Pasti a base di bachi da seta per gli astronauti

Base Terra chiama Mission to Mars. Che cosa avete per cena?
Bachi da seta, Houston.

Un dialogo del genere potrebbe un giorno diffondersi realmente nello Spazio, almeno secondo un gruppo di ricercatori cinesi. Il baco da seta potrebbe infatti rivelarsi un’ottima risorsa per offrire pasti energetici agli astronauti impegnati nelle lunghe missioni spaziali.

Bozzoli bachi da seta
Bozzoli bachi da seta

Coprire le enormi distanze che separano la Terra da Marte (tra 100 e 56 milioni di Km a seconda del periodo) comporta lo studio di nuove soluzioni per la sopravvivenza degli astronauti nel corso del loro viaggio. Da tempo si ipotizza la creazione di piccoli ecosistemi a bordo delle navicelle spaziali per offrire ossigeno e cibo senza un grande dispendio di energia. Nel corso degli anni, per gli astronauti si sono ipotizzati menù a base di pollame, pesce o addirittura di larve di ricci di mare. Tutti questi esseri viventi hanno dimostrato di comportare non pochi effetti collaterali: il pollame richiede molto cibo e spazio, generalmente poco disponibili sulle navi spaziali, e produce numerose scorie; i pesci e i ricci di mare sono invece estremamente sensibili alle condizioni dell’acqua in cui vivono e un minimo sbalzo potrebbe portarli a morire rapidamente, lasciando così senza risorse per sopravvivere gli astronauti. Leggi tutto “Pasti a base di bachi da seta per gli astronauti”

Scovate le aree genetiche della celiachia

Frumento [credit: nouriche.com]Un gruppo di ricercatori, che nel corso del 2007 aveva identificato uno dei fattori genetici che possono predisporre alla celiachia, ha da poco scoperto altre sette aree genetiche implicate nella creazione della predisposizione alla malattia. Guidato dal prof. David van Heel, docente della The London School of Medicine and Dentistry, il team di ricerca ha inoltre dimostrato come nove delle regioni appena identificate siano implicate anche nella predisposizione al diabete di tipo 1. La ricerca, recentemente pubblicata su Nature Genetics, apre dunque la strada per uno studio maggiormente approfondito delle due patologie.

Per ottenere questo importante risultato, i ricercatori hanno condotto una lunga serie di analisi sul genoma umano, cercando tutte le possibili associazioni con la celiachia. I marcatori genetici (una sequenza di DNA conosciuta e quindi utilizzabile come “chiave di ricerca” per trovare un legame tra una malattia e la sua causa genetica) sono stati poi confrontati sul patrimonio genetico di soggetti sani e di pazienti affetti da celiachia. Così facendo, i ricercatori hanno potuto isolare sette aree specifiche, le principali responsabili dello sviluppo della malattia.

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Il curry sarà la futura cura per combattere le patologie cardiache?

Assumere curcumina, un ingrediente naturale presente nella spezia della curcuma, potrebbe ridurre drasticamente lo sviluppo di patologie cardiache, almeno secondo i ricercatori del Peter Munk Cardiac Centre of the Toronto General Hospital.

CurcumaDa poco pubblicata sulla rivista scientifica Journal of Clinical Investigation, la ricerca dimostra come il principale ingrediente del curry possa prevenire e curare i casi di ipertrofia al cuore e di malfunzionamento del muscolo cardiaco su alcuni topolini di laboratorio. Le proprietà della curcuma sono del resto molto conosciute nelle culture orientali: la medicina cinese e quella indiana prevedono l’impiego della spezia in numerosi preparati per lenire bruciature e tagli profondi.
A differenza di molti altri composti naturali, i cui effetti sono generalmente blandi, la curcuma agisce direttamente nel nucleo della cellula evitando una produzione abnorme e incontrollata degli apparati proteici. Per fare ciò, la sostanza agisce a livello dei cromosomi, interagendo dunque con la duplicazione cellulare. Leggi tutto “Il curry sarà la futura cura per combattere le patologie cardiache?”

Dolcificanti artificiali tra le cause dell’ingrassamento

Saccarosio, lo “zucchero da tavola”Recenti ricerche hanno dimostrato come l’utilizzo sempre più ampio dei dolcificanti artificiali nei regimi dietetici controllati possa rivelarsi controproducente. Secondo i ricercatori, i dolcificanti renderebbero molto più difficile il controllo delle calorie e la gestione delle risorse energetiche.

Alla Purdue University, un gruppo di psicologi ha osservato per alcuni giorni il comportamento di due gruppi di topolini. Al primo team di roditori è stato somministrato dello yogurt dolcificato con glucosio (zucchero semplice), mentre al secondo è stato offerto dello yogurt addizionato con del dolcificante privo di calorie. I topolini appartenenti al secondo gruppo hanno successivamente dimostrato una maggiore propensione ad acquisire un maggior numero di calorie, per recuperare quelle non ingerite con lo yogurt, aumentando sensibilmente il loro peso corporeo.
Secondo Susan Swithers, principale autrice della ricerca, la rottura del legame tra una sensazione dolce e un cibo altamente calorico renderebbe l’organismo incapace di regolare con precisione il fabbisogno energetico giornaliero. La scoperta spiegherebbe il costante aumento di persone obese in relazione alla progressiva introduzione di cibi “light” edulcorati con i dolcificanti artificiali. Leggi tutto “Dolcificanti artificiali tra le cause dell’ingrassamento”

I liquidi caldi stimolano il rilascio di sostanze pericolose in alcune plastiche alimentari

La contaminazione da Bisfenolo A (BPA), un componente potenzialmente pericoloso presente nelle plastiche alimentari, dipende maggiormente dalla temperatura del cibo che dal grado di usura del contenitore. Questa l’interessante conclusione cui è giunto un team di ricercatori della University of Cincinnati (USA), impegnato a misurare le quantità di Bisfenolo A presente nei policarbonati.

Bottiglie in plasticaIl prof. Scott Belcher e il suo gruppo di ricerca hanno scoperto che l’esposizione di bottiglie di plastica, vecchie e nuove, a della semplice acqua bollente aumenta di circa 55 volte il rilascio di Bisfenolo A, un composto organico in grado di imitare il comportamento di alcuni estrogeni (i principali ormoni sessuali femminili).
«Studi precedenti avevano dimostrato come, messe a dura prova con temperature molto alte e incisioni sulla loro superficie, le bottiglie di plastica rilasciassero grandi quantitativi di BPA. Partendo da queste esperienze, abbiamo provato a misurare l’emissione di Bisfenolo A che potrebbe verificarsi con un utilizzo normale di questi materiali, cercando di capire quali potessero essere le principali cause responsabili del rilascio di BPA» ha dichiarato il prof. Belcher, che ha guidato la ricerca.

Prima di compiere i loro esperimenti in laboratorio, i ricercatori hanno cercato di capire per quali scopi vengano normalmente utilizzate le bottiglie di plastica e per quanto tempo, prima di essere definitivamente buttate o riciclate. È così emerso un dato sorprendente: anche a distanza di sei/sette anni dalla loro produzione, le bottiglie di plastica rilasciano lo stesso ammontare di BPA rispetto ai contenitori appena prodotti. La principale causa che comporta la contaminazione da BPA non è però data dall’età delle bottiglie, ma dalla temperatura del liquido riversato al loro interno. Maggiore è il calore sviluppato, maggiori sono i quantitativi di BPA rilasciati dai policarbonati che costituiscono la bottiglia.
Per giungere a questo risultato, i ricercatori hanno analizzato per sette giorni consecutivi alcune comunissime bottigliette di plastica per l’acqua, vecchie e nuove, simulandone un normale utilizzo. Tutte le bottiglie hanno rilasciato gli stessi quantitativi di BPA, senza alcuna sostanziale differenza. I livelli di Bisfenolo A sono sensibilmente aumentati quando le bottiglie sono state sottoposte a temperature molto alte. In questo caso, i BPA hanno contaminato l’acqua a velocità sempre più alte, da 15 a 55 volte rispetto alle condizioni standard misurate precedentemente. Da 0,2-0,8 nanogrammi per ora, si è passati a 8-32 nanogrammi ogni sessanta minuti. Leggi tutto “I liquidi caldi stimolano il rilascio di sostanze pericolose in alcune plastiche alimentari”

Prevenire i tumori con il tè verde?

Il tè verde svolge un’importante funzione antitumorale contro le cellule del cancro al seno. Non ha dubbi un gruppo di scienziati guidato da Radha Maheshwari, docente alla Uniformed Services University of Health Sciences, che ha dedicato un meticoloso studio sulle proprietà antitumorali del tè verde di prossima pubblicazione sulla rivista specializzata Journal of Cancer Biology and Therapy.

Tipicamente, il cancro è una patologia causata dalla proliferazione incontrollata di alcune cellule che porta alla creazione di una massa tumorale benigna o maligna. Le cellule dei tumori maligni sono in grado di staccarsi dalla coltura in cui sono nate, per poi proliferare in altre aree dell’organismo formando nuove masse (metastasi). Per fare ciò, le cellule tumorali si intrufolano nelle “autostrade” del nostro organismo, come la circolazione sanguigna e il sistema linfatico, per poi raggiungere i nuovi tessuti sani in cui attecchire e provocare seri danni.
Uno stadio di metastasi avanzato significa, nella maggior parte dei casi, una condizione ormai irreparabile per il nostro organismo, che comporta la morte dell’individuo che ne è affetto anche nel giro di pochi mesi. A differenza di quelli maligni, i tumori benigni non invadono, salvo rare eccezioni, altre parti del nostro organismo prefigurandosi dunque come patologie meno pericolose per la salute di chi ne è affetto. La chemioterapia, cioè uno specifico cocktail di farmaci, consente di arginare i danni causati dalla malattia e in molti casi di curarla in maniera definitiva, ma spesso con drammatici effetti collaterali.

Cellule tumorali del cancro al seno [credit: science.nasa.gov]Grazie ai suoi studi e ai numerosi esperimenti di laboratorio, il team guidato da Maheshwari ha osservato una particolare capacità del tè verde nell’inibire le capacità invasive delle cellule tumorali che colpiscono il seno. Inoltre, precedenti ricerche condotte sempre da Maheshwari hanno dimostrato come il tè verde sia in grado non solo di arginare l’aggressività delle cellule tumorali, ma anche di farle progressivamente regredire fino a ucciderle e renderle completamente innocue.
Numerosi studi epidemiologici sembrano confermare le conclusioni cui sono giunti i ricercatori: il rischio di contrarre il cancro al seno è più basso nelle aree asiatiche in cui il consumo di tè verde è molto diffuso. Questi dati forniscono solide basi per la ricerca di Maheshwari e dimostrano come alcuni nutrienti del tè verde, debitamente isolati, potrebbero essere studiati per la creazione di nuovi e più efficaci farmaci per i trattamenti chemioterapici. La ricerca è naturalmente ancora agli albori, ma il percorso tracciato pare davvero promettente. Non male per una semplice fogliolina di tè.