Quattro ventose per un pipistrello

Il Madagascar è un vero e proprio paradiso in terra per gli etologi, che riescono spesso a identificare nuove specie animali endemiche dalle curiose caratteristiche e utili per comprendere i meccanismi legati all’evoluzione.

Oltre al camaleonte Brookesia, un simpatico rettile del quale parlammo qualche tempo fa, tra le specie più curiose dell’isola africana spicca il Pipistrello dai piedi a ventosa. Meglio noto come Myzopoda aurita, questo strano mammifero fu scoperto verso la fine degli anni ’70 del diciannovesimo secolo dalla zoologo francese Henri Milne-Edwards e dal suo collega naturalista Alfred Grandidier.

Pipistrello dai piedi a ventosa
Pipistrello dai piedi a ventosa

Questo particolare pipistrello si distingue per una inconsueta particolarità: le sue zampe terminano con una sorta di ventosa, a forma di ferro di cavallo, che gli assicura una migliore presa sulle superfici particolarmente lisce. Lungo poco meno di 6 centimetri e pesante meno di 10 grammi, il Myzopoda aurita utilizza le sue quattro ventose per aderire alle grandi foglie della rigogliosa vegetazione del Madagascar.

Nonostante sia stato scoperto più di un secolo fa, sulle abitudini di questo simpatico animale non esistono numerosi studi. Si sa che si nutre prevalentemente di insetti e che conduce una vita notturna, come molti altri suoi cugini al di fuori dell’isola.

Gli zoologi ritenevano si trattasse dell’unica specie appartenente al genere Myzopoda, ma si sbagliavano. Nel corso del 2007, infatti, una spedizione in Madagascar ha scoperto una nuova specie di Pipistrello dai piedi a ventosa, battezzata Myzopoda schliemanni. Secondo i ricercatori, una specie sarebbe con ogni probabilità l’evoluzione dell’altra, ma stabilire con certezza la specie d’origine non sarà molto semplice. I pipistrelli del genere Myzopoda sono considerati a rischio di estinzione come molte altre specie del Madagascar. L’isola sta subendo un costante e devastante disboscamento con notevoli conseguenze per la flora e per la fauna. Se il fenomeno continuerà ancora a lungo, il paradiso in terra degli etologi potrebbe presto sparire.

Due proteine rendono le cellule tumorali più resistenti alla chemioterapia

Quali differenze fanno sì che alcune cellule tumorali rispetto ad altre sopravvivano alla chemioterapia, lasciando così la porta aperta a nuove metastasi?

Celulla cancerogena al microscopio elettronico
Celulla cancerogena al microscopio elettronico

Rispondere a una domande del genere non era certo semplice, ma i ricercatori del Weizmann Institute non si sono dati per vinti e hanno avviato una meticolosa ricerca, sviluppando nuove procedure per immortalare e analizzare migliaia di cellule sottoposte agli effetti della chemioterapia. Lo studio, pubblicato sulla rivista scientifica Science, ha consentito di comprendere meglio le reazioni innescate dai farmaci chemioterapici nelle cellule e le loro risposte ai trattamenti clinici antitumorali.

I ricercatori Ariel Cohen, Naama Geva-Zatorsky ed Eran Eden hanno analizzato il comportamento di circa 1000 differenti proteine coinvolte nei processi di sopravvivenza delle cellule. L’intero lavoro di ricerca è durato diversi anni: per ogni gruppo di cellule tumorali si è resa necessaria la corretta mappatura delle proteine in esse presenti grazie a un gene, rilevabile perché fluorescente, e a una serie di fotografie scattate a intervalli regolari per 72 ore consecutive. Terminata la mappatura, i ricercatori hanno iniettato in ogni gruppo di cellule un farmaco chemioterapico, osservando poi i processi che portavano alla morte di alcune cellule e alla resistenza di altre. Leggi tutto “Due proteine rendono le cellule tumorali più resistenti alla chemioterapia”

Mangia di meno, ricorderai di più

dietaRidurre le calorie per aumentare la memoria. Non sembrano avere dubbi in proposito gli autori di una recente ricerca, che ha evidenziato come una riduzione degli apporti calorici nelle diete degli anziani possa contribuire a mantenere sana e allenata la propria memoria.

I primi studi sui benefici apportati dalle diete ipocaloriche risalgono agli anni trenta del secolo scorso, quando i ricercatori scoprirono che la vita dei ratti poteva essere quasi raddoppiata riducendo la loro dieta. Ulteriori studi, svolti anche sui primati, mostrarono alcuni vantaggi legati alla riduzione delle calorie tale da indurre alcune ricerche anche sugli essere umani.

In questo caso, però, i risultati si rivelarono contrastanti. I soggetti con regimi alimentari ipocalorici generalmente hanno una pressione sanguigna e un livello di zuccheri più bassi rispetto agli individui con una normale dieta. Tuttavia, lo scarso numero di studi condotti fino ad ora non ha mai consentito di comprendere quanto una dieta ipocalorica possa davvero apportare benefici all’organismo delle persone molto anziane, né tanto meno di comprendere i vantaggi dal punto di vista delle prestazioni cognitive.

Partendo da questo presupposto, Agnes Flöele e un gruppo di ricercatori della Università di Münster (Germania) hanno deciso di approfondire i risvolti delle diete ipocaloriche sulle capacità cognitive degli anziani. Il team di ricerca ha così assoldato 50 volontari con una età media intorno ai 60 anni e un indice di massa corporea medio pari a 28 (lieve sovrappeso). I ricercatori hanno poi suddiviso a caso i partecipanti all’esperimento in tre gruppi distinti: a 20 persone è stato richiesto di ridurre del 30% il loro apporto calorico giornaliero, mantenendo però il giusto equilibrio tra carboidrati, proteine e grassi; ad altri 20 individui è stato invece richiesto di mantenere un normale apporto calorico, integrando però la loro dieta con grassi monoinsaturi, come quelli presenti nel salmone o nell’olio di oliva; infine, agli ultimi 10 volontari è stato richiesto di non modificare in nessun aspetto la loro dieta. Leggi tutto “Mangia di meno, ricorderai di più”

Surriscaldamento globale millenario

global warmingL’umanità dovrà affrontare un futuro poco felice se continuerà a immettere gas serra nell’atmosfera. Secondo un gruppo di ricercatori, infatti, gli effetti causati dall’inquinamento atmosferico si protrarranno per un tempo molto più grande del previsto. Mentre le quantità di anidride carbonica tardano a diminuire, il clima sembra essere destinato a cambiare molto lentamente ma in maniera inesorabile nel corso dei prossimi secoli: i cambiamenti registrati tra cento anni potrebbero dunque essere ancora in atto tra un millennio.

A rivelare le ultime sconfortanti novità sul clima è la rivista scientifica Proceedings of the National Academy of Sciences, che ha da poco pubblicato una ricerca di Susan Solomon del National Oceanic and Atmospheric Administration’s Earth System Research Laboratory (Colorado – USA). Insieme ai suoi collaboratori, la ricercatrice ha utilizzato due tipologie di modelli matematici su scala secolare e millenaria per calcolare le possibili reazioni del clima nell’anno 3000. I risultati ottenuti sembrano essere a dir poco scoraggianti.

Il team ha rilevato come due processi climatici siano destinati a confrontarsi determinando un sostanziale mantenimento del picco di temperatura, previsto per la fine del secolo in corso, fino all’anno 3000. Il lento riassorbimento dell’anidride carbonica da parte degli oceani tende infatti ad attenuare il surriscaldamento globale, ma l’altrettanto lento assorbimento del calore atmosferico da parte degli oceani tende invece a compensare la perdita di anidride carbonica nell’atmosfera. I due processi sembrano dunque destinati a mantenere un equilibrio deleterio per il Pianeta, che potrebbe mantenere così gli 1,5 – 4 °C in più previsti per la fine del secolo fino all’anno 3000. Leggi tutto “Surriscaldamento globale millenario”

Dalle pentole allo spazio: come si fa il Teflon?

Le pentole antiaderenti ci consentono di cucinare senza far attaccare i cibi, ma come funzionano di preciso?

padelleLa maggior parte dei contenitori per la cottura dei cibi presenti sul mercato utilizzano come rivestimento il Teflon, un materiale con un basso coefficiente di attrito scoperto quasi per caso nel lontano 1938 da Roy Plunkett, un ingegnere americano della società Du Pont. Teflon è il nome commerciale del prodotto, mentre la sostanza che lo costituisce si chiama politetrafluoroetilene (PTFE).

Fino agli anni Cinquanta ingegneri e tecnici faticarono non poco per trovare la giusta destinazione d’uso per il Teflon, fino a quando il francese Marc Grégoire ne ipotizzò un utilizzo domestico e iniziò a commercializzare le prime pentole antiaderenti della storia sotto il nome Tefal. Constatato il successo dei nuovi recipienti per la cottura dei cibi, numerosi altri produttori seguirono la medesima strada della Tefal producendo numerose linee di pentole e padelle rivestite con il Teflon.

Il medesimo materiale, resistente e in grado di diminuire sensibilmente l’attrito, fu anche utilizzato nei cuscinetti a sfera “autolubrificanti”, eliminando così la necessità di dover periodicamente lubrificare le sfere che costituivano i medesimi cuscinetti. Negli anni seguenti nuovi studi indagarono le proprietà del Teflon, giungendo alla conclusione che la sostanza potesse essere utilizzata in numerosi altri ambiti. Leggi tutto “Dalle pentole allo spazio: come si fa il Teflon?”

I 250 anni dell’Osservatorio di Torino

Pochi divulgatori riescono a raccontare l’affascinante storia della Scienza come Piero Bianucci. In un ottimo articolo, chiaro e divertente, il papà di Tuttoscienze (l’inserto scientifico del quotiano La Stampa) racconta la curiosa storia dell’Osservatorio di Torino, che quest’anno celebra il suo 250esimo anniversario.

Il 2009, Anno Internazionale dell’Astronomia proclamato dalle Nazioni Unite, è per Torino anche il 250° anno dalla nascita dell’Osservatorio astronomico della città. La nascita di questa istituzione risale infatti al 1759, quando Carlo Emanuele III decise di dotare l’Università di Torino di una piccola specola, che fu installata su una torretta di via Po, nel palazzo dove abitava Padre Beccaria, lo scienziato a cui il Savoia aveva affidato la misura del “Gradus Taurinensis”.

L’Osservatorio passò poi nel 1789 sui tetti dell’Accademia delle Scienze e nel 1822 , con la direzione di Giovanni Plana, a Palazzo Madama, dove rimase fino al 1912, quando Padre Giovanni Boccardi inaugurò la sede attuale sulla collina di Pino Torinese.

Una mostra di antichi strumenti dell’Osservatorio celebrerà il compimento dei due secoli e mezzo di questa istituzione scientifica torinese: si inaugurerà a Palazzo Lascaris il 1° ottobre e ci sta lavorando Ester Antonucci, attuale direttrice dell’Osservatorio, con il supporto dell’Inaf, della Regione Piemonte e altre istituzioni.

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