2008, anno bisestile

L’anno che ognuno di noi si appresta a vivere sarà bisestile, durerà dunque un giorno in più rispetto alla tradizionale durata di 365 giorni. Perché?

29 febbraioNel corso della durata di un anno tropico (il periodo di tempo scandito da due equinozi e altrettanti solstizi) si manifestano le quattro stagioni: primavera, estate, autunno e inverno. Il loro ciclo completo è pari alla durata di 365 giorni, 5 ore, 48 minuti e 46 secondi. Essendo impossibile organizzare la scansione dei giorni su un numero decimale, si è adottata la convenzione dell’anno bisestile per recuperare l’inevitabile slittamento temporale di circa 24 ore che si verifica nel corso di quattro anni.
Il giorno in più viene inserito in coda al mese di febbraio, che negli anni bisestili prevede 29 giorni al posto dei tradizionali 28. Così facendo è possibile ottenere un anno con una durata media pari a un numero non intero di giorni.

Il calendario gregoriano, lo strumento utilizzato dalla maggior parte dei Paesi del mondo per suddividere il tempo, osserva una particolare regola per organizzare gli anni di 366 giorni. Un anno è bisestile se la cifra che lo contraddistingue è divisibile per 4, fatta eccezione per quelle annate divisibili anche per 100.
Gli anni la cui numerazione termina con 04, 08, 12, 16, 20, 24… 88, 92, 96 sono dunque bisestili, mentre le annate le cui cifre sono 00 possono essere bisestili solo se il numero del secolo è perfettamente divisibile per 400. Il 2000 è stato, infatti, un anno bisestile, così come lo fu il 1600 e lo sarà il 2400.

Il 2008, divisibile perfettamente per 4, sarà dunque un anno bisestile che ci consentirà di recuperare le 24 ore circa “perse” negli ultimi quattro anni… e di far festeggiare il compleanno nella giusta data ai nati il 29 febbraio.

bloGalileo riprenderà le pubblicazioni
giovedì 3 gennaio 2008.
Buon anno a tutti!

Scoiattoli al profumo di serpente

Una ricercatrice della UC Davis (California) ha recentemente osservato un curioso comportamento di due specie di scoiattolo, Spermophilus beecheyi e Spermophilus variegates, che utilizzano la pelle lasciata dei serpenti, nei periodi di muta, per mimetizzarsi dai predatori. Questi simpatici roditori masticano avidamente la pelle ormai rinsecchita dei serpenti leccandosi poi la pelliccia, così da trasferire l’odore dei rettili sul loro corpo per ingannare il fiuto dei molti predatori sulle loro tracce.

Scoiattolo intento a masticare la pelle lasciata dalla muta di un serpente. Leccando la propria pelliccia, il roditore si renderà “invisibile” per numerosi predatori [credit: Barbara Clucas/UC Davis photo]Le femmine, sia adulte che più giovani, attuano questo procedimento con una frequenza maggiore rispetto ai maschi, generalmente di corporatura e prestanza fisica maggiore e quindi meno soggetti alla predazione da parte dei serpenti. L’odore di serpente permette agli scoiattoli di mascherare il loro afrore, specialmente durante i momenti passati a riposare nelle tane. Sentendo l’odore dei loro simili, i serpenti non si addentrano nelle tane, immaginando siano già state visitate da qualche “collega” predatore.
Ma gli scoiattoli non utilizzano solamente la pelle di serpente per mascherare il loro odore. I risultati della ricerca dimostrano come spesso i roditori si cospargano di terra, ghiaia o altri materiali su cui sono passati i serpenti, così da trasferire sulla loro pelliccia l’odore di questi rettili.

Serpente a sonagliI serpenti a sonagli sono i principali nemici per queste due specie di roditori, che nel corso del loro processo evolutivo hanno sviluppato una progressiva immunità al potente veleno dei loro nemici. Determinati a non diventare una preda così facile, gli scoiattoli sono anche in grado di scaldare a comando le loro code, mandando precisi segnali ai serpenti a sonagli, che sono in grado di vedere anche nello spettro dell’infrarosso. Si tratta di un vero e proprio messaggio di guerra, che comunica ai serpenti a sonagli un potenziale rischio.
L’interessante ricerca svolta alla UC Davis, e recentemente pubblicata sulla rivista scientifica Animal Behavior, dimostra ancora una volta come le piccole astuzie consentano agli animali maggiormente soggetti alla predazione di sopravvivere, riducendo considerevolmente i rischi per intere specie.

Marte immortalato da Hubble

Da catalizzatore di attenzioni da parte degli scrittori di fantascienza, Marte è divenuto negli ultimi anni il pianeta più “coccolato” dagli astronomi. Recentemente, il pianeta rosso si è trovato ad appena 88 milioni di chilometri dalla Terra, una posizione ideale per il Telescopio Hubble che ha potuto scattare qualche primo piano a Marte. Nel corso di circa 36 ore, il telescopio spaziale ha immortalato numerose aree del pianeta rosso che, debitamente sintetizzate in un collage fotografico, hanno fornito una nuova immagine ad altissima definizione, e a colori, di Marte.

La Terra e il pianeta rosso hanno un incontro ravvicinato ogni 26 mesi. Questo rendez-vous periodico è dovuto alle differenti orbite seguite dai due pianeti. La Terra gira, infatti, intorno al Sole a una velocità doppia rispetto a Marte, doppiando il pianeta rosso all’incirca ogni due anni. Entrambi i pianeti hanno orbite ellittiche, quindi i loro incontri ravvicinati non sono sempre alla medesima distanza. Nel 2003, per esempio, Marte era 32 milioni di chilometri più vicino a noi rispetto all’incrocio di quest’anno.

Marte, immortalato da Hubble

Nella fotografia si apprezzano con precisione numerosi elementi tipici della conformazione del suolo di Marte. Le due macchie scure al di sotto dell’equatore (della metà del pianeta) furono le aree esaminate dalle prime sonde spaziali inviate verso Marte. L’area scura a forma di triangolo, a destra, è la zona pianeggiante denominata Sirti Maggiore. La linea netta e orizzontale a sinistra è invece Sinus Meridiani, l’area in cui atterrò il Rover Opportunity nel gennaio del 2004.

Marte, immortalato da Hubble nel dicembre 2007 Progressione di immagini di Marte catturate da Hubble dal 1995 al 2007

L’età del sistema solare

Condrite ritrovato in Australia [credit: meteorlab.com]Un gruppo di ricercatori della UC Davis ha fornito una nuova datazione sulla formazione del nostro sistema solare, ovvero quando polveri e detriti spaziali si “coagularono” formando i pianeti che orbitano intorno al Sole. Secondo il team di ricerca, il fenomeno sarebbe iniziato 4.568 milioni di anni fa in un arco di tempo di circa due milioni di anni.

Sistema solareI ricercatori della UC Davis sono giunti a questa conclusione analizzando alcuni frammenti di una serie di particolari meteoriti (condriti), che contiene in se i residui più antichi lasciati dal fenomeno di formazione del sistema solare. Le dinamiche e le modalità della prima fase in cui iniziarono a formarsi i pianeti non sono ancora del tutto chiare, ma la scoperta effettuata dal gruppo di ricerca potrebbe fornire agli astrofisici un intervallo di tempo preciso su cui basare i loro calcoli e le loro supposizioni.
I condriti sono spesso costituiti da numerosi elementi chimici come idrogeno, elio, carbonio, azoto, nichel e ferro, e da una matrice di polvere interstellare, generalmente ricca di manganese e cromo. Questi particolari minerali costituiscono dei veri e propri “sedimenti cosmici”, su cui è possibile registrare la radioattività di alcuni elementi come il cromo-53. E proprio grazie a questo elemento, i ricercatori sono stati in grado di datare – con un sufficiente grado di approssimazione – l’età di questi condriti.

Secondo il gruppo di ricerca, i “sedimenti cosmici” esaminati risalirebbero a un periodo medio di 4.568 milioni di anni fa. I nuovi dati forniti dalla UC Davis, e pubblicati sull’Astrophysical Journal Letters, consentiranno una ricostruzione più precisa delle prime fasi di creazione del sistema solare. La nostra casa.

Formiche argentine, le carnivore vegetariane

La capacità delle temibili formiche argentine di cambiare regime di alimentazione, da carnivoro a vegetariano, ha consentito a queste piccole creature di invadere rapidamente le aree costiere fino in California, stabilendo numerose nuove colonie per migliaia di chilometri.

Esemplari di formica argentina attaccano una specie autoctona [credit: Alex Wild]Non hanno dubbi in proposito i biologi dell’University of California (San Diego) e dell’University of Illinois, che hanno scoperto la considerevole capacità delle formiche Linepithema humile di adattare la loro dieta all’ambiente in cui si trovano. Per otto anni, i ricercatori hanno studiato con attenzione numerose colonie di formiche nell’area meridionale di San Diego. I risultati della loro ricerca sono stati recentemente pubblicati sulla rivista scientifica Proceedings of the National Academy of Sciences. «Nonostante queste specie di formiche fossero conosciute per il loro effetto su numerosi ecosistemi in molti Paesi, gli entomologi non sapevano ancora con precisione quale potesse essere la loro dieta» ha dichiarato Davi Holway, docente alla università di San Diego, che ha guidato la lunga ricerca sulle formiche in Argentina e California.

Lo studio californiano evidenzia, per la prima volta, il particolare comportamento di questi insetti. Quando le formiche argentine giungono in una nuova area da colonizzare si trasformano in voraci cacciatrici, pronte a fare incetta degli insetti nativi del luogo nutrendosi del loro sangue. Eliminata la possibile concorrenza, e di conseguenza la loro principale fonte di cibo, le formiche argentine invertono completamente la loro dieta abbandonando l’alimentazione altamente proteica per dedicarsi a carboidrati, zuccheri e acqua.
Il repentino cambio di dieta non solo consente alle formiche di sopravvivere, ma anche di prosperare: la quantità di vegetali è sempre decine di volte maggiore rispetto a quella degli insetti da cacciare. Holway non ha dubbi: «Grazie alla loro dieta flessibile, le formiche argentine sono in grado di consumare una grande varietà di cibi, ed è proprio la possibilità di consumare carboidrati che rende le loro comunità così forti».

Ma non è solamente l’alimentazione a rendere particolari questi piccoli insetti. I ricercatori hanno infatti scoperto che il DNA delle specie radicatesi nella costa meridionale è pressoché identico a quello delle formiche argentine che vivono più a nord. La ridotta differenziazione genetica ha consentito alle colonie di crescere enormemente per centinaia di chilometri nella sola California. Fenomeno che non è invece avvenuto in Argentina, dove le colonie sono di dimensioni ridotte a causa della più marcata differenziazione genetica.
Lunghe appena due millimetri, le formiche argentine sarebbero giunte negli Stati Uniti grazie ai passaggi offerti dalle navi mercantili che trasportavano caffè e zucchero dall’Argentina negli ultimi anni del diciannovesimo secolo.
Giunte negli States le formiche trovarono ideali gli ecosistemi della California, dove portarono numerose devastazioni uccidendo molte specie locali di insetti per stabilire le loro colonie. Una vera e propria guerra di invasione, che continua ancora oggi nelle nuove aree in cui l’uomo ha portato, con l’irrigazione, un nuovo rigoglio per la flora: un delizioso manicaretto per le fameliche formiche argentine.

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Un anno di scienza nelle immagini del 2007

Come da tradizione, anche quest’anno il sito Web della rivista scientifica Nature propone una galleria delle immagini più significative del 2007 legate alla Scienza.
Attraverso 17 curiose immagini, è possibile ripercorrere l’incredibile corsa della ricerca scientifica di quest’ultimo anno, così da affrontare con nuove energie e ottimismo il 2008. Ecco una breve selezione dell’ottimo lavoro di ricerca svolto dalla redattrice di Nature Emma Marris.

Schiuma da spiaggia [credit: Credit: B. COUNSELL/ICON IMAGES]
Per un curioso fenomeno fisico, alcune spiagge dell’Australia si sono riempite di schiuma nel corso della scorsa estate.
Zampa di Drosophila [credit: Nature.com]
Questa immagine ottenuta al microscopio, rappresenta l’articolazione di una zampa appartenente a un moscerino della frutta.
Abbraccio dal Neolitico [credit: AP]
Resti umani di un uomo e una donna abbracciati. I reperti sono stati ritrovati a Valdaro (Mantova) e risalgono a circa 5.000 anni fa.
Mammut [credit: A. TKACHEV/ITAR-TASS]
Questa mummia di Mammut, perfettamente conservata, è stata ritrovata alcuni mesi fa in Siberia durante la fusione di parte del permafrost, la porzione di suolo perennemente ghiacciata.
Olio silossanico [credit: M. THRASHER, H. SWINNEY]
Un getto di olio silossanico si “tuffa” in un bagno d’olio.
Giapeto, la Luna bifronte [credit: NASA/JPL/SPACE SCI. INST.]
La sonda Cassini ha recentemente fotografato Giapeto, la luna più enigmatica tra i satelliti di Saturno.
 
Le selezione delle immagini svolta da Emma Marris è naturalmente parziale, ma illustra in una rapida carrellata il dinamico mondo della Scienza, in costante evoluzione.
Quella proposta da Nature non è certo l’unica galleria delle migliori fotografie del 2007. Un’altra ottima selezione è costituita, infatti, dagli scatti premiati dall’International Small World Competition. Ecco i premiati del 2007.