Scovato un gene legato all’effetto placebo

Schema delle principali aree del cervello (credit: Wikipedia EN)
Schema delle principali aree del cervello (credit: Wikipedia EN)

Prima di essere immessi sul mercato, i nuovi farmaci devono superare una lunga fase di test per verificarne efficacia e livelli di sicurezza. Le industrie farmaceutiche devono anche riuscire a dimostrare quanto il loro farmaco sia più efficace di un semplice placebo. In molti casi, infatti, i farmaci fittizi si rivelano efficaci quanti i farmaci veri e propri. Da tempo i ricercatori cercano di capire come il nostro organismo riesca a trovare dei benefici da un placebo. Una nuova ricerca potrebbe forse fornire presto una risposta a questa annosa domanda, grazie a un particolare gene da poco identificato.

In linea di massima, un placebo si dimostra efficace quando i pazienti credono di ricevere una cura vera e propria con un medicinale reale. L’idea di essere curati innesca una particolare risposta nel nostro organismo, che si mette a produrre la dopamina, un neurotrasmettitore in grado di alleviare i sintomi derivanti dal dolore cronico o dalla depressione. Ma come contribuisce l’effetto placebo nell’alleviare altre patologie?

Un gruppo di ricerca guidato da Tomas Furmark, della Uppsala University (Svezia), ha provato a fornire una risposta a questa domanda. Il team ha studiato una particolare patologia, la fobia sociale (che porta gli individui che ne sono affetti ad avere una profonda paura del giudizio degli altri) e gli effetti del placebo sulla amigdala, un’area del cervello implicata nello sviluppo del particolare stato ansioso. I ricercatori hanno condotto un test su alcuni pazienti affetti da fobia sociale. I volontari sono stati suddivisi a caso in due gruppi, al primo gruppo è stata assegnata una terapia quotidiana a base di serotonina, mentre al secondo una semplice pillola di zucchero al giorno spacciata come medicinale.

All’inizio dell’esperimento, durato complessivamente otto settimane, ai volontari è stato richiesto di tenere un breve discorso dinanzi a un gruppo di persone, un evento in grado di scatenare molta ansietà negli individui affetti da fobia sociale. Le reazioni dei soggetti sono state analizzate monitorando le attività cerebrali nell’area dell’amigdala. La medesima procedura è stata effettuata al termine delle otto settimane, così da consentire ai ricercatori di confrontare i dati sull’attività cerebrale raccolti all’inizio dell’esperimento.

Il placebo, ovvero le pillole di zucchero, si è dimostrato sufficiente per domare la fobia sociale in una decina di pazienti su 25 e i test su questi soggetti hanno evidenziato una sensibile riduzione nei livelli di attività dell’amigdala. In seguito, i ricercatori hanno effettuato un’attenta analisi del patrimonio genetico dei dieci pazienti, rilevando nel DNA di ben otto individui la presenza di una particolare mutazione di un gene in grado di regolare i livelli di produzione della serotonina, il gene TPH2. La scoperta, pubblicata sulla rivista Journal of Neuroscience, costituisce il primo caso di una informazione genetica direttamente riconducibile a un effetto placebo.

La scoperta apre numerosi scenari e con non poche implicazioni morali ed etiche. Se da un lato conoscere la predisposizione genetica dell’organismo all’effetto placebo potrebbe contribuire a progettare nuove procedure di cura per talune patologie, legate principalmente al disagio e alla depressione, dall’altro potrebbe spingere l’industria farmaceutica a selezionare in maniera differente i pazienti sui quali effettuare i test di controllo prima dell’immissione sul mercato di un nuovo farmaco. Ma è bene ricordare che la scienza non è mai malvagia, è l’uso che spesso se ne fa ad esserlo…