alla chimica e all’elettronica, ma non per un gruppo di ingegneri della University of Florida intenti a studiare le proprietà di alcuni insetti, che potrebbero portare a un sensibile miglioramento nell’efficienza dei pannelli fotovoltaici.
Secondo Peng Jiang, ingegnere chimico alla guida del progetto, le particolari strutture degli occhi delle falene (le “farfalle notturne”) e delle ali delle cicale potrebbero portare alla creazione di una nuova generazione di pannelli solari, dotati di un innovativo rivestimento anti-riflesso e completamente idrorepellente.

Nei laboratori, alla ricerca dei segreti della Natura… [credit: Photo: © Ray Carson, University of Florida]“La Natura è una grande innovatrice” ha dichiarato entusiasta Jiang. “Ciò che davvero mi interessa è imitare il più fedelmente possibile le strutture di alcuni sistemi biologici, per poterle poi impiegare negli oggetti che utilizziamo quotidianamente”.
Pubblicata sulla rivista scientifica Physics Letters, la ricerca di Jiang è focalizzata su una nuova tecnica costruttiva per produrre un rivestimento caratterizzato da una struttura microscopica molto simile a quella degli occhi delle falene. Gli organi della vista di questi insetti sono organizzati in un fitto reticolo di settori esagonali. Ogni settore è a sua volta strutturato in migliaia di minuscoli rigonfiamenti, con un diametro di meno di 300 nanometri (un nanometro corrisponde a un milionesimo di millimetro) visibile solo attraverso le potenti lenti dei microscopi elettronici.
Quando le falene sono esposte alla luce, queste minuscole migliaia di protuberanze interferiscono con la sua trasmissione e rifrazione assorbendola completamente. Secondo gli entomologi, questa particolare proprietà consentirebbe alle falene di vedere anche in presenza di pochissima luce, evitando allo stesso tempo di creare riflessi che potrebbero essere colti dai famelici predatori notturni.

Particolare al microscopio elettronico di un occhio di falena [credit: Scharfphoto.com]Per replicare questa particolare struttura nei rivestimenti dei pannelli solari, Jiang ha elaborato una semplicissima ed economica procedura. La cellula fotovoltaica da trattare viene collocata sopra a un comunissimo rotore. Dopodiché si procede a cospargere la superficie con una sospensione di nanoparticelle (un particolare liquido denso di particelle minuscole). Attivando il rotore, la cellula ruota molto velocemente generando una forte forza centrifuga che distribuisce uniformemente il liquido sulla sua superficie. Una volta asciutto, il liquido solidifica costituendo uno strato con una struttura del tutto simile a quella degli occhi delle falene.
Utilizzando questa tecnica, Jiang è riuscito a creare superfici antiriflesso adatte non solo ai pannelli fotovoltaici, ma anche agli schermi dei monitor, ai vetri e alle lenti degli occhiali.

Particolare della superficie di un’ala di cicalaFiero della sua scoperta, Jiang ha poi utilizzato la medesima procedura per applicare un ulteriore strato ai pannelli fotovoltaici, questa volta basato sulla struttura delle ali delle cicale.
Le ali di questi insetti sono infatti incredibilmente idrorepellenti per resistere agli ambienti umidi in cui spesso vivono. La loro struttura è molto simile a quella degli occhi delle falene, ma non viene utilizzata tanto per assorbire la luce, quanto per non far aderire l’acqua, che così resta sospesa su un sottilissimo strato d’aria creato dalle migliaia di minuscole protuberanze. Copiando ancora una volta la Natura, Jiang ha ottenuto una superficie in grado di repellere l’acqua con un’efficienza sorprendente.

I rivestimenti sviluppati da Jiang e il suo team potranno essere applicati per ottimizzare la resa dei pannelli solari. Gli attuali strati con cui sono rivestiti riflettono più del 10% della luce che ricevono, limitando considerevolmente l’efficienza di ogni pannello. Con il “rivestimento falena/cicala” i ricercatori sono riusciti ad abbattere ad appena il 2% la quantità di luce riflessa. Inoltre, grazie alle sue proprietà idrorepellenti, i costi di manutenzione per ripulire e mantenere efficienti i pannelli potrebbero essere ridotti al minimo.
La scoperta di Jiang potrà naturalmente essere applicata anche ad altri materiali, dalle banali finestre agli schermi per i computer, passando per gli occhiali da vista e i display dei cellulari.
La tecnica per “spalmare” il “rivestimento falena/cicala” deve essere ancora perfezionato, ma Jiang e i suoi colleghi sono molto ottimisti, la produzione industriale potrebbe iniziare entro pochi anni.

Satelliti NASA immortalano gli spaventosi incendi della California

Le impressionanti colonne di fumo causate dai principali incendi (in rosso) lungo la costa della California del Sud. [credit: NASA]In questi terribili giorni per lo “Stato del Sole”, devastato da una mole impressionante di incendi, i satelliti della NASA continuano a fornire suggestive e al tempo stesso inquietanti immagini dei numerosi fuochi sviluppatisi in questi giorni in California.
Sono almeno 14 gli incendi che hanno ridotto in cenere circa 1.100 chilometri quadrati di territorio tra San Diego e Los Angeles.

La magnifica area di San Diego è tra le più devastate dagli incendi, centinaia di migliaia di persone sono state costrette a sfrollare [credit: NASA]Le ultime immagini, fornite dalla NASA un giorno fa, mostrano le spesse e infernali colonne di fumo che si elevano per chilometri nei cieli della California e dell’Oceano Pacifico.
Il mix micidiale di forte siccità, vegetazione ridotta a sterili arbusti e fortissimi venti hanno contribuito a rendere devastante e inarrestabile la forza del fuoco. Secondo il National Interagency Fire Centre, i venti non diminuiranno la loro potenza fino a domani, fornendo ulteriore ossigeno alle centinaia di focolai che continuano a crescere e svilupparsi lungo centinaia di chilometri di terreno.

Le immagini fornite dai satelliti della NASA sono un’importante risorsa per valutare la vita degli incendi che devastano la California [credit: NASA]Il fumo sviluppatosi dai numero incendi si mischia con la cenere, creando colonne impressionanti di fumo, visibili a migliaia di chilometri di distanza dai satelliti della NASA. I loro particolari sensori a infrarossi e microonde sono in grado di vedere oltre le nubi e i densi strati dell’atmosfera, fornendo immagini nitide e ad altissima definizione, utili per analizzare la crescita degli incendi, così da poter mettere al sicuro la popolazione.
I sistemi satellitari sono inoltre in grado di creare particolari mappe tridimensionali della temperatura atmosferica e dell’umidità per monitorare con più precisione i cambiamenti climatici in aree specifiche ed estremamente circoscritte.

Paolo Nespoli, un italiano nello Spazio

Ricostruzione in computer graphic della ISS [credit: Esa]Lo Space Shuttle Discovery e i suoi sette membri dell’equipaggio sono regolarmente decollati ieri, martedì 23 ottobre, nei cieli tersi della Florida dal Kennedy Space Centre della NASA.
Durante i 14 giorni di missione, l’equipaggio della STS-120 continuerà la costruzione della gigantesca Stazione Spaziale Internazionale (ISS), collegando il nuovo modulo Harmony alla struttura.

Vista esplosa della ISS [credit: astronautica.us]Per ampliare la stazione orbitale, i membri della missione effettueranno cinque escursioni spaziali. Armati di pinze, chiavi e cacciaviti, provvederanno ad assemblare il nuovo modulo e a compiere alcune operazioni di manutenzione.
Lo Shuttle Discovery attraccherà alla stazione spaziale domani, giovedì 25 ottobre. Il modulo Harmony consentirà di aggiungere un importante tassello alla ISS, apportando nuove risorse per i progetti di ricerca dell’ESA, l’agenzia spaziale europea, e della Japan Aerospace Exploration Agency.

All’astronauta italiano Paolo Angelo Nespoli il difficile compito di coordinare le operazioni di assemblaggio del Nodo2 [photo credit: Wikipedia]La missione di questo Shuttle assume un valore particolare anche per l’Italia, che vede un proprio cittadino nuovamente in orbita per contribuire all’ambizioso progetto della stazione spaziale internazionale. Sarà infatti l’astronauta italiano Paolo Nespoli a occuparsi delle procedure di assemblaggio del modulo Harmony al Nodo2, uno degli angusti “corridoi” dell’ISS.
L’assemblaggio del nuovo modulo non sarà un’impresa semplice. Occorrerà adattare alcuni alloggiamenti già esistenti sulla stazione spaziale, nonché trasferire decine di metri di cavi e tubi, principalmente utilizzati per il ricircolo dell’aria. Queste delicate operazioni saranno svolte a circa 400km di altezza dal suolo, su una struttura che è ormai grande quando un campo di calcio e che orbita intorno alla Terra da circa nove anni, compiendo un giro completo del globo ogni 91,61 minuti.

Come dice il nome stesso STS-120, quella dello Shuttle appena inviato in orbita è il 120esimo volo spaziale organizzato dal programma Shuttle della NASA. Per la navetta Discovery è invece il 34esimo volo in oltre 20 anni di onorato servizio. Sempre per il gusto della statistica, ricordiamo che la missione STS-120 è il 34esimo volo organizzato dagli Stati Uniti verso la Stazione Spaziale Internazionale.

Il lancio della missione STS-120 nei cieli della Florida.

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Aumenta la produzione di Co2 sul nostro Pianeta

Un team internazionale di ricercatori ha svolto una recente analisi per verificare con quanta rapidità l’atmosfera terrestre sia in grado di assorbire l’anidride carbonica (CO2), il gas serra più diffuso in termini di volume – e le notizie non sono per niente buone.
La costante crescita delle economie mondiali emergenti sta causando un considerevole e inatteso aumento di CO2 nell’aria, ben oltre le previsioni maggiormente pessimistiche formulate negli ultimi anni.

Il clima globale terrestre si è surriscaldato nello scorso secolo, particolarmente nel corso degli ultimi 40 anni. Secondo il team di ricerca internazionale le responsabilità maggiori sarebbero da ricondurre all’attività umana, che negli ultimi decenni ha aumentato considerevolmente i livelli di CO2, ma anche di metano e altri fluorocarburi. Secondo l’Intergovernmental Panel on Climate Change delle Nazioni Unite, le attività dell’uomo sarebbero la causa principale dell’attuale surriscaldamento globale.

Nel corso degli ultimi cinquanta anni, gli scienziati hanno monitorato con particolare attenzione i cambiamenti nell’atmosfera e sono stati in grado di realizzare complessi modelli matematici e computerizzati, utili per creare proiezioni su ciò che potrebbe accadere al pianeta con i correnti livelli di emissione di CO2. I dati raccolti negli ultimi anni hanno letteralmente shockato i ricercatori. Ciò che sta accadendo in questi ultimi anni nel mondo reale sta superando di gran lunga i modelli matematici maggiormente pessimistici.

Modello molecolare dell’anidride carbonica [photo credit: Wikipedia]Le sconcertanti conclusioni del team internazionale, composto da dieci ricercatori, sono state pubblicate sulla prestigiosa rivista Proceedings of the National Academy of Sciences.
La concentrazione nell’atmosfera di particelle legate al carbone aumenta di circa 1,93 parti per milione all’anno, con un trend di crescita mai registrato prima da quando, nel 1959, gli scienziati iniziarono a registrare le emissioni di CO2 nell’atmosfera. Negli anni ’80 il livello medio era pari a 1,58 parti per milione, negli anni ’90 era invece di 1,49 parti per milione.

“Le proiezioni sull’utilizzo energetico e le emissioni di CO2 degli scorsi anni non potevano certe tener conto della rapida crescita dell’economia di quest’ultimo decennio” ha dichiarato il prof. Gregg Marland, coautore della ricerca e ricercatore all’Oak Ridge National Laboratory (Tennessee – USA). “Nei prossimi anni il trend di crescita andrà monitorato con estrema precisione, così da poterne determinare future evoluzioni”.
Gli autori della ricerca invitano a non sottovalutare ancora una volta questi impressionanti dati. Non possiamo permetterci di temporeggiare ancora a lungo, la rimozione freudiana del problema non ha portato a nulla di buono finora… e potrebbe ormai essere troppo tardi.

Troppo zucchero nei neuroni all’origine di malattie neurodegenerative

Considerato come un fenomeno molto salutare per le cellule, l’accumulo di lunghe catene di glucosio (glicogeno) può sensibilmente danneggiare le strutture neuronali. Pubblicata sull’ultimo numero di Nature Neuroscience, questa inaspettata scoperta è stata resa possibile dall’assiduo lavoro di un team di ricercatori spagnoli guidati dal prof. Joan J. Guinovart, direttore dell’Istituto di ricerca per la biomedicina di Barcellona, e dal prof. Santiago Rodríguez de Córdoba del Centro Superior de Investigaciones Cientificas (CSIC).

Struttura chimica del glicogeno, segmento [credit: Wikipedia]Il team di ricerca ha scoperto questa particolare reazione dei neuroni agli zuccheri analizzando la malattia di Lafora, una rara patologia che causa un’irreversibile degenerazione delle cellule neuronali negli adolescenti e per la quale non esiste ancora una specifica cura. Il morbo di Lafora si presenta generalmente con manifestazioni simili all’epilessia tra i 10 e 17 anni, causando una risposta inesatta dei muscoli alle stimolazioni nervose. In appena dieci anni questa terribile malattia paralizza completamente chi ne è affetto, riducendolo a un perenne stato vegetativo. La malattia è ereditaria ed è causata da una coppia di proteine, laforina e malina, che fanno sviluppare alcuni “noduli” nei neuroni, compromettendone il funzionamento.

“Noduli” neuronali causati dalla malattia di Lafora [credit: Louis Requena, M.D.]Grazie ai ricercatori spagnoli è stato possibile identificare, per la prima volta, i meccanismi che innescano il processo neurodegenerativo. “Abbiamo notato che la laforina e la malina agiscono in coppia come guardiani dei livelli di glicogeno nei neuroni, disgregandosi per mantenerne costanti i valori” spiega Joan J. Guinovart nella sua ricerca. “Quando i geni preposti alla creazione delle guardie sono danneggiati, accade che le due proteine non si disgregano più, causando un conseguente aumento di glicogeno che danneggia i neuroni fino a portarli a una precoce morte programmata (apoptosi).
Le incoraggianti conclusioni della ricerca potrebbero portare presto a una cura per la terribile malattia di Lafora. I ricercatori contano di identificare una molecola in grado di inibire la sintesi di glicogeno nei neuroni.
La scoperta sui meccanismi di accumulo di glicogeno e degenerazione nucleare potrebbe portare, inoltre, alla creazione di nuovi e più mirati farmaci non solo per arginare i danni delle malattie neurodegenerative, ma anche per curarle in maniera definitiva. La strada da compiere è certamente ancora molto lunga, ma un primo importantissimo punto è stato messo a segno.