Non è una pratica molto piacevole, ma assicura la prosecuzione di numerose specie di vespe. Sono infatti diverse centinaia le specie di vespe che depositano le loro uova all’interno dei bruchi, iniettando nel loro organismo alcune tossine paralizzanti che consentono alla larve delle vespe di cibarsi di chi le ospita senza correre rischi. Per diverso tempo i ricercatori hanno cercato di capire la tipologia e l’origine di queste tossine senza giungere però a nessun risultato significativo. Ora, però, un nuovo studio sembra aver dimostrato come queste tossine derivino da un particolare virus che infettò le vespe milioni di anni fa.
Utilizzando il microscopio elettronico, già nel corso degli anni Settanta un gruppo di ricercatori aveva scoperto alcune caratteristiche delle tossine utilizzate dalle vespe per conferire la paralisi. Considerata la natura dei loro componenti, venne naturale classificarle come virus e chiamarle polidnavirus, una decisione che sollevò un ampio e acceso dibattito nella comunità scientifica.
Successive analisi sulle caratteristiche genetiche rivelarono che le istruzioni per creare i componenti delle tossine erano comuni al DNA di numerose specie di vespe, ma non implicavano la presenza di molecole generalmente utilizzate dai virus per moltiplicarsi e colonizzare un organismo. Alcuni ricercatori giunsero così alla conclusione che non si potesse trattare di un virus “indipendente” dalle vespe, ma di vere e proprie secrezioni codificate geneticamente.
Determinati a fare chiarezza nell’intricato enigma, i ricercatori della Università di Tours (Francia), guidati dall’entomologo Jean-Michel Drezen, hanno analizzato il DNA contenuto nelle ovaie delle vespe, là dove i polidnavirus vengono creati. Per il loro studio, i ricercatori hanno analizzato il DNA proveniente da tre differenti specie di vespe, confrontando le informazioni genetiche con quelle di altri virus che solitamente colpiscono gli insetti. Grazie a questo confronto sono stati così identificati circa 22 geni di un gruppo di vespe in comune con l’antico ceppo virale nudivirus. Esperimenti successivi hanno poi messo in evidenza come questi geni siano responsabili della codifica delle molecole che costituiscono le tossine utilizzate dalle vespe per causare la paralisi.
Secondo i ricercatori, i nudivirus avrebbero dunque infettato le vespe alcuni milioni di anni fa. Dopodiché, il processo evolutivo avrebbe progressivamente reso i virus una parte integrante del genoma delle vespe. Una dimostrazione avallata anche dalla pratica: il virus contratto milioni di anni fa ha consentito alle vespe di sviluppare una tossina fondamentale per la prosecuzione della specie, senza la quale la prole non potrebbe essere depositata in un organismo ancora vivo per svilupparsi.
A sua volta, anche il virus ha bisogno delle vespe per sopravvivere, poiché il DNA di questi insetti fa sì che il virus si possa unicamente sviluppare all’interno delle ovaie. Le tossine che paralizzano i bruchi sono infatti “stabili” e non contengono il materiale genetico necessario per la riproduzione dei virus, che dunque possono proliferare e moltiplicarsi solamente all’interno delle vespe.
Lo studio di Drezen e colleghi, recentemente pubblicato su Science, non è solamente utile per gli entomologi, ma anche per i genetisti. Gli scambi molto dinamici e consistenti di DNA tra virus e vespe potrebbero offrire nuovi spunti per l’elaborazione di nuove terapie geniche per gli esseri umani.