Nella respirazione il segreto degli Pterosauri, i padroni del cielo preistorico

Pterosauro, elaborazione grafica (credit: schools.net.au)
Pterosauro, elaborazione grafica (credit: schools.net.au)

Da tempo i paleontologi cercano di capire con precisione come i primi vertebrati preistorici riuscissero a mantenersi in volo. Ora, un recente studio sembra aver svelato l’arcano, rivelando come gli Pterosauri – vissuti tra i 220 e i 65 milioni di anni fa – sfruttassero le medesime caratteristiche dei volatili dei giorni nostri per volare.

Gli Pterosauri dominarono i cieli del nostro Pianeta durante il Triassico e il Cretaceo. Questi particolari rettili in grado di volare avevano dimensioni molto differenti a seconda delle specie e spaziavano dai più piccoli, grandi quanto un passerotto, agli esemplari più grandi che potevano raggiungere le dimensioni di un aeroplano da turismo.

Dopo averne studiato per decenni l’anatomia, la maggior parte dei paleontologi  sembra ormai convenire su un’unica ipotesi: gli Pterosauri volavano sbattendo le ali e non planando. Una teoria che trova numerose rispondenze nelle caratteristiche anatomiche di questi rettili, ma che solleva non pochi interrogativi sulla capacità muscolare e metabolica posseduta da questi animali per librarsi nei cieli preistorici. Sbattere le ali mette a dura prova la muscolatura e richiede un dispendio considerevole di energia.

Determinato a fare maggiore chiarezza, nel corso degli ultimi cinque anni il paleontologo Leon Claessens (College of the Holy Cross di Worcester, USA) ha confrontato le caratteristiche di 100 fossili di Pterosauro per approfondire le sue conoscenze sull’anatomia di questi incredibili animali. Dopodiché, il ricercatore ha svolto un’accurata indagine rilevando, attraverso i raggi-X, il movimento delle ossa – durante la respirazione – di alcuni rettili e volatili dei giorni nostri.

Ottenuto sufficiente materiale, Claessens ha infine tirato le somme giungendo a un’interessante conclusione, da poco pubblicata sulla rivista scientifica PLoS One. Secondo il paleontologo la cassa toracica degli Pterosauri non era completamente rigida, come fino ad ora ipotizzato, ma in grado di espandersi e contrarsi per meglio assecondare la respirazione. Questa caratteristica consentiva agli Pterosauri di scambiare una quantità di ossigeno sufficiente per rispondere alle richieste del loro metabolismo, messo a dura prova dallo sforzo richiesto per muovere le loro ali.

Tra le ossa di questi animali si formavano, inoltre, delle vere e proprie sacche d’aria del tutto paragonabili a quelle degli attuali volatili. Più grandi erano gli esemplari, più ampie erano le sacche d’aria, che consentivano all’ossigeno di circolare con più facilità durante il volo e al tempo stesso di mantenere leggera la struttura ossea degli Pterosauri.

Le conclusioni di Claessens stanno destando molto scalpore nella comunità scientifica. Nonostante il suo studio abbia richiesto cinque lunghi anni di rilevazioni, su oltre 100 fossili, secondo i detrattori della sua teoria stabilire con certezza se la cassa toracica degli Pterosauri fosse mobile o meno sarebbe pura utopia. Inoltre, nonostante vi siano numerose affinità con i volatili dei giorni nostri, i rettili preistorici non lasciarono alcun discendente direttamente riconducibile ai pennuti che popolano oggi il nostro Pianeta.

Ulteriori studi consentiranno forse di gettare nuova luce sull’enigma legato al volo degli Pterosauri e sulle nuove evidenze portate da Claessens, anche se una risposta definitiva potrebbe non giungere mai… salvo non vedere presto nel cielo uno Pterosauro in volo.