Dai broccoli la cura contro le malattie genetiche della pelle

Il sulforafano, un tipo di molecola costituita da numerosi elementi presenti nei broccoli e altre bressicaceae (cavolo, rapa, cavolfiore…), è da tempo conosciuto per le sue notevoli proprietà preventive nei confronti del cancro. Ora, questa particolare molecola si è dimostrata molto efficace per trattare l’epidermolysis bullosa simplex (EBS), una patologia ereditaria che affligge la pelle rendendola estremamente fragile e soggetta a irritazioni anche molto estese e gravi. La scoperta è stata recentemente comunicata dal prof. Pierre Coulombe, della Johns Hopkins University School of Medicine (Baltimora – USA), che ha condotto una lunga serie di analisi con il proprio team di ricerca.

Vescicole causate dalla Epidermolysis bullosa simplex [credit: skincareguide.ca]L’EBS è una malattia rara, ma estremamente dolorosa e pericolosa per chi ne è affetto. A causa di questa patologia ereditaria, la pelle si riempie di vere e proprie vesciche piene di acqua. Talvolta a causare questi sfoghi cutanei basta il semplice attrito di un asciugamano sulla pelle. Al momento non esiste cura per questa malattia, ma solamente alcuni trattamenti palliativi generalmente poco efficaci.
Nei pazienti che soffrono di EBS, gli strati più profondi di epidermide – costituiti da particolari cellule chiamate cheratinociti – sono estremamente fragili e si rompono con molta facilità. A livello molecolare, la maggior parte dei casi di EBS è causata dalla mutazione del gene deputato a produrre le proteine cheratina-5 (K5) e cheratina-14 (K14). Queste proteine si combinano per formare i particolari filamenti del citoscheletro (la struttura “ossea” della cellula) nei cheratinociti.

dna.jpgPartendo da queste conoscenze, il team di ricercatori guidato da Coulombe ha cercato di sopperire alla mancanza delle proteine utilizzando le potenzialità del sulforafano. Il codice genetico dei mammiferi contiene le istruzioni per creare ben 54 tipi diversi di proteine cheratiniche, a dimostrazione di quanto il processo evolutivo abbia sempre premiato la presenza di questi elementi nel nostro DNA. Molte di queste proteine sono estremamente simili tra loro e svolgono spesso funzioni praticamente identiche. Coulombe ha così pensato di sfruttare questo enorme potenziale, cercando di creare delle proteine cheratiniche “supplenti” per colmare i vuoti lasciati da K5 e K14.

I ricercatori hanno così identificato le strette parenti delle proteine mancanti, ovvero K6, K17 e K16. Nei test di laboratorio queste supplenti si sono dimostrate estremamente efficienti nel riparare ai danni causati dalla mancanza di K5 e K14. E qui entra in gioco il sulforafano. Recenti studi, pubblicati sulla rivista scientifica PNAS la scorsa estate, hanno dimostrato la capacità del sulforafano di indurre la produzione di K17 e K16 nei cheratinociti. Il trattamento con questa molecola, di cui sono ricchi i broccoli, ha consentito di far regredire sensibilmente gli effetti devastanti della EBS sulla cute. Considerati i risultati incoraggianti ottenuti in laboratorio, dovrebbero partire presto i primi trial clinici per verificare l’effettiva efficacia del trattamento a base di sulforafano anche negli esseri umani. Occorrerà ancora molto tempo prima di poter usufruire di un innovativo farmaco contro la EBS, ma la strada intrapresa è molto promettente e potrebbe porre presto fine a questa terribile malattia invalidante.

Un dinosauro velocista

Edmontosauro [credit: leute.server.de]Essere un dinosauro erbivoro non era la cosa più semplice nelle antiche ere preistoriche. Per sopravvivere ai grandi predatori, come il famigerato T-rex, occorreva essere dei veri maestri nel nascondersi o dei campioni nella corsa per sfuggire alle sue temibili grinfie. Strano ma vero, alcuni paleontologi hanno recentemente scoperto una nuova specie di dinosauro erbivoro in grado di fare entrambe le cose. Almeno a giudicare dai suoi resti fossili.

Dakota, questo il soprannome attribuito al dinosauro, era in grado di correre a una velocità di 15 chilometri all’ora in più rispetto al suo nemico ed era dotato di una pelle molto particolare, in grado di mimetizzarsi perfettamente con la vegetazione. I paleontologi che hanno effettuato la scoperta sono rimasti letteralmente sorpresi dal livello di conservazione del dinosauro. Evento più unico che raro, i resti del lucertolone si sono come mummificati, preservando così non solo le ossa, ma anche la pelle e numerosi tessuti molli. «È qualcosa di meraviglioso potersi avvicinare e osservare la pelle che lo riveste. Questa non è una semplice “impronta” della pelle, è tessuto fossilizzato. C’è un’enorme differenza tra le due cose» ha dichiarato entusiasta Phil Manning, paleontologo alla Manchester University, che ha condotto le ricerche.

Pelle fossilizzata di Dakota [credit: Tyler Lyson © 2007 National Geographic]L’incredibile stato di conservazione dei resti ritrovati sta consentendo ai ricercatori di comprendere molte cose sul movimento e sulla fisionomia del dinosauro. Questa “mummia di dinosauro” di 3.600 kg è un esemplare della famiglia Hadrosauridae, morto all’incirca 65 milioni di anni fa, poco prima della completa estinzione dei dinosauri, avvenuta probabilmente a causa dell’impatto di un meteorite sulla Terra.
Generalmente i tessuti molli e la pelle non fanno parte dei ritrovamenti fossili, sono parti ricche di acqua che tendono a degenerare molto rapidamente senza lasciare praticamente traccia. In questo caso specifico, invece, una fortunata combinazione chimica degli elementi costituenti il fango che ricoprì il cadavere del dinosauro rallentò la decomposizione dei tessuti, consentendone la fossilizzazione.

Struttura ossea di Edmontosauro [credit: trieboldpaleontology.com]L’esemplare, appartenente alla famiglia degli Hadrosauri, fu ritrovato nel 1999, ma ne fu sottovalutata l’importanza per numerosi anni. Soltanto nel 2004 ricerche più approfondite portarono alla luce i resti di pelle fossilizzata, rendendo Dakota un dinosauro estremamente interessante per i paleontologi. Con ogni probabilità l’esemplare è un Edmontosauro vissuto nella aree acquitrinose ricche di vegetazione del Nord Dakota.
Grazie alle prime misurazioni effettuate sui resti fossili, i paleontologi sono riusciti a stabilire con maggiore precisione le caratteristiche di questo tipo di dinosauro. A differenza di quanto si fosse precedentemente immaginato, gli esemplari di Edmontosauro erano estremamente veloci: con i loro 45 km all’ora erano in gradi di correre molto più rapidamente del temibile Tyrannosaurus Rex.

Ma la scoperta più sorprendente non riguarda tanto la velocità di questo dinosauro, quanto le informazioni anatomiche fornite dai suoi tessuti fossilizzati, che potrebbero cambiare radicalmente la nostra visione di questi giganti del passato.
Analizzando i resti di Dakota, i paleontologi hanno scoperto che le vertebre di questi mastodonti erano separate da almeno un centimetro di tessuto. Le dimensioni degli esemplari riprodotti nei musei di tutto il mondo sarebbero dunque sottostimate: un dinosauro con 200 vertebre sarebbe lungo due metri in più rispetto alla ricostruzione effettuata con i tradizionali canoni finora utilizzati dai paleontologi. Una differenza di non poco conto. [fonte principale: Guardian]

La galassia fantasma riscoperta da Hubble

Lassù nel cosmo, fa bella mostra di sé questo “gorgo celeste” distante circa 32 milioni di anni luce dalla Terra. Nella sua magnifica orbita, la galassia racchiude oltre 100 miliardi di stelle e può essere osservata con facilità nelle notti molto limpide con un semplice binocolo. Questo insieme di corpi celesti è conosciuto dagli astronomi amatoriali come “galassia fantasma”. Tale appellativo fu ideato dallo scienziato-scrittore Steven James O’Meara nel suo libro The Messier Objects poiché, osservandola con un telescopio poco potente, la galassia può apparire come una macchia trasparente simile a un fantasma che fluttua nel Cosmo.

NGC 628 fotografata da Hubble [credit: hubblesite.org]

L’immagine [qui ad altissima definizione 2,30Mb] è stata scattata da Hubble, il telescopio spaziale che da oltre 17 anni regala immagini incredibilmente suggestive, ma soprattutto dall’immenso valore scientifico.
La galassia fu scoperta e analizzata dagli astronomi francesi Pierre Méchain e Charles Messier nel XVIII secolo, quando fu battezzata “Messier 74”. Nella nuova catalogazione dei corpi celesti, la galassia è stata registrata con il codice un po’ criptico “NGC 628”, che non ne ha comunque turbato il fascino. L’immagine è stata ottenuta da un collage di fotografie e dati rilevati tra il 2003 e il 2005 da alcuni sensori del telescopio spaziale.
Mentre i due bracci formanti la spirale indicano tipo e caratteristiche principali di NGC 628, il colore rosa chiaro denota l’età relativamente giovane della galassia e identifica le regioni in cui i gas di idrogeno ionizzato si fondono con le stelle in formazione.

Mappa per identificare NGC628 nel cielo