A caccia di polvere di stelle

Nell’infinitamente piccolo di un granello di polvere potrebbero risiedere i segreti dell’infinitamente grande del Cosmo.
Fino ad ora la polvere di stelle aveva sempre costituito una fastidiosa seccatura per gli astronomi poiché rendeva inaccessibili alle potenti lenti dei telescopi le galassie più remote, assorbendo le radiazioni emesse dai corpi stellari. Recenti studi hanno invece dimostrato che un’analisi accurata della polvere stellare potrebbe portare a nuove conoscenze sul Cosmo. Quando assorbe l’energia dalle stelle, infatti, questa polvere cosmica emette una vasta gamma di radiazioni. Grazie all’aiuto di nuove e sofisticate strumentazioni, gli astrofisici potrebbero capire cosa si nasconda al di là dei densi strati di polvere stellare.

Nube di polvere cosmica [credit: NASA]Questa scoperta, che potrebbe portare a una nuova era nell’esplorazione del Cosmo, è stata resa possibile da un progetto dell’European Science Foundation cui ha collaborato l’astrofisico Simone Bianchi. “La tecnica di indagine che abbiamo affinato era già attuabile venti anni fa, ma grazie alle nuove tecnologie e strumentazioni possiamo ottenere dati molto più chiari e attendibili”.
Specifiche simulazioni al computer consentono, inoltre, di ricostruire con un’approssimazione accettabile la struttura delle galassie nascoste dalla polvere cosmica, anche quando è impossibile effettuare un’osservazione diretta dei corpi celesti. Il segreto risiede nel comportamento della polvere cosmica, che agisce come uno schermo su cui sono riprodotte le radiazioni emesse dalle stelle che nasconde.

Immagine termica di un aggregato di polvere cosmicaGrazie al lancio nel 2008 del satellite a infrarossi Herschel, progettato e costruito dall’Agenzia spaziale europea (ESA), sarà possibile analizzare con maggior precisione le radiazioni emesse dalla polvere cosmica. “Le nuove strumentazioni ci permetteranno di identificare aggregati di polveri anche in aree molto rarefatte del Cosmo” ha dichiarato entusiasta Bianchi.
Il lavoro del nuovo satellite dell’ESA aiuterà gli astronomi a comprendere con maggior precisione il ruolo rivestito dalla polvere cosmica nella formazione delle stelle. Un legame tra le polveri e i gas di cui le stelle sono costituite è già stato dimostrato, ma le relazioni intime che portano alla creazione di una stella restano ancora ignote e da indagare con particolare attenzione.

Il team di ricerca sulla polvere cosmica è un vero fiore all’occhiello per l’astrofisica europea e l’ESA che, dopo alcuni anni difficili, si sta finalmente ritagliando uno spazio più autonomo accanto ai grandi competitori d’oltreoceano.

Giapeto, la luna bifronte

Giapeto è l’unica luna bicolore finora conosciuta nel nostro sistema solare. [photo credit: NASA/JPL/Space Science Institute]Era il 25 ottobre del 1671 quando l’astronomo Gian Domenico Cassini osservò per la prima volta Giapeto, il terzo satellite naturale (per dimensione) di Saturno.
Quasi tre secoli e mezzo dopo, la medesima luna è stata osservata e fotografata da una sonda spaziale della NASA, naturalmente intitolata a Cassini, il grande astronomo italiano.

Area di transizione tra emisfero chiaro ed emisfero scuro di Giapeto [photo credit: NASA/JPL/Space Science Institute]Grazie a questa magnifica immagine, scattata nei primi giorni di settembre di quest’anno e da poco rilasciata dalla NASA, si può apprezzare la particolare conformazione di Giapeto, chiara e scura sia di giorno che di notte, così come è apparsa ai sofisticati sensori della sonda Cassini.
La superficie di Giapeto ha infatti una particolare colorazione a due toni. Un emisfero è perennemente scuro, con lievi torni che virano al rosso, mentre l’altra metà della luna e perennemente chiara e brillante. Già nel diciassettesimo secolo Gian Domenico Cassini aveva rilevato questa particolarità del satellite, che rendeva Giapeto visibile solo su un lato di Saturno e non sull’altro.

Il lato chiaro di Giapeto [photo credit: NASA/JPL/Space Science Institute]Per secoli sono state proposte numerose ipotesi per spiegare la particolare colorazione “bigusto” del satellite. A chi ipotizzava una causa endogena, dovuta alla conformazione geologica della luna, si contrapponevano coloro convinti che la doppia colorazione fosse dovuta ai materiali raccolti da Giapeto nel corso della sua orbita intorno al pianeta Saturno.
Il volo ravvicinato, appena a 1640km di altezza, da poco effettuato dalla sonda Cassini ha fornito immagini dettagliatissime che potranno finalmente contribuire alla risoluzione dell’enigma legato a Giapeto. Il lato chiaro del satellite parrebbe infatti ricoperto da uno strato di ghiaccio bianchissimo, “sporcato” da materiali scuri probabilmente fuoriusciti dall’interno stesso della luna.
Lo Yin e Yang del Cosmo è servito…

Un nuovo pianeta Terra

“Potremmo essere a un passo dalla scoperta di un nuovo pianeta del tutto simile alla Terra.” È l’incredibile conclusione di uno studio da poco pubblicato sulla prestigiosa rivista scientifica Science.

terra1.jpgIn questi anni i “cacciatori” stellari hanno analizzato la conformazione e le proprietà di oltre 200 pianeti esterni al nostro sistema solare, ottenendo però scarsi risultati. La maggior parte dei pianeti scoperti sono generalmente di grandi dimensioni, paragonabili a quelle di Giove, e caratterizzati da climi completamente ostili alla vita.
Grazie all’introduzione di strumentazioni più sensibili e innovativi metodi di ricerca, sarà ora possibile analizzare con maggior precisione anche pianeti più piccoli con una conformazione del tutto simile a quella terrestre.

Confrontando le metodologie di ricerca finora utilizzate con le nuove strumentazioni, molto più raffinate ed efficaci, un gruppo di astronomi appartenenti ai più importanti centri di astrofisica del mondo, tra cui la NASA e Harvard, ha evidenziato come il progresso tecnologico consenta ormai la ricerca di pianeti rocciosi simili al nostro anche nei numerosi sistemi solari scoperti negli ultimi anni.

Orbite dei pianeti del Sistema solare (distanze non in scala)Lo spettro luminoso emesso da una stella viene influenzato dall’orbita del pianeta che le gira intorno. Analizzando le differenze cicliche nell’emissione di luce di una stella, gli astrofisici riescono a individuare la presenza di un pianeta e a calcolarne le principali proprietà come massa e principali elementi costitutivi.
Mentre un tempo le strumentazioni utilizzate per individuare questi “sbalzi di luce” consentivano di identificare solamente pianeti molto più grandi della Terra, oggi gli astronomi hanno a disposizione rilevatori molto più sensibili, in grado di riconoscere la presenza di pianeti simili al nostro.
“Grazie a queste nuove tecnologie la scoperta di una nuova Terra potrebbe avvenire anche tra cinque minuti…” ha dichiarato Dave Latham, professore all’Harvard-Smithsonian Centre of Astrphysics e co-autore della ricerca pubblicata su Science.

Acqua e una corretta distanza da una stella sono le prime condizioni perché si possano sviluppare forme di vita su un pianeta. Un’eccessiva lontananza dal calore di un astro causerebbe perenni glaciazioni, un’eccessiva vicinanza la rapida evaporazione di tutte le riserve idriche.
Secondo i ricercatori, la possibilità di identificare pianeti con una massa paragonabile a quella terrestre potrà dare un contributo fondamentale per la ricerca di zone “abitabili” in cui sia possibile la vita.
La scoperta potrebbe davvero essere dietro l’angolo, ma per traslocare c’è ancora tempo…

Marte a colori, finalmente

Marte in alta risoluzione [photo credit: NASA]Appena a un anno dall’inizio della prima fase della sua missione, la sonda Mars Reconnaissance Orbiter della NASA ha già fornito una considerevole quantità di dati e informazioni sul pianeta rosso. In poco tempo i sensori di questo sofisticatissimo robot hanno raccolto oltre 26 terabytes di informazioni, equivalenti a circa 5.000 CD-ROM, stabilendo un nuovo record tra tutte le missioni organizzate per Marte.

Altipiani e cratere di Holden, possibile sito di atterraggio per il Mars Science Laboratory [photo credit: NASA]Questo incredibile ammontare di dati e informazioni è giunto da due dei sei sensori di cui dispone la sonda: uno spettrometro di ultima generazione e un obiettivo fotografico ad altissima risoluzione.
Le immagini scattate da Mars Reconnaissance riproducono fedelmente il suolo del pianeta rosso con una risoluzione tale da poter identificare dettagli grandi fino a un metro. Queste fotografie saranno oggetto di approfonditi studi per identificare l’area di atterraggio ideale per il Mars Science Laboratory, una missione della NASA prevista per il 2009 che lascerà sul pianeta un nuovo robot per le analisi del suolo marziano.

Nilosyrtis Mensae Region [photo credit: NASA]Il Mars Reconnaisance ha scattato fotografie ad altissima risoluzione di una trentina di siti papabili per l’atterraggio del Mars Science Laboratory, un ambizioso progetto supportato con convinzione dai tecnici della NASA per comprendere l’evoluzione geologica e climatica di Marte. Obiettivo primo, capire se sul pianeta rosso si siano mai presentate le condizioni per ospitare forme di vita simili a quelle terrestri, basate su DNA, azoto e naturalmente carbonio.
Sistema di canali avvolti dalla lava [photo credit: NASA] Tenici e astrofisici potranno ora studiare oltre 3.500 immagini ad alta risoluzione in bianco e nero, colorate poi sulla Terra da un team specializzato e particolari software per rendere massimo il contrasto e la nitidezza di ogni scatto. “Le informazioni a colori ci forniranno molte informazioni utili per interpretare i processi geologici e il passato di Marte” ha dichiarato Alfred S. McEwen, responsabile della sezione imaging della NASA. “Con un sofisticato software restituiremo il colore alle immagini, potremo così distinguere con più precisione le polveri, la sabbia o le rocce, e magari anche alcune formazioni di ghiaccio”.
Intanto l’avventura di Mars Reconnaisance intorno al pianeta rosso continua…

Rilevati bagliori di luce su Giove

Giove e la sua luna Io, in un magnifico montaggio di immagini colte dalla sonda New Horizons [photo credit: JHU/APL] La sonda spaziale New Horizons, lanciata dalla Nasa nel gennaio del 2006 e in viaggio per raggiungere Plutone, ha fornito negli scorsi mesi nuove e affascinanti immagini del complesso sistema di Giove e della sue numerose lune.
New Horizons ha sfruttato la spinta orbitale di Giove, il più massiccio pianeta del sistema solare, per aumentare la propria velocità e diminuire i tempi di avvicinamento al remoto Plutone. Nonostante Giove fosse stato già osservato da numerose sonde spaziali (Pioneer, Voyager, Ulysses, Galileo, Cassini), la fortunata combinazione di traiettoria, tempistica e innovative tecnologie ha consentito a New Horizons di immortalare ed esplorare dettagli mai osservati prima.

La sonda spaziale ha rilevato numerosi bagliori in prossimità dei due poli di Giove, il ciclo vitale delle gigantesche nubi di triidruro di azoto (ammoniaca) che avvolgono parte del pianeta, gli sciami di rocce che orbitano nei deboli anelli del pianeta, la struttura interna di uno dei vulcani che caratterizzano la luna Io e le particelle del campo magnetico emesso dal gigantesco pianeta.
“Le rilevazioni su Giove sono andate oltre le nostre più rosee aspettative” ha dichiarato Alan Stern, uno dei principali ricercatori alla guida della missione New Horizons. “Non solo ci ha consentito di collaudare sul campo la nostra sonda prima di raggiungere Plutone nel 2015, ma ci ha anche permesso di raccogliere una sterminata varietà di dati molto importanti che nessun’altra sonda aveva mai potuto raccogliere nell’orbita di Giove.”

Bagliori colti nelle regioni polari di Giove [photo credit: JHU/APL]I primi eccezionali risultati ottenuti grazie alla sonda spaziale New Horizons saranno pubblicati sul prossimo numero della rivista scientifica Science.
Da gennaio a giugno, le sofisticate strumentazioni di New Horizons hanno compiuto più di 700 differenti osservazioni del sistema gioviano. La sonda ha fornito numerose informazioni sul complesso sistema meteorologico di Giove. Grazie ai suoi rilevatori è stato possibile registrare con precisione la composizione e la struttura delle dense nubi che, originando dagli strati più bassi dell’atmosfera, avvolgono il pianeta in una densa e impenetrabile “nebbia”.
La sonda ha inoltre registrato numerosi lampi e fulmini indotti dal calore nelle regioni polari di Giove. È la prima volta che questo genere di bagliori polari viene osservato su un pianeta diverso dalla Terra, e dimostra quanto le grandi masse di calore siano implicate nella formazione delle nubi a tutte le latitudini di Giove.
La strumentazione di New Horizons ha inoltre fornito le prime immagini ravvicinate della “Piccola Macchia Rossa”, una tempesta in costante crescita che ha già raggiunto un diametro parti al 70% di quello terrestre.

Immagini ravvicinate della “Piccola Macchia Rossa”, il suo diametro è pari al 70% di quello terrestre [photo credit:New Horizons non ha poi disdegnato un’occhiata a Io, una delle quattro lune più grandi di Giove, caratterizzata da un’intensa attività vulcanica che rilascia tonnellate di detriti e materiali nel sistema gioviano. I sensori della sonda hanno analizzato undici differenti pennacchi di fumo, appartenenti ad altrettante spettacolari eruzioni. L’impressionante sbuffo alto 300km, originato dall’eruzione del vulcano Tvashtar, ha permesso di tracciare con precisione struttura e movimenti di queste enormi colonne costituite da dense coltri di fumo.
La mappatura fornita da New Horizons conferma l’eccezionale attività di Io, che la rende il corpo celeste più attivo dell’intero sistema solare, con oltre 20 cambiamenti geologici dalle ultime osservazioni effettuate nel 2001 dalla sonda Galileo.

Principali cambiamenti geologici rilevati su Io dal 2001 a oggi [photo credit: JHU/APL]La sonda della Nasa pare proprio destinata a superare molti record. Dal suo lancio, effettuato nel gennaio del 2006, New Horizons si è affermata come la sonda spaziale più veloce mai realizzata, in grado di raggiungere Giove in appena 13 mesi. Ora si trova quasi a metà strada tra le orbite del grande pianeta e Saturno, a una distanza di oltre un miliardo di chilometri dalla Terra. Raggiunto Plutone nel luglio del 2015, la sonda continuerà il proprio viaggio nelle profondità del Cosmo oltre i confini del Sistema solare. E noi saremo quaggiù… in attesa di sue notizie.

Passeggiata tra le stelle

Salvo casi eccezionali, le missioni spaziali degli Shuttle sono diventate normale routine cui i media dedicano lo spazio stretto necessario. Eppure, lassù a migliaia di chilometri dalla Terra, le squadre di astronauti compiono incredibili missioni dense di pericoli e incognite.
La maggior parte delle recente escursioni nel Cosmo è dedicata alla costruzione della Stazione Spaziale Internazionale (ISS), la più grande base extraterrestre mai costruita. Durante queste missioni lo Shuttle si trasforma in un vero e proprio cargo per portare i nuovi moduli, le stanze della base spaziale, in orbita e costituire così l’intricato puzzle della ISS.

Queste magnifiche immagini immortalano i momenti salienti dell’ultima escursione spaziale dell’equipe di astronauti della missione STS-118. Trasformati in veri e proprio meccanici del Cosmo, questi uomini coraggiosi hanno lavorato per numerose ore sospesi nell’assenza di gravità, con la loro vita affidata a un braccio meccanico che li assicurava allo Shuttle.
Fotografie da brivido, quasi commoventi, che ci raccontano una routine fuori dal comune.

Astronauta con un modulo della ISS, sullo sfondo la TerraPasseggiata spaziale, in basso a destra si notano i due fili cui sono “appese” le vite dei due astronautiNella “pancia” dello Shuttle

Il muso dello Shuttle EndeavourLo Shuttle attraccato alla base spaziale internazionale

Attraverso un angusto tunnel gli astronauti raggiungo la ISS dallo ShuttleTempo per un saluto…

L’assenza di gravità ha i suoi vantaggi…Astronauta con corpo centrale della ISSIl cantiere stellare della base spaziale internazionale