La recessione allunga la vita?

La recessione fa bene alla salute. A sostenerlo è un gruppo di ricercatori che ha da poco terminato l’analisi dei dati storici sulle crisi economiche che hanno investito gli Stati Uniti nel periodo della Grande Depressione.

depressione

Nel 1932, il livello di disoccupazione negli States raggiunse il 22,9% e il prodotto interno lordo crollò di ben 14 punti percentuali. Eppure, nonostante le precarie condizioni economiche per decine di milioni di persone, l’americano medio era più in salute durante quel periodo che nei momenti di prosperità prima e dopo la crisi.

Per giungere a questa conclusione, i ricercatori José Tapia Granados e Ana Diez Roux (University of Michigan – USA) hanno analizzato le aspettative di vita e i livelli di mortalità rapportandoli successivamente ai dati sul PIL e sull’aumento della disoccupazione. Il loro lavoro si è concentrato principalmente nel periodo tra il 1920 e il 1940, uno dei più difficili per l’economia statunitense caratterizzato dalla Grande Depressione, un paio di recessioni minori e alcuni anni di forte crescita economica.

In quei 20 anni, le principali cause di morte erano le patologie cardiovascolari e renali, l’influenza, la polmonite, il cancro, la tubercolosi, gli incidenti automobilistici e i casi di suicidio. I ricercatori hanno così potuto identificare un particolare rapporto tra salute dell’economia e salute della popolazione per l’epoca: l’aspettativa di vita diminuì durante i cicli favorevoli dell’economia e aumentò durante i periodi di recessione. Il livello di mortalità, invece, aumentò durante i periodi economici positivi e diminuì durante i momento di crisi.

I dati riportati su Proceedings of the National Academy of Sciences sembrano dimostrarlo chiaramente. I casi di morte legati alla polmonite e all’influenza diminuirono dalla media dei 150 ogni 100mila individui del 1929 ai 100 ogni 100mila individui nel 1930. L’unica causa di morte a far registrare un aumento fu il suicidio. Nel periodo di crescita economica compreso tra il 1921 e il 1926, l’aspettativa di vita per la popolazione bianca diminuì di 8,1 anni per gli uomini e di 7,4 anni per le donne. Durante la Grande Depressione, invece, l’aspettativa di vita tra la popolazione bianca aumentò mediamente di 8 anni.

Come sottolineano i ricercatori, allo stato attuale le cause del fenomeno non sono ancora chiare, ma alcune teorie formulate in precedenza potrebbero contribuire a risolvere l’enigma. Nei periodi di prosperità economica il consumo di beni non strettamente essenziali come fumo e alcol aumenta, diminuisce mediamente il numero di ore di sonno e aumentano i fattori di rischio legati allo stress da lavoro. Inoltre, le morti sulla strada e sul lavoro sono statisticamente maggiori durante i periodi di crescita economica e ciò può condizionare le aspettative medie di vita. Infine, secondo Tapia Granados, durante i periodi di recessione le persone tendono a intensificare i loro rapporti sociali e a stringere legami più forti, e i gruppi sociali nei quali è forte il supporto reciproco tendono a essere più sani.

Un periodo di recessione, concludono i ricercatori, aumenta la probabilità per ogni individuo di entrare in contatto con qualcuno fortemente colpito dagli effetti della crisi. Ciò contribuisce a creare una percezione soggettiva che è però distante dai reali effetti della recessione sull’intera popolazione. Tale fenomeno non deve comunque portare all’esatto opposto, ovvero a un immotivato ottimismo che tenda a negare le effettive conseguenze della crisi, specialmente da parte di chi è chiamato ad amministrare le economie di un intero paese.

La ricerca da poco pubblicata si inserisce in un’ampia letteratura legata al rapporto tra cicli economici e salute della popolazione. Benché i dati dell’ultimo studio provengano da una fonte particolarmente affidabile, la materia continua a essere controversa.

2 risposte a “La recessione allunga la vita?”

  1. in realtà in genere in queste situazioni si osservano trend diversi tra chi conserva il lavoro e chi lo perde:chi non perde il lavoro in un periodo di contrazione del mercato mette in pratica comportamenti meno anti-sociali come quelli descritti, però aumenta la mortalità e la morbidità tra i disoccupati. Gli epidemiologi lo chiamano inhibition effect.
    Ma loro hanno variabili aggregate (GDP, etc.) e non neecssariamente l’associazione che si osserva tra le variabili aggregate rappresenta un’associazione a livello individuale per cui è probabile che abbiano un problema di fallacia ecologica, per cui… io non glielo avrei pubblicato sul PNAS;)

  2. Le signore affidavano i loro cani a un allevatore che conoscevo mettendoli a pensione mentre andavano in vacanza. Due carezze e poi: «Mi raccomando, alla mattina le vitamine…e la dieta, ho portato le sue scatolette preferite…non me lo lasci alle intemperie…».

    All’ora di pranzo l’allevatore gettava al cane una fetta di polenta fredda. L’animale l’annusava e se ne andava. Poi, con l’aumentare della fame, si abituava alla polenta e ad altre piccole quantità di cibo rustico. Quando la padrona ritornava lo trovava magro, scattante e con il pelo lucido. «Vede quanto gli fanno bene le vitamine…» e tornava a casa soddisfatta. Evidentemente la grande crisi americana portò a qualcosa di simile. Meno soldi, quindi meno cibo, meno alcolici e meno vizi. E, forse, un uso più proficuo del letto: quello che a Napoli viene chiamato «Il teatro dei poveri».
    Pierbacco

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