Perché i pipistrelli “sono ciechi”? E perché dormono a testa in giù?

Si sente spesso affermare che i pipistrelli siano animali completamente ciechi. Ma è davvero così?
Pipistrello in voloI pipistrelli sono piccoli mammiferi volanti, generalmente insettivori, abituati a muoversi e a cacciare le loro prede dal crepuscolo all’alba. Volando nell’oscurità, questi animali evitano gli ostacoli e catturano la preda usando una forma di ecolocalizzazione simile ai sistemi sonar utilizzati dalle navi per fare rilevazioni sui fondali marini o, in ambito militare, scovare i sottomarini. Per rilevare gli ostacoli, i pipistrelli emettono ultrasuoni a circa 200 kHz e calcolano quanto tempo impiegano le onde sonore per essere riflesse da un ostacolo. Maggiore è il tempo che intercorre tra l’emissione e il ritorno d’onda, maggiore sarà la distanza dell’animale dall’ostacolo o dalla preda.

Il fatto che i pipistrelli utilizzino questo stratagemma ha indotto a credere che essi siano ciechi. In realtà, i pipistrelli insettivori sono dotati di un apparato visivo perfettamente funzionante, ma soffrono di una forte miopia. I loro occhi si sono infatti evoluti per percepire gli insetti a distanze estremamente ridotte e nel pieno dell’oscurità. I megachirotteri, pipistrelli di dimensioni molto maggiori e che si nutrono di nettare e frutti, non sono invece miopi e riescono a orientarsi nel volo notturno anche senza l’ausilio del loro sonar.

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I liquidi caldi stimolano il rilascio di sostanze pericolose in alcune plastiche alimentari

La contaminazione da Bisfenolo A (BPA), un componente potenzialmente pericoloso presente nelle plastiche alimentari, dipende maggiormente dalla temperatura del cibo che dal grado di usura del contenitore. Questa l’interessante conclusione cui è giunto un team di ricercatori della University of Cincinnati (USA), impegnato a misurare le quantità di Bisfenolo A presente nei policarbonati.

Bottiglie in plasticaIl prof. Scott Belcher e il suo gruppo di ricerca hanno scoperto che l’esposizione di bottiglie di plastica, vecchie e nuove, a della semplice acqua bollente aumenta di circa 55 volte il rilascio di Bisfenolo A, un composto organico in grado di imitare il comportamento di alcuni estrogeni (i principali ormoni sessuali femminili).
«Studi precedenti avevano dimostrato come, messe a dura prova con temperature molto alte e incisioni sulla loro superficie, le bottiglie di plastica rilasciassero grandi quantitativi di BPA. Partendo da queste esperienze, abbiamo provato a misurare l’emissione di Bisfenolo A che potrebbe verificarsi con un utilizzo normale di questi materiali, cercando di capire quali potessero essere le principali cause responsabili del rilascio di BPA» ha dichiarato il prof. Belcher, che ha guidato la ricerca.

Prima di compiere i loro esperimenti in laboratorio, i ricercatori hanno cercato di capire per quali scopi vengano normalmente utilizzate le bottiglie di plastica e per quanto tempo, prima di essere definitivamente buttate o riciclate. È così emerso un dato sorprendente: anche a distanza di sei/sette anni dalla loro produzione, le bottiglie di plastica rilasciano lo stesso ammontare di BPA rispetto ai contenitori appena prodotti. La principale causa che comporta la contaminazione da BPA non è però data dall’età delle bottiglie, ma dalla temperatura del liquido riversato al loro interno. Maggiore è il calore sviluppato, maggiori sono i quantitativi di BPA rilasciati dai policarbonati che costituiscono la bottiglia.
Per giungere a questo risultato, i ricercatori hanno analizzato per sette giorni consecutivi alcune comunissime bottigliette di plastica per l’acqua, vecchie e nuove, simulandone un normale utilizzo. Tutte le bottiglie hanno rilasciato gli stessi quantitativi di BPA, senza alcuna sostanziale differenza. I livelli di Bisfenolo A sono sensibilmente aumentati quando le bottiglie sono state sottoposte a temperature molto alte. In questo caso, i BPA hanno contaminato l’acqua a velocità sempre più alte, da 15 a 55 volte rispetto alle condizioni standard misurate precedentemente. Da 0,2-0,8 nanogrammi per ora, si è passati a 8-32 nanogrammi ogni sessanta minuti. Leggi tutto “I liquidi caldi stimolano il rilascio di sostanze pericolose in alcune plastiche alimentari”

Farsi riconoscere a prima vista da un computer

mascheraviso.jpgNonostante i sistemi di acquisizione di immagini siano sempre più precisi e sofisticati, i computer continuano a essere molto poco accurati nei processi di riconoscimento visuale. Da tempo numerosi ricercatori cercano di “insegnare” agli elaboratori a distinguere e riconoscere con precisione diversi visi umani. Gli esperimenti finora condotti non hanno sortito grandi risultati, ma un innovativo sistema elaborato da alcuni ricercatori della University of Glasgow (Regno Unito) potrebbe portare il riconoscimento visuale a una svolta epocale.

Riconoscere una persona poco conosciuta è spesso difficoltoso per un comune essere umano, figurarsi per una macchina priva di capacità cognitive complesse. Man mano che un viso diviene più familiare, però, il cervello umano impara a collegare una determinata fisionomia con un nome e a riconoscerne l’identità anche in una comune fotografia. Partendo da questo presupposto, Rob Kenkins e A. Mike Burton hanno elaborato un modello matematico in grado di descrivere i processi cognitivi attivati dalla nostra mente per imparare a riconoscere il viso di una persona. I due ricercatori sono così giunti alla conclusione che il nostro cervello sommi differenti immagini della medesima persona, fissando poi nella nostra memoria un’immagine “media” del viso da ricordare. Un collage di ricordi legati alle espressioni e alle caratteristiche della fisionomia di una faccia sotto diverse angolazioni.

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Niente caffè per i diabetici

Secondo un gruppo di ricercatori del Duke University Medical Center (Stati Uniti), le quantità di caffeina presenti in caffè, tè e bibite gassate sono in grado di aumentare sensibilmente il livello di zuccheri nelle persone affette dal diabete di tipo 2 e potrebbero compromettere il regolare controllo della malattia.

coffee.jpgL’importante scoperta è stata resa possibile grazie a un nuovo apparato diagnostico, in grado di rilevare i livelli di glucosio (zucchero) nei pazienti lungo l’intero corso della giornata. Un risultato eccezionale per il prof. James Lane, che ha curato la ricerca ed è riuscito per la prima volta a tracciare con precisione l’andamento degli zuccheri nelle persone affette da diabete di tipo 2. In pubblicazione sul numero di febbraio della rivista scientifica Diabetes Care, la ricerca dimostra come i livelli di glucosio nel sangue divengano molto più stabili e controllabili eliminando la caffeina dalla dieta dei pazienti.

Lane ha analizzato una decina di pazienti con il diabete di tipo 2, che bevevano mediamente due tazze di caffè americano al giorno e cercavano di tenere a bada la loro malattia attraverso la dieta, l’esercizio fisico e alcuni farmaci per via orale, evitando così le iniezioni di insulina. A ogni paziente, Lane ha affidato un piccolo dispositivo portatile per la rilevazione dei livelli di glucosio in un periodo di circa 72 ore. Il ricercatore ha poi affidato ai partecipanti al test tre diverse confezioni, dotate di alcune capsule contenti caffeina e alcune riempite con un semplice placebo. A parte la colazione, uguale per tutti i pazienti, gli altri pasti della giornata erano liberi.

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Il fiore più grande del mondo aveva antenati microscopici

Rafflesia arnoldii è uno dei fiori più grandi al mondo [credit: parasiticplants.siu.edu]Si chiama Rafflesia arnoldii ed è uno dei fiori più grandi al mondo. Al massimo del proprio sviluppo supera generalmente il metro di diametro e i 7 chilogrammi di peso. A differenza degli altri fiori, però, questo gigante vegetale emana un odore a dir poco pestilenziale che ricorda, in tutto e per tutto, la puzza acre e nauseante della carne in putrefazione.

Rafflesia arnoldii è uno dei fiori più grandi al mondo [credit: flowers-insolita.com]Per molti anni numerosi botanici si sono interrogati sulle origini e l’evoluzione di questo singolare fiore. Dopo una lunga serie di ricerche, un gruppo di scienziati ha finalmente identificato la pianta da cui originò e mutò nel corso dei secoli la Rafflesia arnoldii.
Secondo il team di ricerca, la pianta dal fiore gigante deriverebbe dalla famiglia delle “piccole” Euphorbiaceae, che contempla tra le specie più conosciute il ricino e la tapioca. Risalire al gruppo di appartenenza della Rafflesia non è stato per nulla semplice, la pianta è infatti un parassita e non risponde ad alcuni marcatori solitamente utilizzati per definire con certezza la famiglia di una specie vegetale. Leggi tutto “Il fiore più grande del mondo aveva antenati microscopici”

Un giudizio a colpo d’occhio

mascheraviso.jpgIn pochissime frazioni di secondo, la maggior parte delle persone è in grado di valutare con precisione l’orientamento sessuale di un altro individuo semplicemente osservandone il viso. Questa la curiosa conclusione di una ricerca condotta per indagare la capacità del nostro subconscio di distinguere e interpretare i segnali che, in maniera del tutto inconsapevole, ci invia il prossimo.

Gli esseri umani hanno la ragguardevole capacità di emettere giudizi sulle persone in pochissimi secondi. Talvolta questa capacità è guidata dal pregiudizio, ma nella maggior parte dei casi si tratta di una vera e propria predisposizione a recepire e interpretare dettagli in maniera inconscia. Un celebre studio condotto una quindicina di anni fa dagli psicologi Nalini Ambady e Robert Rosenthal dimostrò proprio questo. I due ricercatori mostrarono a un gruppo di volontari dei brevissimi filmati, appena due secondi, i cui protagonisti erano alcuni professori universitari intenti a spiegare una lezione nelle loro rispettive aule. Le persone che parteciparono all’esperimento furono in grado di formulare giudizi molto circostanziati sulle capacità e il carattere dei docenti, valutazioni molto simili a quelle effettuate dagli studi di quei professori alla fine del semestre.

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