Voyager: le sonde maratonete del Cosmo

Le sonde Voyager, da quasi trent’anni, viaggiano nel Cosmo a distanze ormai siderali dalla Terra. Il 30 agosto di quest’anno, la navicella spaziale della NASA Voyager2 – che ha iniziato la propria crociera nello Spazio nel 1977 – ha raggiunto l’area “termination shock”, il confine in cui le particelle del vento solare da supersoniche vengono rallentate a velocità subsonica. In pratica, ai confini della “bolla” dominata dai venti solari emessi dalla nostra stella.

La sonda spaziale Voyager2 fu lanciata nello spazio il 20 Agosto 1977Questo confine era già stato superato tre anni fa dalla gemella di Voyager2: la sonda spaziale Voyager1. A differenza della sua omologa, Voyager2 ha varcato questo confine in un quadrante diverso, a un miliardo e mezzo di chilometri in meno dal Sole. Ciò farebbe presupporre che la “bolla” di vento solare sia in una certa misura compressa nel quadrante del sistema solare in cui ha compiuto il proprio viaggio la sonda. Le due Voyager hanno, infatti, varcato il sistema solare seguendo due percorsi diversi: Voyager1 verso il nord astronomico, Voyager2 verso sud.

«Ora entrambe le navicelle hanno raggiunto la frontiera del sistema solare. Abbiamo raggiunto un nuovo punto fondamentale nella storia trentennale delle nostre scoperte» ha dichiarato entusiasta Edward Stone, che segue da anni il viaggio delle Voyager dal California Institute of Technology (USA).

Molti degli strumenti a bordo della Voyager2, ancora perfettamente funzionanti dopo trent’anni, hanno rilevato il momento del passaggio al di fuori del vento solare, nel bel mezzo dell’area denominata “termination shock”. Un sensore, in particolare, è stato in grado di registrare velocità, temperatura e densità del vento solare. Nel 2004 gli strumenti di Voyager1 fallirono questa misurazione, portando a un ampio e talvolta confuso dibattito sul momento esatto in cui la sonda avrebbe attraversato la “bolla” creata dal vento solare.

Il viaggio delle sonde Voyager, verso i confini del sistema solare [credit: Wikipedia IT]Grazie ai dati rilevati da Voyager2, gli astrofisici hanno scoperto che le particelle con carica elettrica presenti al di fuori della “termination shock” sono molto più freddi del previsto. Secondo i modelli matematici, le particelle dovevano avere una temperatura intorno al milione di gradi centigradi, invece hanno una temperatura che oscilla “appena” tra i 100.000 e i 200.000 gradi.

Finché la NASA continuerà a finanziare le missioni Voyager, tra le più “antiche” dell’Era spaziale, i ricercatori avranno a disposizione dati fondamentali per comprendere molte delle proprietà del Cosmo. Secondo alcune proiezioni, le sonde Voyager dovrebbero terminare la loro fase di passaggio nell’area di transizione in circa dieci anni, raggiungendo così lo spazio interstellare. Salvo imprevisti, le due navicelle diverrebbero i primi due oggetti creati dall’uomo a uscire completamente dal nostro sistema solare. Un evento di portata storica, oltre che simbolica. I generatori radioattivi con cui si alimentano le Voyager dovrebbero assicurare sufficiente energia elettrica ai sistemi per trasmettere dati anche al di fuori dell’area di transizione, nel Cosmo “aperto”.

Voyager1 è ormai a sedici miliardi di chilometri di distanza dal sole, mentre Voyager2 si trova a circa tredici miliardi di chilometri. E il viaggio continua.

Giapeto, la luna bifronte

Giapeto è l’unica luna bicolore finora conosciuta nel nostro sistema solare. [photo credit: NASA/JPL/Space Science Institute]Era il 25 ottobre del 1671 quando l’astronomo Gian Domenico Cassini osservò per la prima volta Giapeto, il terzo satellite naturale (per dimensione) di Saturno.
Quasi tre secoli e mezzo dopo, la medesima luna è stata osservata e fotografata da una sonda spaziale della NASA, naturalmente intitolata a Cassini, il grande astronomo italiano.

Area di transizione tra emisfero chiaro ed emisfero scuro di Giapeto [photo credit: NASA/JPL/Space Science Institute]Grazie a questa magnifica immagine, scattata nei primi giorni di settembre di quest’anno e da poco rilasciata dalla NASA, si può apprezzare la particolare conformazione di Giapeto, chiara e scura sia di giorno che di notte, così come è apparsa ai sofisticati sensori della sonda Cassini.
La superficie di Giapeto ha infatti una particolare colorazione a due toni. Un emisfero è perennemente scuro, con lievi torni che virano al rosso, mentre l’altra metà della luna e perennemente chiara e brillante. Già nel diciassettesimo secolo Gian Domenico Cassini aveva rilevato questa particolarità del satellite, che rendeva Giapeto visibile solo su un lato di Saturno e non sull’altro.

Il lato chiaro di Giapeto [photo credit: NASA/JPL/Space Science Institute]Per secoli sono state proposte numerose ipotesi per spiegare la particolare colorazione “bigusto” del satellite. A chi ipotizzava una causa endogena, dovuta alla conformazione geologica della luna, si contrapponevano coloro convinti che la doppia colorazione fosse dovuta ai materiali raccolti da Giapeto nel corso della sua orbita intorno al pianeta Saturno.
Il volo ravvicinato, appena a 1640km di altezza, da poco effettuato dalla sonda Cassini ha fornito immagini dettagliatissime che potranno finalmente contribuire alla risoluzione dell’enigma legato a Giapeto. Il lato chiaro del satellite parrebbe infatti ricoperto da uno strato di ghiaccio bianchissimo, “sporcato” da materiali scuri probabilmente fuoriusciti dall’interno stesso della luna.
Lo Yin e Yang del Cosmo è servito…

Un nuovo pianeta Terra

“Potremmo essere a un passo dalla scoperta di un nuovo pianeta del tutto simile alla Terra.” È l’incredibile conclusione di uno studio da poco pubblicato sulla prestigiosa rivista scientifica Science.

terra1.jpgIn questi anni i “cacciatori” stellari hanno analizzato la conformazione e le proprietà di oltre 200 pianeti esterni al nostro sistema solare, ottenendo però scarsi risultati. La maggior parte dei pianeti scoperti sono generalmente di grandi dimensioni, paragonabili a quelle di Giove, e caratterizzati da climi completamente ostili alla vita.
Grazie all’introduzione di strumentazioni più sensibili e innovativi metodi di ricerca, sarà ora possibile analizzare con maggior precisione anche pianeti più piccoli con una conformazione del tutto simile a quella terrestre.

Confrontando le metodologie di ricerca finora utilizzate con le nuove strumentazioni, molto più raffinate ed efficaci, un gruppo di astronomi appartenenti ai più importanti centri di astrofisica del mondo, tra cui la NASA e Harvard, ha evidenziato come il progresso tecnologico consenta ormai la ricerca di pianeti rocciosi simili al nostro anche nei numerosi sistemi solari scoperti negli ultimi anni.

Orbite dei pianeti del Sistema solare (distanze non in scala)Lo spettro luminoso emesso da una stella viene influenzato dall’orbita del pianeta che le gira intorno. Analizzando le differenze cicliche nell’emissione di luce di una stella, gli astrofisici riescono a individuare la presenza di un pianeta e a calcolarne le principali proprietà come massa e principali elementi costitutivi.
Mentre un tempo le strumentazioni utilizzate per individuare questi “sbalzi di luce” consentivano di identificare solamente pianeti molto più grandi della Terra, oggi gli astronomi hanno a disposizione rilevatori molto più sensibili, in grado di riconoscere la presenza di pianeti simili al nostro.
“Grazie a queste nuove tecnologie la scoperta di una nuova Terra potrebbe avvenire anche tra cinque minuti…” ha dichiarato Dave Latham, professore all’Harvard-Smithsonian Centre of Astrphysics e co-autore della ricerca pubblicata su Science.

Acqua e una corretta distanza da una stella sono le prime condizioni perché si possano sviluppare forme di vita su un pianeta. Un’eccessiva lontananza dal calore di un astro causerebbe perenni glaciazioni, un’eccessiva vicinanza la rapida evaporazione di tutte le riserve idriche.
Secondo i ricercatori, la possibilità di identificare pianeti con una massa paragonabile a quella terrestre potrà dare un contributo fondamentale per la ricerca di zone “abitabili” in cui sia possibile la vita.
La scoperta potrebbe davvero essere dietro l’angolo, ma per traslocare c’è ancora tempo…

Alieni, alieni al carbonio…

cosmo
Gli extraterrestri? Certo che esistono, probabilmente anche nel nostro sistema solare. Perché non li abbiamo mai trovati? Semplice, ci siamo ostinati a cercare forme di vita simili a quelle terrestri, ma il DNA non è l’unica possibilità per “gestire” una vita.Questa la sconcertante conclusione di uno studio, The Limits of Organic Life in Planetary Systems, pubblicato in luglio sul prestigioso National Research Council (NRC).

Pesci, lucertole, platani e tutto ciò che di vivente popola il nostro Pianeta possono sembrare molto differenti uno dall’altro, ma nella loro struttura intima sono sorprendentemente simili. Tutte le specie viventi studiate dall’uomo necessitano acqua allo stato liquido per sopravvivere, ad esempio. Inoltre, tutte le specie basano la loro esistenza ed evoluzione sulla molecola del DNA e utilizzano gli stessi “blocchetti di costruzioni”, gli aminoacidi, per creare le loro strutture. Leggi tutto “Alieni, alieni al carbonio…”