Se l’influenza A (H1N1) lascia senza fiato

H1N1Sembrano giungere notizie confortanti sull’influenza A (H1N1) dall’Australia e dalla Nuova Zelanda, aree nelle quali il virus ha già espresso buona parte del proprio potenziale durante l’inverno australe. Stando a una recente ricerca, la maggior parte degli individui colpiti da grave insufficienza respiratoria a causa dell’influenza A sono riusciti a sopravvivere grazie a un trattamento per arricchire il sangue di ossigeno.

Una delle complicazioni più pericolose legate all’influenza è la possibilità di incorrere in una sindrome da distress respiratorio (ARDS), una condizione che può portare a danni diffusi dei capillari alveolari a tal punto da causare una forte insufficienza respiratoria e il formarsi di liquido nei polmoni. Alcuni pazienti con H1N1, rivela lo studio, sono stati curati attraverso dispositivi biomedicali per la ossigenazione con membrana extracorporea (ECMO) per ridimensionare la gravità dell’insufficienza respiratoria ottenendo risultati molto promettenti.

Semplificando un poco, la ossigenazione con membrana extracorporea consente di far fluire il sangue in un ossigenatore supplendo temporaneamente al sistema respiratorio del paziente. Tale sistema è stato utilizzato per curare alcuni pazienti che avevano livelli di ossigeno nel sangue molto bassi tali da far temere per la loro stessa sopravvivenza. L’impiego della ECMO al posto della normale ventilazione con respiratori si è rivelato più efficace per ripristinare i giusti valori di ossigeno.

La ricerca è stata condotta dall’Australia and New Zealand Extracorporeal Membrane Oxygenation Influenza Investigators in collaborazione con l’Australian and New Zealand Intensive Care Research Centre della Monash University (Melbourne) sui pazienti ricoverati con influenza A e complicazioni respiratore trattate con ECMO in 15 centri di terapia intensiva in Australia e Nuova Zelanda tra il primo giugno e il 31 agosto del 2009. I ricercatori hanno raccolto un’ampia serie di dati come l’incidenza delle patologie a carico dell’apparato respiratorio, le condizioni cliniche dei singoli pazienti, la gravità delle disfunzioni polmonari, la durata della terapia con ECMO e l’incidenza dei decessi.

Di prossima pubblicazione sulla rivista scientifica JAMA, ma già in parte disponibile online per il suo valore di pubblica utilità, lo studio ha rilevato come 68 pazienti colpiti da influenza A con sindrome da distress respiratorio siano stati trattati con ECMO. Altri 133 individui con influenza A hanno invece ricevuto, dalle medesime strutture ospedaliere, un trattamento con respiratori, ma non ECMO. I 68 pazienti trattati con la ossigenazione con membrana extracorporea avevano un’età media intorno ai 34 anni ed erano per metà di sesso maschile.

Il trattamento con ECMO è durato mediamente 10 giorni: 54 dei 68 pazienti sono sopravvissuti alle complicazioni polmonari anche grazie alla ossigenazione extracorporea, mentre 14 (il 21%) sono morti. Al momento della chiusura della ricerca, 6 pazienti erano ancora ricoverati presso le strutture di terapia intensiva, 16 pazienti erano ancora in ospedale e ben 32 erano già stati dimessi in buone condizioni di salute.

Secondo gli autori dello studio, i dati statistici raccolti sul campo potranno consentire alle strutture sanitarie di organizzare meglio i trattamenti, optando se necessario anche per la ECMO nei casi dei pazienti più gravi dopo una attenta valutazione del rapporto tra rischi e benefici. I sistemi per la ossigenazione con membrana extracorporea possono essere, infatti, utilizzati per un periodo limitato di tempo e in alcuni casi possono esporre i pazienti a rischi connessi a emorragie, problemi di coagulazione, danni agli organi e infezioni.

Come dimostrano i numeri della ricerca, l’influenza A ha comunque causato un numero limitato di casi gravi di sindrome da distress respiratorio in soggetti maggiormente esposti a questo genere di patologie. Senza sottovalutare i possibili effetti del virus, occorre dunque evitare di finir preda di facili e deleteri allarmismi.