Il gene del linguaggio

Si chiama FOXP2 (“forkhead box P2”) ed è il gene che ci consente ogni giorno di chiacchierare con gli amici, parlare con il nostro capoufficio e canticchiare mentre facciamo la doccia.
Al centro di numerose ricerche negli ultimi anni, FOXP2 possiede le istruzioni per sintetizzare una proteina ritenuta fondamentale per la coordinazione tra i movimenti della bocca, gli organi di fonazione (laringe, corde vocali…) e gli impulsi elettrici inviati dal nostro cervello. Questo particolare gene divenne molto famoso sei anni fa, quando alcuni ricercatori lo reputarono responsabile di specifiche disfunzioni del linguaggio. Approfondendo le ricerche, nel 2002 si scoprì che FOXP2 rivestiva un ruolo fondamentale nello sviluppo della fonazione e del linguaggio negli individui.

I pipistrelli comunicano con gli ultrasuoniPer approfondire le conoscenze sulle incredibili potenzialità del gene FOXP2, un team di genetisti guidati da Stephen Rossiter (Queen Mary, University of London) ha esteso la ricerca ad altri membri del regno animale in grado di produrre linguaggi complessi: i pipistrelli.
Da un punto di vista meramente “fisico”, questi mammiferi utilizzano per comunicare un procedimento molto più complesso della semplice fonazione umana: l’ecolocalizzazione. Per comunicare con un “collega”, un pipistrello deve coordinare – nel medesimo istante – naso, bocca, orecchie e laringe mentre si trova in volo e utilizza gli stessi organi per orientare la propria rotta.

Organi di fonazione [fonte: progettogea.com]Analizzando 13 pipistrelli appartenenti a sei specie diverse, incluse alcune che non utilizzano l’ecolocalizzazione, il team di ricercatori è stato in grado di mappare completamente l’intera sequenza del gene FOXP2, giungendo a una sorprendente scoperta. I genetisti guidati da Rossiter hanno identificato nel FOXP2 dei pipistrelli il doppio dei cambiamenti rispetto ad altre specie animali analizzate, dimostrando un’evoluzione molto più rapida del previsto del gene del linguaggio.

La ricerca di Rossiter dimostrerebbe dunque una specifica adattabilità del gene del linguaggio, in grado di evolversi per “calibrarsi” sulle esigenze comunicative degli organismi che lo ospitano. Se confermata dalle prossime indagini di laboratorio, la scoperta del genetista britannico confermerebbe l’importanza del FOXP2 per l’evoluzione della nostra capacità di produrre suoni che oggi chiamiamo “linguaggi”.
Del resto, appena due amminoacidi (la base per costruire le proteine) differenziano il nostro gene del linguaggio da quello delle scimmie…

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