Neuroni a basso consumo energetico

La massa del cervello umano è pari generalmente al 2% dell’intera massa corporea, eppure consuma circa il 20% delle energie a disposizione di ogni individuo. Stando ai risultati di una recente ricerca, però, il nostro cervello è probabilmente meno ingordo di quanto ipotizzato: solo una piccola porzione di quel 20% viene infatti utilizzata per i segnali elettrici dei neuroni.

neuroni credit: bio.sci.osaka-u.ac.jp

I primi a elaborare una teoria organica sulla trasmissione dei segnali elettrici nei neuroni furono i ricercatori britannici Andrew Huxley e Alan Hodgkin verso la fine degli anni Trenta, studiando l’apparato neuronale dei calamari, molto più semplice di quello umano perché meno “miniaturizzato”. Dopo aver effettuato una lunga serie di misurazioni, i due scienziati elaborarono un modello secondo il quale l’energia richiesta per trasmettere un potenziale d’azione (banalizzando un poco, un impulso nervoso) all’interno di un assone (il filamento che fuoriesce da un neurone) di calamaro è da tre a quattro volte superiore rispetto alla quantità di energia che sarebbe necessaria se l’assone fosse perfettamente efficiente. In pratica, l’assone ha un’efficienza pari al 25% – 30%.

Tale assunto, che insieme al resto del lavoro sui neuroni portò Huxley e Hodgkin a conquistare il Premio Nobel, è stato adottato per decenni dalla comunità scientifica, ma ora qualcosa potrebbe cambiare. Il neuroscienziato Henrik Alle, Max Planck Institute for Brain Research (Francoforte, Germania), ha infatti condotto una serie di ricerche innovative partendo da una semplice domanda: possibile che la natura non si sia sforzata di ottimizzare un processo così importante come la trasmissione degli impulsi neuronali?

Insieme ai suoi colleghi, Alle ha deciso di rimettere in discussione l’assunto sull’efficienza analizzando i neuroni di alcuni mammiferi. I ricercatori hanno rilevato la corrente presente nei neuroni deputati a gestire le fasi di apprendimento e della memoria nel cervello di alcuni ratti utilizzando nuove tecnologie, naturalmente non disponibili negli anni Trenta del Novecento, tra le quali spicca il patch-clamp.

I dati raccolti in laboratorio sono stati poi elaborati portando a un importante risultato: un potenziale d’azione nei neuroni dei ratti viaggia da due a tre volte più efficientemente rispetto a quanto predetto dal modello di Hodgkin e Huxley. Il grado di efficienza di tale processo non è dunque pari al 30%, ma a una cifra compresa tra i 70 e gli 80 punti percentuali. Secondo gli autori della ricerca, pubblicata sulla rivista scientifica Science, gli ioni positivi e negativi che danno origine al potenziale d’azione agiscono in maniera maggiormente coordinata nei ratti rispetto a quanto rilevato da Huxley e Hodgkin nel loro studio sui calamari. Ciò consente di rendere il processo più efficiente e dunque di organizzare al meglio il consumo di energia.

Infine, l’energia che avanza viene utilizzata per mantenere vitali i neuroni e per elaborare le informazioni. Per Alle e colleghi, una maggiore quantità di energia – rispetto a quanto ipotizzato in precedenza – verrebbe investita per trasportare i segnali da un neurone a un altro più che per spostare i segnali elettrici lungo gli assoni.

Le nuove caratteristiche messe in evidenza dal recente studio condotto al Max Planck Institute potranno aiutare i ricercatori a comprendere meglio il funzionamento del cervello, un passo fondamentale non solo per capire più approfonditamente come la nostra mente immagazzini informazioni e ricordi, ma anche per elaborare nuove procedure di cura per le patologie neuronali.