Vedi blu creativo o rosso meticoloso?

semaforoIl rosso può rendere più accurato e meticoloso lo svolgimento di un compito, mentre il blu stimola principalmente la creatività. Questi i risultati di un’interessante ricerca condotta alla University of British Columbia di Vancouver, Canada.

Precedenti studi si erano già occupati di come i colori possano condizionare le nostre capacità cognitive, giungendo nella maggior parte dei casi a risultati inconsistenti e in contraddizione tra loro. Secondo alcune ricerche, per esempio, il rosso stimola le capacità cognitive, mentre per altri studi sarebbe il blu a farlo. Partendo da questi presupposti, Rui (Juliet) Zhu ha condotto una propria ricerca per comprendere quali tipologie di capacità cognitive siano interessate dai colori.

Assieme al suo gruppo di ricerca, Zhu ha sottoposto un certo numero di studenti non ancora laureati a un semplice test. Ai volontari è stato richiesto di svolgere una serie di compiti al computer mentre lo sfondo dello schermo cambiava ciclicamente colore. Dai risultati è così emerso come il rosso favorisca lo svolgimento dei compiti in cui è richiesto un alto grado di accuratezza e meticolosità molto più di altri colori come il blu o il bianco. Leggi tutto “Vedi blu creativo o rosso meticoloso?”

Nella sostanza bianca la causa della prosopagnosia, la malattia dei volti

Schema delle principali aree del cervello (credit: Wikipedia EN)
Schema delle principali aree del cervello (credit: Wikipedia EN)

Un gruppo di ricercatori è riuscito per la prima volta a mappare l’interruzione nei circuiti neuronali che causa la prosopagnosia, un deficit percettivo ereditario del sistema nervoso centrale che impedisce a chi ne è affetto di riconoscere correttamente i volti delle persone. Grazie alle nuove rilevazioni, il team di ricerca è anche riuscito a fornire una prima possibile spiegazione biologica per la disfunzione.

La prosopagnosia colpisce circa il 2% della popolazione e condiziona pesantemente la vita degli individui che ne sono affetti, capaci di effettuare anche i compiti più difficili, ma impossibilitati a riconoscere molte delle persone (parenti, amici, colleghi, conoscenti) con cui si confrontano quotidianamente. Determinati a comprendere meglio le dinamiche della singolare patologia, un gruppo di ricercatori della Carnegie Mellon University (Kings College, UK) e della Ben-Gurion University di Israele ha analizzato una serie di individui tra i 33 e i 72 anni utilizzando un sistema per la risonanza magnetica. Il team è così riuscito a mettere in evidenza un’area del cervello in cui avverrebbe il “cortocircuito” che impedisce il corretto riconoscimento dei volti.

La zona cerebrale incriminata sembra essere la sostanza bianca, i fasci nervosi che partono e arrivano alla corteccia cerebrale, che nei pazienti affetti da prosopagnosia si rivelerebbe molto meno attiva e in grado di veicolare in maniera dinamica un alto numero di messaggi attraverso il sistema nervoso centrale. Aver indentificato con precisione l’area e la possibile causa del deficit percettivo apre nuove importanti strade per l’elaborazione di nuove procedure di cura, che in futuro potrebbero attenuare gli effetti della patologia riconsegnando gli individui che ne sono affetti a una vita maggiormente confortevole. Leggi tutto “Nella sostanza bianca la causa della prosopagnosia, la malattia dei volti”

Un elettrodo cerebrale per riportare la parola

Grazie a un elettrodo impiantato nel suo cervello, un uomo impossibilitato a muoversi e comunicare può ora produrre alcuni suoni vocalici tramite un sintetizzatore vocale. Un grande passo in avanti per questo tipo di ricerche, che potrebbe un giorno restituire la voce a chi è affetto da gravi paralisi.

L’importante risultato è stato conseguito da un gruppo di ricercatori guidato da Frank Guenther della Boston University (Massachusetts, USA) e grazie alla disponibilità di un paziente affetto da locked-in syndrome (sindrome da blocco), una patologia che comporta una paralisi pressoché totale della muscolatura, ma che non incide sulle capacità cognitive di chi ne è affetto. Prigioniero del proprio corpo, il paziente si mantiene dunque vigile e in grado di comprendere ciò che gli accade intorno.

Prima di impiantare l’elettrodo, Guenther e il suo team hanno svolto una serie di esami per capire se il cervello del paziente volontario fosse ancora in grado di produrre i segnali legati all’area del linguaggio, così come avviene in un individuo sano. Al paziente è stato richiesto di pensare ai suoni delle vocali, mentre una macchina per la risonanza magnetica funzionale rilevava l’attività cerebrale del soggetto. Verificata la presenza dei segnali cerebrali, i ricercatori hanno impiantato chirurgicamente un elettrodo nell’area del linguaggio del cervello del volontario. Concepito da Philip Kennedy della società Neural Signals di Duluth (Georgia, USA), l’elettrodo funziona a diretto contatto dei neuroni e ne stimola la crescita verso i suoi connettori così da assicurare una salda e duratura presa del dispositivo. Leggi tutto “Un elettrodo cerebrale per riportare la parola”

Perché è così difficile accettare la morte di una persona a noi cara? La risposta è nei centri del piacere

Perché è così difficile accettare la morte di una persona a noi cara? Un recente studio dimostra come, paradossalmente, la causa di tanto dolore possa essere il centro del piacere del nostro cervello.

Un lutto porta la maggior parte delle persone a un forte senso di tristezza che spesso si protrae per alcune settimane e, in alcuni casi, anche per interi mesi per poi scemare gradualmente. Una piccola percentuale, invece, non riesce a uscire dal dolore provocato dal lutto a tal punto da non riuscire a condurre nuovamente una vita normale. Queste persone entrano, cioè, in uno stato di tristezza cronica.
Accurati esami condotti attraverso le risonanze magnetiche funzionali, che valutano cioè il volume di sangue che affluisce alle varie aree del cervello, avevano già dimostrato come la tristezza sia in grado di attivare le zone dell’encefalo deputate a percepire ed elaborare il dolore. Tuttavia, nessuno studio si era ancora occupato di osservare la reazione del cervello agli stati di tristezza ormai cronicizzata.

Partendo da questo presupposto, un gruppo di ricercatori guidato dalla psicologa Mary-Frances O’Connor (University of California) ha condotto accertamenti clinici su 23 donne volontarie reduci da una grave perdita nell’arco degli ultimi 5 anni di un famigliare stretto, madre o sorella, a causa del cancro al seno. Il team di ricerca ha suddiviso le donne in due gruppi: sofferenti (A) e sofferenti croniche (B). Alle volontarie sono state poi mostrate una sessantina di fotografie che riportavano l’immagine della famigliare scomparsa e quella di una persona sconosciuta, corredate con una parola legata all’area semantica del lemma “cancro” o completamente slegata dal contesto. Leggi tutto “Perché è così difficile accettare la morte di una persona a noi cara? La risposta è nei centri del piacere”

L’arte del procrastinare non assicura l’efficienza

Per numerosi individui, rimandare a domani ciò che potrebbero fare oggi è una naturale condizione di vita. I procrastinatori, infatti, tendono a temporeggiare enormemente, rimandando in continuazione il loro impegno per svolgere qualsiasi compito. Giunti al limite della scadenza, gli artisti del rimando si attivano trasformandosi in velocisti obbligati a completare in fretta e furia il loro incarico prima della scadenza definitiva.

Se l’attività di un procrastinatore fosse rappresentata da una linea in un grafico, noteremmo come questa – da perfettamente orizzontale – tenderebbe a inclinarsi spaventosamente nell’ultimo delta di tempo che precede la scadenza del compito assegnato. Il discorso si complica enormemente quando scadenze e compiti assegnati in uno stesso periodo di tempo aumentano considerevolmente di numero, proprio come nella vita reale al di qua degli assi cartesiani.
Partendo da questo presupposto, il prof. Michael Bender della Stony Brook University di New York (USA) ha creato un algoritmo per valutare quali strategie dovrebbe attuare un procrastinatore per portare a termine il maggior numero di compiti focalizzandosi sulle principali scadenze. I risultati della sua interessante analisi sono stati pubblicati sulla rivista scientifica Journal of Scheduling, rivelando una sentenza senza scampo per gli artisti del rimando. Leggi tutto “L’arte del procrastinare non assicura l’efficienza”

Lei sente con la mente, lui con le orecchie…

Maschi e femmine utilizzano differenti parti del cervello quando devono fare ricorso al linguaggio. È quanto emerge da una recente ricerca svolta su un gruppo di adolescenti e pubblicata sulla prestigiosa rivista scientifica Neuropsychologia. Lo studio potrebbe confermare la necessità di utilizzare differenti approcci educativi per i bambini e le bambine.

Ormai da tempo, è noto ai ricercatori come le adolescenti ottengano punteggi più alti rispetto ai loro coetanei maschi nei test sul linguaggio, dimostrando una maggiore predisposizione per il parlare e per la memorizzazione delle parole. Partendo da questo presupposto, i ricercatori Douglas Burman e James Booth della Northwestern University di Evanston (Illinois – USA) hanno cercato di scoprire se le differenze riscontrate all’atto pratico nei test siano rilevabili anche nell’attività cerebrale.

I ricercatori hanno sottoposto un gruppo di 50 bambini, metà maschi e metà femmine tra i 9 e i 15 anni, ad alcuni semplici test legati alla parola. Per esempio, i due scienziati proponevano al gruppo una coppia di parole, chiedendo poi se facessero rima o meno. L’attività cerebrale dei soggetti a ogni test veniva scrupolosamente registrata attraverso una comune risonanza magnetica, in grado di rilevare l’afflusso di sangue alle varie aree del cervello dei partecipanti all’esperimento.
La coppia di scienziati ha così scoperto come le aree del linguaggio delle femmine siano molto più stimolate rispetto alla medesima area nei maschi. Per contro, le aree sensoriali deputate all’udito e alla visione sono risultate molto più attive tra i maschi che tra le femmine. Leggi tutto “Lei sente con la mente, lui con le orecchie…”