Come si rende odoroso il gas metano?

Il gas metano è inodoreNonostante l’industria per l’estrazione e la gestione del gas naturale sia dotata di tecnologie all’avanguardia, parte della responsabilità nell’identificazione del metano negli ambienti è ancora affidata a uno strumento perfetto e inimitabile: l’olfatto umano.
A differenza di quanto pensano in molti, il gas naturale è completamente privo di odore. Questa particolare caratteristica rende il metano un pericoloso nemico per l’uomo, che non è in grado di riconoscerne la presenza. Per questo motivo, l’industria del gas provvede a miscelare il metano con un additivo inerte particolarmente odoroso, rendendo così anche una minima dose di gas rilevabile dal nostro olfatto.

Il componente principale del gas naturale è il metano, che si trova nel sottosuolo e sotto i fondali marini. E’ chiamato anche gas di palude, poiché a volte forma bolle che salgono in superficie dal fango organico delle paludi. Il particolare odore molto forte e caratteristico non deriva però dal gas, inodore, ma dai miasmi causati dalla putrefazione dei materiali vegetali che costituiscono la fanghiglia.

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Il parassita che trasforma le formiche in frutta

Sfruttando le risorse degli altri esseri viventi, i parassiti crescono e prosperano alle spese dei loro ospiti, spesso ridotti in una vera e propria schiavitù inconsapevole da cui è estremamente difficile liberarsi. Compiendo una serie di test su una particolare specie di formiche, un gruppo di ricercatori ha scoperto un’ingegnosa strategia messa in atto da alcuni parassiti per garantire la sopravvivenza delle loro generazioni.

credit: Steve YanoviakGli scienziati hanno identificato un microscopico verme in grado di infestare l’apparato digerente della Cephalotes atratus, una particolare specie di formica gigante capace di planare – grazie alla conformazione delle zampe posteriori – in caso di accidentali cadute da tronchi e arbusti. Quando i minuscoli parassiti invadono questi insetti, la parte terminale del loro addome gonfia considerevolmente acquisendo una colorazione che vira al rosso. La trasformazione causata dai piccoli vermi non è certo casuale.

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Presto obbligatori i siti di stoccaggio di CO2 in Europa?

Modello molecolare dell’anidride carbonica [photo credit: Wikipedia]L’Unione Europea potrebbe presto costringere le nuove centrali, che utilizzano combustibili fossili per la produzione di energia, a dotarsi di appositi siti di stoccaggio (CSS) per la conservazione dell’anidride carbonica. La proposta dovrebbe essere presentata la prossima settimana e vincolerà la costruzione di nuovi centrali elettriche alla presenza di spazi idonei per la compressione e il mantenimento della CO2. I costruttori saranno quindi tenuti a dimostrare la sussistenza dei prerequisiti necessari al mantenimento di un CSS prima di ottenere il permesso definitivo per l’installazione della nuova centrale. Una volta ratificata dal Parlamento Europeo, la direttiva potrebbe essere adottata già nei primi mesi del 2009.

Secondo gli esperti consultati dalla Commissione Europea, i CSS potrebbero contribuire a un sensibile abbattimento delle emissioni di anidride carbonica, che potrebbe aggirarsi intorno a 1/3 entro il 2050 se correttamente utilizzati. Con il provvedimento al vaglio del Parlamento Europeo, il Vecchio Continente si pone all’avanguardia nello sviluppo e utilizzo dei siti di stoccaggio per la CO2. L’impiego di appositi incentivi dovrebbe favorire l’adozione dei CSS, tecnologia ancora molto costosa e non priva di difetti.

Centrale elettrica dotata di CSSIsolare l’anidride carbonica dai gas di scarico emessi da una centrale è un processo estremamente costoso e che diminuisce sensibilmente l’efficienza delle centrali a carbone. Anche a causa di questi motivi, i CSS non sono ancora utilizzati dagli Stati europei. Norvegia e Gran Bretagna hanno da tempo elaborato alcuni progetti pilota, che dovrebbero essere realizzati nei prossimi anni.
Il procedimento più utilizzato per la rimozione della CO2 dai gas di scarico è quello della post-combustione. L’anidride carbonica viene isolata, compressa e stoccata in apposite cisterne. Attraverso il trasporto su gomma, via mare o gasdotto, la CO2 viene poi stoccata definitivamente in appositi siti. Leggi tutto “Presto obbligatori i siti di stoccaggio di CO2 in Europa?”

La reazione al pianto, atavico retaggio per il nostro cervello

Dopo un’attenta analisi, un gruppo di ricercatori ha dimostrato come i lamenti degli animali implichino nella nostra mente una reazione emotiva pressoché identica a quella causata dal pianto di un neonato.

I ricercatori hanno fatto ascoltare ad alcuni volontari il pianto di un bambino e i lamenti di un gatto e di una scimmia. Le reazioni cerebrali dei partecipanti all’esperimento sono state registrate grazie a uno scanner per la risonanza magnetica.
Il test ha evidenziato come le richieste di aiuto degli animali attivino le medesime aree cerebrali attivate dal pianto di un neonato. La corteccia orbitofrontale si è dimostrata come l’area più attiva nel corso dell’intero esperimento. Questa particolare zona dell’encefalo è deputata all’elaborazione dei processi decisionali che ci spingono a compiere un’azione.

La ricerca, a prima vista fine a sé stessa, dimostra invece con chiarezza come alcuni suoni siano pressoché universali nel regno animale. Pubblicato sulla rivista scientifica Proceedings of the Royal Society B, lo studio mette in stretta relazione l’ascolto di particolari suoni con reazioni, spesso istintive, tese a preservare la conservazione di una specie.

Come si sopravvive a un fulmine?

FulmineRoy Sullivan, un ranger di un parco nazionale americano, passò alla storia per un primato particolare: fu l’uomo ad essere colpito più volte dai fulmini senza perdere la vita.
Il primo incontro ravvicinato con una saetta avvenne nel lontano 1942 quando Sullivan aveva trent’anni. Il ranger si trovava su una torretta di avvistamento del parco quando un fulmine lo colpì a un piede causandogli la perdita di un’unghia. Nel 1969 fu invece colpito mentre si trovava sulla sua jeep: sopravvisse all’incidente ma perse un sopracciglio. L’anno seguente, lo sfortunato ranger fu preso in pieno da un fulmine alla spalla: se la cavò con una piccola ustione.

Nel 1972, a trent’anni dal primo incontro con una saetta, Sullivan fu colpito alla testa da un fulmine. La forte scarica elettrica mandò a fuoco i suoi capelli. Fortunatamente non ebbe nessuna grave conseguenza, ma da allora il leggendario ranger iniziò a circolare con una boccetta piena d’acqua in tasca. Nel 1973 un nuovo colpo alla testa rischiò quasi di ucciderlo. Nel 1974, Sullivan fu colpito al bacino: se la cavò con un po’ di ossa rotte e un grandissimo spavento. Infine, nel 1977 il ranger fu travolto da una scarica mentre si trovava a pescare. Venne ricoverato con gravi ustioni su gambe e addome, ma se la cavò. L’uomo visse i restanti sei anni della sua vita senza incontri ravvicinati con altri fulmini.

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Il fiume che creò una montagna

Non sempre l’erosione comporta l’abbassamento di una montagna. È quanto sostiene un gruppo di ricercatori, che ha da poco studiato un particolare caso in cui un fiume non ha scavato, ma creato una montagna: un chiaro esempio di come la combinazione di clima, movimenti tettonici ed erosione possa portare a risultati a dir poco sorprendenti e controintuitivi.

Il fiume Yarlung Tsangpo ha scavato una profonda gola nel massiccio Namche Barwa-GyalaIl fiume Yarlung Tsangpo scorre attraverso le montagne dell’Himalaya in Tibet ed è uno dei fiumi più alti e impervi del mondo. Durante il suo lungo corso, oltre 1.700 km, il fiume percorre un dislivello di circa 3000 metri portando con sé, nella sua rapida corsa, terra e detriti. In prossimità del massiccio Namche Barwa-Gyala, il fiume percorre una gola profonda 5.000 metri, scavata dalle sue acque nel corso dei millenni. E proprio in questo punto altamente scenografico, i ricercatori sono giunti a una scoperta curiosa quanto inaspettata.

Movimento della placca indiana verso il continente asiaticoMentre la maggior parte delle cime dell’Himalaya lungo il corso del fiume Yarlung Tsangpo sono cresciute in maniera uniforme nel corso degli ultimi 50 milioni di anni, il massiccio di Namche Barwa-Gyala è cresciuto dieci volte più rapidamente. Alcune sue vette hanno già raggiunto i 7700 metri di altezza in meno di due milioni di anni, secondo le rilevazioni del gruppo di ricercatori che ha pubblicato la singolare scoperta sulla rivista scientifica GSA Bulletin della Geological Society of America.
Il singolare fenomeno, che i geologi hanno classificato come “aneurisma tettonico”, è avvenuto poiché nel suo rapido fluire il fiume Yarlung Tsangpo ha scavato ed eroso un consistente “spicchio” di un quadrante della placca indiana. Questo fenomeno di alleggerimento ha consentito a una piccola parte della placca di sollevarsi con maggiore rapidità rispetto alle altre sue aree, spingendo sempre più in alto le vette del massiccio Namche Barwa-Gyala.

Rappresentazione grafica dell’interno della Terra [credit: Wikipedia]Il geologo Noah Finnegan della Cornell University (USA), che ha coordinato la ricerca, non ha dubbi: «C’è un’evidenza inconfutabile che l’erosione abbia consentito alla montagna di crescere». Lo studio consolida le teorie secondo cui l’erosione rivesta un ruolo molto importante nelle dinamiche geologiche che interessano la crosta terrestre. L’Himalaya si conferma, ancora una volta, un’area cardine per lo studio e l’approfondimento delle dinamiche geofisiche del nostro irrequieto e al tempo stesso magnifico Pianeta. [fonte principale: Science]