Come si fa un fiammifero? E come funziona?

Un poco di attrito accende la fiamma, ma come funzionano e vengono prodotti i fiammiferi?

fiammiferoIl principale antenato del fiammifero moderno fu creato dal farmacista inglese John Walker verso la fine degli anni Venti del 1800. I primi prototipi funzionavano discretamente bene, ma talvolta non riuscivano a innescare la fiamma. Pochi anni dopo un altro arguto inventore, Charles Suria, perfezionò il funzionamento dei fiammiferi inserendo nella loro capocchia il fosforo bianco. I fiammiferi di questo tipo venivano chiamati solitamente “luciferi” e furono il modello più utilizzato nel corso dell’Ottocento.

I luciferi si accendevano con facilità, ma avevano il terribile difetto di rilasciare gas tossici, rivelandosi mortali. Il fosforo bianco emetteva, infatti, vapori velenosi e una lunga esposizione a questi poteva condurre all’insorgenza di patologie molto gravi e spesso incurabili. Il tasso di mortalità nelle fabbriche che producevano i luciferi era estremamente alto, tanto da indurre nei primi anni del Novecento a bandire la produzione di fiammiferi contenenti fosforo bianco.

Entrato in vigore il divieto, per i fiammiferi si cominciò a utilizzare il sesquisolfuro di fosforo unitamente al clorato di potassio. Lo sfregamento su una superficie ruvida portava la capocchia a scaldarsi repentinamente innescando così la reazione chimica che portava alla produzione della fiamma. Un principio di funzionamento relativamente semplice e potenzialmente rischioso, poiché anche un attrito involontario poteva causare l’accensione del fiammifero e la conseguente generazione di un incendio incontrollato.

Partendo da questo presupposto, intorno alla metà dell’Ottocento Gustaf Erik Pasch e, successivamente, Johan Edvard Lundström cominciarono a produrre fiammiferi di sicurezza separando il fosforo dagli altri ingredienti necessari per creare la combustione. Il fosforo rosso, non velenoso come quello bianco, fu utilizzato per la superficie di sfregamento, mentre gli altri componenti necessari per innescare la combustione furono inseriti nella capocchia dei fiammiferi. Ciò rendeva impossibile l’accensione di un fiammifero senza una particolare superficie di sfregamento, rendendo così molto più sicuro lo stoccaggio e l’utilizzo degli stessi fiammiferi.

Oggi i fiammiferi vengono generalmente prodotti con macchinari automatici in grado di produrre fino a due milioni di pezzi all’ora già pronti per l’uso. Si parte da un tronco di legno che viene tagliato in tante tavole sottili dallo spessore di circa 2,5 millimetri. Le tavole vengono poi suddivise in tanti bastoncini, la parte legnosa di ogni fiammifero, che vengono successivamente immersi in una soluzione di fosfato di ammonio. Tale sostanza rende più lenta la combustione e fa in modo che il fiammifero non continui a bruciare al suo interno una volta spento.

I bastoncini vengono poi allineati su un nastro trasportatore che provvede a immergerli nella paraffina che, assorbita dalle fibre di legno, consentirà alla fiamma di trasferirsi progressivamente lungo lo stelo del fiammifero. Una estremità dei bastoncini viene poi immersa nel miscuglio che forma la capocchia. Nel caso dei fiammiferi di sicurezza (svedesi) si tratta in genere di una soluzione contenente zolfo e a volte polvere di carbone e clorato di potassio per favorire il mantenimento della fiamma.

Una volta essiccata la capocchia, i fiammiferi sono pronti per essere confezionati. Le scatole dei fiammiferi tradizionali vengono equipaggiate con una striscia di carta abrasiva per creare l’attrito necessario per sviluppare la fiamma, mentre le confezioni dei fiammiferi svedesi riportano una striscia rivestita di fosforo rosso che servirà a dar vita alla reazione chimica necessaria per generare la fiamma.

2 risposte a “Come si fa un fiammifero? E come funziona?”

  1. Nelle vecchie osterie venivano attaccate al muro delle strisce di carta a vetro per favorire l’accensione dei fiammiferi, onde evitare che qualcuno lo facesse sporcando i muri. Pierbacco

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