Come le tartarughe conquistarono il guscio, la loro casa

La recente scoperta del più antico fossile di tartaruga fino ad oggi conosciuto sta aiutando i paleontologi a comprendere, con maggior precisione, l’evoluzione che ha portato le tartarughe ad avere le attuali sembianze e caratteristiche.

Fossile di Odontochelys semistestacea scoperto in Cina
Fossile di Odontochelys semitestacea scoperto in Cina

Il fossile di Odontochelys semitestacea è stato ritrovato in alcuni sedimenti nel Nanpanjiang Trough Basin e risale a circa 220 milioni di anni fa, circa 14 milioni di anni più vecchio rispetto a un precedente fossile ritrovato anni fa in Germania. L’importante scoperta ha consentito ai paleontologi di elaborare una teoria maggiormente precisa sull’evoluzione delle tartarughe. Secondo gli esperti, infatti, questi animali si sarebbero evoluti in un ambiente marino e non sul terreno come ipotizzato in precedenza sulla base dei fossili scoperti in Germania.

Il fossile scoperto in Cina presenta un piastrone – la parte ossea piatta che ricopre e protegge il ventre – perfettamente conservato, mentre è privo del carapace, ovvero la parte del “guscio” che riveste il dorso della tartaruga. Secondo i paleontologi, ciò potrebbe indicare che piastrone e carapace si siano evoluti in tempi e modalità diversi nel corso di milioni di anni. Nello specifico, il piastrone si sarebbe evoluto molto prima del carapace. Una tesi rivoluzionaria che contraddice le teorie fino ad ora prevalenti, che ipotizzano un’evoluzione all’unisono della corazza attraverso progressive stratificazioni degli osteodermi (sottili strati ossificati fusi tra loro). Leggi tutto “Come le tartarughe conquistarono il guscio, la loro casa”

Lo Spazio è forse più dolce del previsto, anche per la vita

Area in cui è stata identificata la molecola di RNA
Area in cui è stata identificata la molecola di RNA

Un gruppo di astronomi è riuscito a identificare un componente dell’RNA, il vettore attraverso il quale il DNA copia e ricopia le basi azotate che lo compongono, all’interno di un’area altamente massiva legata alla formazione di nuove stelle nella Via Lattea. Stando alle prime informazioni, la molecola si sarebbe formata insieme a tutti gli altri componenti che generalmente contribuiscono alla creazione di un pianeta, suggerendo dunque la presenza di alcuni degli ingredienti fondamentali per la vita in altre aree del Cosmo.

La nuova importante scoperta, riferita sul numero di questa settimana di Astro-ph, apre nuove importanti domande sulla possibilità di trovare la vita in altre aree dell’Universo. Utilizzando i radiotelescopi dell’IRAM, un team di astrofisici europei ha scoperto la presenza di glicoaldeide-a, uno degli zuccheri semplici alla base dell’RNA, all’interno del nucleo di quello che potrebbe essere un disco gassoso denso di polveri di una stella in formazione nell’area G31.41+0.31 della Via Lattea a circa 26mila anni luce dalla Terra. Leggi tutto “Lo Spazio è forse più dolce del previsto, anche per la vita”

Nella sostanza bianca la causa della prosopagnosia, la malattia dei volti

Schema delle principali aree del cervello (credit: Wikipedia EN)
Schema delle principali aree del cervello (credit: Wikipedia EN)

Un gruppo di ricercatori è riuscito per la prima volta a mappare l’interruzione nei circuiti neuronali che causa la prosopagnosia, un deficit percettivo ereditario del sistema nervoso centrale che impedisce a chi ne è affetto di riconoscere correttamente i volti delle persone. Grazie alle nuove rilevazioni, il team di ricerca è anche riuscito a fornire una prima possibile spiegazione biologica per la disfunzione.

La prosopagnosia colpisce circa il 2% della popolazione e condiziona pesantemente la vita degli individui che ne sono affetti, capaci di effettuare anche i compiti più difficili, ma impossibilitati a riconoscere molte delle persone (parenti, amici, colleghi, conoscenti) con cui si confrontano quotidianamente. Determinati a comprendere meglio le dinamiche della singolare patologia, un gruppo di ricercatori della Carnegie Mellon University (Kings College, UK) e della Ben-Gurion University di Israele ha analizzato una serie di individui tra i 33 e i 72 anni utilizzando un sistema per la risonanza magnetica. Il team è così riuscito a mettere in evidenza un’area del cervello in cui avverrebbe il “cortocircuito” che impedisce il corretto riconoscimento dei volti.

La zona cerebrale incriminata sembra essere la sostanza bianca, i fasci nervosi che partono e arrivano alla corteccia cerebrale, che nei pazienti affetti da prosopagnosia si rivelerebbe molto meno attiva e in grado di veicolare in maniera dinamica un alto numero di messaggi attraverso il sistema nervoso centrale. Aver indentificato con precisione l’area e la possibile causa del deficit percettivo apre nuove importanti strade per l’elaborazione di nuove procedure di cura, che in futuro potrebbero attenuare gli effetti della patologia riconsegnando gli individui che ne sono affetti a una vita maggiormente confortevole. Leggi tutto “Nella sostanza bianca la causa della prosopagnosia, la malattia dei volti”

Un elettrodo cerebrale per riportare la parola

Grazie a un elettrodo impiantato nel suo cervello, un uomo impossibilitato a muoversi e comunicare può ora produrre alcuni suoni vocalici tramite un sintetizzatore vocale. Un grande passo in avanti per questo tipo di ricerche, che potrebbe un giorno restituire la voce a chi è affetto da gravi paralisi.

L’importante risultato è stato conseguito da un gruppo di ricercatori guidato da Frank Guenther della Boston University (Massachusetts, USA) e grazie alla disponibilità di un paziente affetto da locked-in syndrome (sindrome da blocco), una patologia che comporta una paralisi pressoché totale della muscolatura, ma che non incide sulle capacità cognitive di chi ne è affetto. Prigioniero del proprio corpo, il paziente si mantiene dunque vigile e in grado di comprendere ciò che gli accade intorno.

Prima di impiantare l’elettrodo, Guenther e il suo team hanno svolto una serie di esami per capire se il cervello del paziente volontario fosse ancora in grado di produrre i segnali legati all’area del linguaggio, così come avviene in un individuo sano. Al paziente è stato richiesto di pensare ai suoni delle vocali, mentre una macchina per la risonanza magnetica funzionale rilevava l’attività cerebrale del soggetto. Verificata la presenza dei segnali cerebrali, i ricercatori hanno impiantato chirurgicamente un elettrodo nell’area del linguaggio del cervello del volontario. Concepito da Philip Kennedy della società Neural Signals di Duluth (Georgia, USA), l’elettrodo funziona a diretto contatto dei neuroni e ne stimola la crescita verso i suoi connettori così da assicurare una salda e duratura presa del dispositivo. Leggi tutto “Un elettrodo cerebrale per riportare la parola”

UCYN-A, il cianobatterio goloso di azoto che ha dimenticato la fotosintesi

I cianobatteri, comunemente conosciuti come alghe azzurre, trasformano la luce proveniente dal sole in nutrimento per loro stessi per proliferare, ma anche come un ghiotto pasto per numerose creature marine. Una caratteristica nota ai ricercatori, che recentemente hanno però scoperto qualcosa di nuovo su queste alghe fondamentali per gli ecosistemi dei mari e degli oceani.

Cianobatteri
Cianobatteri

Stando a un recente studio pubblicato sulla prestigiosa rivista scientifica Science, infatti, un nuovo gruppo di cianobatteri da poco scoperto non attua pienamente la fotosintesi, trasformandosi così in un fertilizzante ricco di azoto per gli oceani. L’azoto è un componente fondamentale per la vita, ma in natura sono davvero pochi gli organismi in grado di fissarlo, trasformandolo così in molecole utili e compatibili con le specie viventi. I cianobatteri sono in grado di attuare questo processo e i ricercatori lo sanno ormai da molto tempo, ma fino ad ora pensavano che le alghe azzurre fissassero l’azoto durante la notte, poiché in genere la luce solare stimola la fotosintesi e il conseguente rilascio di ossigeno che impedisce la azotofissazione. Leggi tutto “UCYN-A, il cianobatterio goloso di azoto che ha dimenticato la fotosintesi”

L’esame del DNA sbarca online con 23andMe

Fondata circa un anno fa, la società 23andMe permette di effettuare il proprio esame del DNA a prezzi particolarmente vantaggiosi con un sistema sicuro e integrato con la Rete per fornire informazioni, dati e dettagli sul proprio patrimonio genetico.

La forte impronta verso il Web di 23andMe è sicuramente data da Google, la società del famoso motore di ricerca che nell’iniziativa sui test per il DNA ha investito circa 4 milioni di dollari. Un investimento non indifferente che fa intravedere un certo interesse in nuce del colosso delle ricerche online, intenzionato a monetizzare in futuro le analisi del patrimonio genetico dei clienti di 23andMe.

Effettuare l’esame è semplice quanto depositare un poco di saliva in una provetta, precedentemente inviata dalla società statunitense. Una volta raccolto il campione, il kit viene inviato nuovamente negli Stati Uniti dove 23andMe provvede all’analisi del DNA e ne comunica i risultati attraverso il suo portale online. Ogni cliente ha dunque la possibilità di consultare i dati sul proprio patrimonio genetico direttamente attraverso il computer, ricevendo aggiornamenti e nuove informazioni sulle ultime scoperte inerenti le sue predisposizioni genetiche. Una nuova frontiera nelle analisi del DNA che, oltre ai numerosi vantaggi per conoscere le possibili patologie cui si potrà andare incontro, solleva numerosi problemi etici e legati alla sicurezza dei dati personali immagazzinati nei database di 23andMe. Leggi tutto “L’esame del DNA sbarca online con 23andMe”