Veronesi: più Scienza e meno armi

AVoiComunicare, il blog coordinato da Telecom Italia per offrire uno spazio di dialogo e confronto tra utenti della Rete e personaggi di spicco della società civile, ha da poco avviato un’interessante collaborazione con Science for Peace, il progetto nato su iniziativa di Umberto Veronesi per «la nascita di un grande movimento per la pace alla cui guida vede impegnato il mondo della scienza».

Punto fondante del nuovo movimento è la proposta di ridurre le spese per gli armamenti in modo tale da porter dedicare più risorse alla ricerca scientifica. Un obiettivo ambizioso e difficile da realizzare in tempi brevi, ma che potrebbe portare a una significativa rivoluzione per la ricerca e per la salute di centinaia di milioni di persone in tutto il mondo. Leggi tutto “Veronesi: più Scienza e meno armi”

Enigma depressione: il gene della discordia

depressioneNon giungono buone notizie dal fronte della ricerca sulla depressione. Dopo una attena analisi di un precedente studio, un gruppo di ricercatori ha messo seriamente in dubbio la possibilità di un collegamento tra una variante genetica scoperta nel 2003 e l’insorgenza degli stati depressivi negli individui predisposti.

Circa sei anni fa,  attraverso l’analisi di 847 volontari il ricercatore Avshalom Caspi aveva scoperto che gli individui portatori di una versione corta (allele corto) del gene trasportatore della serotonina (un neurotrasmettitore implicato nella regolazione dell’umore) avevano molte più probabilità di entrare in stati depressivi rispetto a coloro con gli alleli lunghi. Si ipotizzava infatti che le condizioni avverse della vita potessero portare in qualche modo il gene a produrre meno serotonina, determinando così la depressione. Una scoperta rivoluzionaria, che portò molto ottimismo nella comunità scientifica, da tempo alla ricerca di cure più efficaci per contrastare gli stati depressivi.  Leggi tutto “Enigma depressione: il gene della discordia”

Due proteine rendono le cellule tumorali più resistenti alla chemioterapia

Quali differenze fanno sì che alcune cellule tumorali rispetto ad altre sopravvivano alla chemioterapia, lasciando così la porta aperta a nuove metastasi?

Celulla cancerogena al microscopio elettronico
Celulla cancerogena al microscopio elettronico

Rispondere a una domande del genere non era certo semplice, ma i ricercatori del Weizmann Institute non si sono dati per vinti e hanno avviato una meticolosa ricerca, sviluppando nuove procedure per immortalare e analizzare migliaia di cellule sottoposte agli effetti della chemioterapia. Lo studio, pubblicato sulla rivista scientifica Science, ha consentito di comprendere meglio le reazioni innescate dai farmaci chemioterapici nelle cellule e le loro risposte ai trattamenti clinici antitumorali.

I ricercatori Ariel Cohen, Naama Geva-Zatorsky ed Eran Eden hanno analizzato il comportamento di circa 1000 differenti proteine coinvolte nei processi di sopravvivenza delle cellule. L’intero lavoro di ricerca è durato diversi anni: per ogni gruppo di cellule tumorali si è resa necessaria la corretta mappatura delle proteine in esse presenti grazie a un gene, rilevabile perché fluorescente, e a una serie di fotografie scattate a intervalli regolari per 72 ore consecutive. Terminata la mappatura, i ricercatori hanno iniettato in ogni gruppo di cellule un farmaco chemioterapico, osservando poi i processi che portavano alla morte di alcune cellule e alla resistenza di altre. Leggi tutto “Due proteine rendono le cellule tumorali più resistenti alla chemioterapia”

C’è un enzima tra le cause dell’artrite reumatoide

microscopioLa ricerca per contrastare l’artrite reumatoide segna un nuovo punto a suo favore. Un gruppo di ricercatori ha scoperto nuovi importanti dettagli sulle cause che portano a questa particolare patologia, che comporta un progressivo assottigliamento delle ossa e una dolorosa deformazione delle articolazioni tale da precludere anche i più semplici movimenti a chi ne è affetto.

Semplificando molto, l’artrite reumatoide è causata da un comportamento errato del nostro sistema immunitario – la nostra principale difesa contro malattie, virus e batteri – che identifica le ossa come corpi estranei del nostro organismo e dunque da distruggere attraverso specifiche reazioni chimiche. Il Fattore di Necrosi Tumorale alfa (TNF-alfa) è uno degli elementi che portano alla distruzione delle ossa e delle cartilagini. Il TNF-alfa è inoltre in grado di influenzare la massa delle ossa condizionando sensibilmente le dinamiche che portano alla costante rigenerazione dell’apparato scheletrico.

Per mantenere costante la resistenza delle ossa, l’organismo umano procede ha una continua opera di smantellamento e ricostruzione. Due tipi di cellule, gli osteoclasti e gli osteoblasti, si occupano di questo delicato compito seguendo i segnali che ricevano da alcune molecole regolatrici come quelle del TNF-alfa. Gli osteoclasti provvedono a smantellare le cellule dell’osso ormai invecchiate preparando la strada per gli osteoblasti che costruiscono invece le nuove parti dell’osso. In un organismo sano, osteoblasti e osteoclasti lavorano in perfetto equilibrio, consentendo una costante rigenerazione delle ossa. Leggi tutto “C’è un enzima tra le cause dell’artrite reumatoide”

Acido solfidrico: da veleno a cura per il cuore

Nonostante possa rilverarsi un pericoloso veleno, a basse concentrazioni l’Acido Solfidrico (H2S) potrebbe diventare presto un ottimo alleato dell’uomo per combattere l’infarto.

Modello struttura H2S Acido solfidrico
Modello struttura H2S Acido solfidrico

Un gruppo di ricercatori della Emory University School of Medicine (Atlanta, USA) ha, infatti, scoperto come l’acido solfidrico possa contribuire ad attenuare i devastanti effetti dovuti a un arresto cardiaco. Il team di ricerca ha analizzato alcuni particolari enzimi presenti nel nostro organismo che sintetizzano piccole dosi di acido solfidrico, utilizzate per regolare la pressione sanguigna e contrastare le infiammazioni. Una difesa prodotta naturalmente dal nostro organismo che ha incuriosito non poco i ricercatori, determinati ad approfondire gli effetti dell’acido solfidrico sull’apparato cardiocircolatorio.

Attraverso una serie di esperimenti in laboratorio su alcune cavie, il team di ricerca ha riscontrato come una somministrazione regolare di acido solfidrico mitiga nei soggetti predisposti a infarto gli effetti di un attacco cardiaco. Dopo quattro settimane, le cavie trattate con l’acido solfidrico hanno fatto registrare un sensibile miglioramento della loro capacità cardiaca rispetto al gruppo di controllo. Il medesimo risultato è stato poi ottenundo inducendo l’organismo dei topolini a produrre autonomamente più H2S. Leggi tutto “Acido solfidrico: da veleno a cura per il cuore”

Diagnosticare l’Alzheimer dalle proteine del sangue

Una ricerca condotta su alcuni pazienti affetti da Alzheimer ha rilevato l’esistenza di alcune specifiche proteine nel sangue che potrebbero essere utilizzate per diagnosticare il “morbo dell’oblio” in maniera precoce ed efficace.
L’unico metodo finora utilizzato dai medici per diagnosticare l’Alzheimer prevede una serie di analisi mirate ad escludere altre possibili patologie. A oggi, infatti, non esiste un test definitivo per questa terribile malattia, se non l’analisi post mortem dei tessuti cerebrali e dei marcatori del morbo.

Area in cui è riscontrabile la presenza dell’Alzheimer nel cerebro umanoDopo numerosi anni di studio, il neurologo Tony Wyss-Coray (Stanford University School of Medicine in California) ha recentemente pubblicato sulla prestigiosa rivista Nature Medicine i sorprendenti risultati delle sue ricerche sui biomarcatori dell’Alzheimer, la “firma” del morbo riscontrabile negli individui affetti dalla malattia.
Grazie all’impegno del suo gruppo di ricercatori, Wyss-Coray ha identificato una combinazione particolare di 18 proteine in grado di indicare la presenza – anche nei primissimi stadi – del morbo di Alzheimer. Se i prossimi test confermeranno l’importante scoperta, sarà possibile diagnosticare la malattia con un banalissimo esame del sangue. Le persone positive al test potrebbero così iniziare da subito le terapie, oggi sempre più mirate, tese a rallentare i devastanti effetti dell’Alzheimer.

Neuroni sani a confronto con neuroni danneggiati dal morbo di Alzheimer [photo credit: GHI]Per raggiungere questo promettente risultato, i ricercatori guidati da Wyss-Coray hanno esaminato le proteine presenti in 259 campioni di sangue, provenienti da individui affetti o meno dalla malattia. Il team di ricerca ha poi focalizzato la propria attenzione sulle 120 proteine maggiormente utilizzate dalle cellule per comunicare tra loro, e su un gruppo di 18 aggregati proteici rinominato communicode. “Abbiamo pensato che queste proteine, presenti nel sangue, potessero portare qualche traccia dal cervello sulla presenza o meno della malattia” ha dichiarato un entusiasta Wyss-Coray.
I ricercatori hanno notato che un set di 18 proteine “addette alle comunicazioni” si presentavano con livelli di concentrazione molto differenti tra gli individui affetti da Alzheimer e tra quelli sani. Comparando i risultati dei test effettuati su 20 pazienti, cui era già stato diagnosticato il morbo, il team di ricerca ha dimostrato come la forte concentrazione del set di 18 proteine sia un indicatore molto affidabile per rilevare la presenza dell’Alzheimer.

La scoperta di Wyss-Coray potrebbe condurre presto a un nuovo test per verificare, in maniera molto più affidabile e diretta, la presenza dell’Alzheimer. La diagnosi precoce del morbo è fondamentale per arginare da subito i suoi effetti devastanti.
Nonostante ad oggi non esista una cura definitiva per il morbo, i numerosi protocolli terapeutici affinati in questi ultimi anni consentono di rallentare drasticamente la corsa dell’Alzheimer che porta chi ne è affetto a un inesorabile oblio.