Il latte fa bene anche alla evoluzione

Il latte è sicuramente una preziosa fonte di calcio, ma in tempi ormai remoti ha anche costituito una risorsa fondamentale per l’evoluzione dei mammiferi. A dimostrarlo è una innovativa ricerca genetica, che ha evidenziato come l’allattamento si sia sviluppato ben prima che i mammiferi diventassero tali abbandonando la deposizione delle uova, retaggio dei rettili loro antenati. Secondo lo studio, il latte avrebbe favorito i cambiamenti biologici che progressivamente portarono alla gravidanza e al parto, come li conosciamo oggi, tra i mammiferi.

I primi mammiferi apparvero sul Pianeta all’incirca 200 milioni di anni fa. Nel corso del tempo, molte specie svilupparono la capacità di allevare e nutrire il feto nell’utero, abbandonando così la deposizione delle uova e adottando l’allattamento per nutrire i loro piccoli. Da quei tempi remoti a oggi, ben poche eccezioni si sono mantenute al modello diffuso delle gravidanze uterine dei mammiferi. Queste “eccezioni” appartengono all’ordine Monotremata, di cui fanno parte quegli animali, come l’ornitorinco, che depongono le uova, ma allattano poi i loro piccoli.
Partendo da queste conoscenze, il ricercatore Henrik Kaessmann (Università di Losanna, Svizzera) ha cercato di capire quali mutazioni genetiche avessero portato molte specie animali ad abbandonare le uova e a diventare mammiferi tout cour. Leggi tutto “Il latte fa bene anche alla evoluzione”

Perché è così difficile accettare la morte di una persona a noi cara? La risposta è nei centri del piacere

Perché è così difficile accettare la morte di una persona a noi cara? Un recente studio dimostra come, paradossalmente, la causa di tanto dolore possa essere il centro del piacere del nostro cervello.

Un lutto porta la maggior parte delle persone a un forte senso di tristezza che spesso si protrae per alcune settimane e, in alcuni casi, anche per interi mesi per poi scemare gradualmente. Una piccola percentuale, invece, non riesce a uscire dal dolore provocato dal lutto a tal punto da non riuscire a condurre nuovamente una vita normale. Queste persone entrano, cioè, in uno stato di tristezza cronica.
Accurati esami condotti attraverso le risonanze magnetiche funzionali, che valutano cioè il volume di sangue che affluisce alle varie aree del cervello, avevano già dimostrato come la tristezza sia in grado di attivare le zone dell’encefalo deputate a percepire ed elaborare il dolore. Tuttavia, nessuno studio si era ancora occupato di osservare la reazione del cervello agli stati di tristezza ormai cronicizzata.

Partendo da questo presupposto, un gruppo di ricercatori guidato dalla psicologa Mary-Frances O’Connor (University of California) ha condotto accertamenti clinici su 23 donne volontarie reduci da una grave perdita nell’arco degli ultimi 5 anni di un famigliare stretto, madre o sorella, a causa del cancro al seno. Il team di ricerca ha suddiviso le donne in due gruppi: sofferenti (A) e sofferenti croniche (B). Alle volontarie sono state poi mostrate una sessantina di fotografie che riportavano l’immagine della famigliare scomparsa e quella di una persona sconosciuta, corredate con una parola legata all’area semantica del lemma “cancro” o completamente slegata dal contesto. Leggi tutto “Perché è così difficile accettare la morte di una persona a noi cara? La risposta è nei centri del piacere”