Come funzionano i detersivi? E come agiscono sullo sporco?

Il segreto della maggior parte dei detersivi consiste in una sostanza chimica in grado di rendere l’acqua “più bagnata”. A differenza di quanto si possa immaginare, l’acqua non è un liquido che bagna in maniera molto efficiente, ossia non si disperde in misura abbastanza capillare sulle cose. Ciò è dovuto alla tensione superficiale, una particolare proprietà che mantiene le molecole d’acqua estremamente coese tra di loro. La tensione superficiale crea una sorta di pellicola intorno all’acqua, rendendola ad esempio un’ottima portaerei per numerosi insetti volanti che vi possono camminare sopra senza bagnare le proprie ali e sprofondare.

L’aggiunta di detersivo indebolisce le forze intramolecolari e riduce la tensione superficiale, rendendo l’acqua “più liquida” e in grado di bagnare meglio gli oggetti. Durante il lavaggio, l’acqua miscelata al detersivo penetra con maggiore facilità nelle fibre dei tessuti e aiuta a eliminare più efficacemente le tracce di sporcizia e di grasso.

Uno dei principi attivi più diffusi nei detersivi, non a base di sapone, è un derivato del petrolio: l’alchilbenzene. Possiamo immaginare le molecole del detersivo come dei piccoli girini, dotati quindi di testa e coda. La testa viene attratta dalle molecole d’acqua (è cioè idrofila), queste sono infatti caricate positivamente mentre il capo dei “girini” possiede una carica negativa. La coda, invece, ha la medesima carica dell’acqua ed è quindi respinta (è idrofoba). Leggi tutto “Come funzionano i detersivi? E come agiscono sullo sporco?”

Come si fa il dentifricio?

dentifricioFino a circa metà Ottocento, potersi lavare i denti con prodotti sufficientemente adeguati costituiva un piccolo privilegio, accessibile a poche persone abbienti. Si utilizzavano generalmente delle particolari polveri dentifricie, costituite da corallo, ossi di seppia, gusci d’uovo o porcellana, il tutto macinato finemente. La polvere poteva essere tinta di rosso con la cocciniglia, una sostanza colorante estratta da una specie di insetto che porta il medesimo nome.

Le paste dentifricie di oggi – bianche, colorate o a strisce – contengono generalmente una decina di ingredienti. Alcuni svolgono una funzione di pulizia o di protezione dei denti, mentre altre sostanze vengono utilizzate per conferire alla pasta un sapore gradevole o la giusta consistenza per uscire omogeneamente dal tubetto/dispenser. L’ingrediente principale della parte bianca della pasta è il calcare (carbonato di calcio), finemente polverizzato, o un altro minerale come l’ossido di alluminio. Si tratta di polveri lievemente abrasive in grado di eliminare la pellicola opacizzante depositata sui denti dal cibo e dalle bevande, contenente sostanze in decomposizione che causano la formazione della placca dentaria. Come sbiancante, a volte, si usa l’ossido di titanio. Leggi tutto “Come si fa il dentifricio?”

Come si fa un fiammifero? E come funziona?

Un poco di attrito accende la fiamma, ma come funzionano e vengono prodotti i fiammiferi?

fiammiferoIl principale antenato del fiammifero moderno fu creato dal farmacista inglese John Walker verso la fine degli anni Venti del 1800. I primi prototipi funzionavano discretamente bene, ma talvolta non riuscivano a innescare la fiamma. Pochi anni dopo un altro arguto inventore, Charles Suria, perfezionò il funzionamento dei fiammiferi inserendo nella loro capocchia il fosforo bianco. I fiammiferi di questo tipo venivano chiamati solitamente “luciferi” e furono il modello più utilizzato nel corso dell’Ottocento.

I luciferi si accendevano con facilità, ma avevano il terribile difetto di rilasciare gas tossici, rivelandosi mortali. Il fosforo bianco emetteva, infatti, vapori velenosi e una lunga esposizione a questi poteva condurre all’insorgenza di patologie molto gravi e spesso incurabili. Il tasso di mortalità nelle fabbriche che producevano i luciferi era estremamente alto, tanto da indurre nei primi anni del Novecento a bandire la produzione di fiammiferi contenenti fosforo bianco.

Entrato in vigore il divieto, per i fiammiferi si cominciò a utilizzare il sesquisolfuro di fosforo unitamente al clorato di potassio. Lo sfregamento su una superficie ruvida portava la capocchia a scaldarsi repentinamente innescando così la reazione chimica che portava alla produzione della fiamma. Un principio di funzionamento relativamente semplice e potenzialmente rischioso, poiché anche un attrito involontario poteva causare l’accensione del fiammifero e la conseguente generazione di un incendio incontrollato. Leggi tutto “Come si fa un fiammifero? E come funziona?”

Come funziona il velcro?

Utilizzato per giacche, borse, scarpe e perfino nello spazio il velcro è ormai estremamente comune, ma come funziona questo ingegnoso sistema?

Velcro al microscopio elettronico (credit: science.exeter.edu)
Velcro al microscopio elettronico (credit: science.exeter.edu)

L’invenzione di questo particolare materiale adesivo si deve all’ingegnere svizzero Georges de Mestral, che concepì l’idea del velcro dopo una passeggiata tra i boschi nel 1941. Tornato a casa, de Mestral notò alcuni acheni spinosi (frutti secchi) attaccati alle sue calze di lana e al pelo del suo cane. Gli acheni in questione erano di Bardana (Arctium lappa), una pianta molto comune. Incuriosito dalla tenacia con cui gli acheni si erano fissati ai suoi calzettoni, de Mestral decise di studiarne le proprietà al microscopio.

L’ingegnere svizzero scoprì così come alle estremità delle spine degli acheni vi fossero dei minuscoli uncini, che si erano dunque impigliati nei fili di lana superficiali della sue calze, nonché al pelo del suo cane. Georges de Mestral decise così di riprodurre sinteticamente quell’ingegnoso sistema studiato dalla Natura per diffondere i semi di alcune piante grazie al vello degli animali. Leggi tutto “Come funziona il velcro?”

Dalle pentole allo spazio: come si fa il Teflon?

Le pentole antiaderenti ci consentono di cucinare senza far attaccare i cibi, ma come funzionano di preciso?

padelleLa maggior parte dei contenitori per la cottura dei cibi presenti sul mercato utilizzano come rivestimento il Teflon, un materiale con un basso coefficiente di attrito scoperto quasi per caso nel lontano 1938 da Roy Plunkett, un ingegnere americano della società Du Pont. Teflon è il nome commerciale del prodotto, mentre la sostanza che lo costituisce si chiama politetrafluoroetilene (PTFE).

Fino agli anni Cinquanta ingegneri e tecnici faticarono non poco per trovare la giusta destinazione d’uso per il Teflon, fino a quando il francese Marc Grégoire ne ipotizzò un utilizzo domestico e iniziò a commercializzare le prime pentole antiaderenti della storia sotto il nome Tefal. Constatato il successo dei nuovi recipienti per la cottura dei cibi, numerosi altri produttori seguirono la medesima strada della Tefal producendo numerose linee di pentole e padelle rivestite con il Teflon.

Il medesimo materiale, resistente e in grado di diminuire sensibilmente l’attrito, fu anche utilizzato nei cuscinetti a sfera “autolubrificanti”, eliminando così la necessità di dover periodicamente lubrificare le sfere che costituivano i medesimi cuscinetti. Negli anni seguenti nuovi studi indagarono le proprietà del Teflon, giungendo alla conclusione che la sostanza potesse essere utilizzata in numerosi altri ambiti. Leggi tutto “Dalle pentole allo spazio: come si fa il Teflon?”

Come funziona il frigorifero?

Quando accendiamo una stufa o un fornello elettrico o a gas, otteniamo in maniera semplice e diretta del calore. Ma quali sono invece i meccanismi che consentono a un frigorifero di fare l’esatto opposto, cioè raffreddare l’aria e di conseguenza i cibi?

Il frigorifero basa il proprio funzionamento su due specifiche leggi fisiche. La prima legge prevede che evaporando, un liquido sottrae energia all’ambiente che lo circonda sotto forma di calore. E’ necessaria poi altra energia (calore) per conservare il mutamento, che ha portato la sostanza dallo stato liquido a quello gassoso. La seconda proprietà fisica ci ricorda che un liquido può evaporare a una temperatura più bassa rispetto al normale se l’ambiente in cui si trova subisce un calo di pressione.
Tutti i liquidi in grado di evaporare facilmente a basse temperature sono dei possibili refrigeranti. Variando la pressione nei tubi in cui circola, è possibile liquefare o far evaporare la sostanza prescelta come refrigerante.

Schema semplificato del funzionamento di un frigorifero [credit: Cattolica.info]Nell’intercapedine tra la camera di refrigerazione, quella in cui mettiamo i cibi, e il suo “guscio”, il frigorifero è percorso da numerosi tubi contenenti il refrigerante a bassissima pressione. Ciò consente al liquido di evaporare molto facilmente, anche a basse temperature. Evaporando, il refrigerante mantiene freddi i tubi che avvolgono la camera di refrigerazione, consentendo ai cibi di restare al fresco.
Un motore elettrico aspira poi il gas freddo dall’interno dei tubi, lo comprime in modo che si riscaldi e lo fa poi defluire in un’altra serie di tubi posti all’esterno del frigorifero (generalmente è un griglia posta sul retro del frigo). L’aria a contatto con i tubi ne disperde il calore, determinando la condensazione del refrigerante che dallo stato gassoso ritorna a quello liquido. A questo punto il refrigerante defluisce in un tubicino molto stretto, chiamato tubo capillare, che si allarga progressivamente in corrispondenza della camera di refrigerazione. La maggiore larghezza del tubo comporta un abbassamento di pressione. Il liquido evapora nuovamente raffreddandosi e il ciclo può ricominciare.

Fino all’invenzione del frigorifero, la conservazione dei cibi è sempre stata un piccolo incubo per il genere umano. Greci e Romani utilizzavano già alcune ghiacciaie primordiali, costituite da profonde buche in cui venivano conservati il cibo con grandi quantità di ghiaccio.
La tecnica di refrigerazione vera e propria si sviluppò solamente nell’Ottocento, stimolata dalle esigenze di trasporto di grandi quantità di carne dalle praterie dell’Australia, della Nuova Zelanda, del Sud America e del West americano nei principali mercati occidentali europei e statunitensi.
James Harrison, un pittore emigrato in Australia dalla Scozia, fu tra i primi a scoprire e utilizzare il principio di refrigerazione. Si narra che, intento a pulire dei caratteri di stampa con l’etere, avesse notato la capacità refrigerante del gas sul metallo. Il pittore utilizzò questa scoperta nel 1851, pompando dell’etere in un sistema di tubi per raffreddare una fabbrica di birra a Bendigo, nello Stato di Victoria.

L’idea di Harrison condusse al primo viaggio con esito positivo di una nave dotata di un impianto di refrigerazione. La nave era il piroscafo Strathleven, partito nel 1880 dall’Australia facendo rotta verso Londra con un carico di carne. Nonostante la durata del viaggio di due mesi, i cibi trasportati giunsero nella capitale del Regno perfettamente conservati.
Il primo frigorifero domestico fu realizzato dall’ingegnere tedesco Karl von Linde, che nel 1879 modificò un modello industriale, progettato qualche anno prima, rendendolo in scala. Questo antenato dei moderni frigoriferi utilizzava l’ammoniaca come refrigerante, fatta circolare nei tubi attraverso un’ingegnosa pompa a vapore.
Pionieri dei frigoriferi elettrici furono invece gli ingegneri svedesi Balzer von Platen e Carl Munters, che con il loro modello Electrolux, crearono il primo frigorifero alimentato a elettricità nel 1923 sbaragliando la concorrenza.