Non sarebbe bello poter inventare una “spugna” in grado di assorbire in poco tempo tonnellate di gas serra?
È ormai certo che la continua emissione nell’atmosfera di anidride carbonica, da parte delle attività umane, stia velocemente compromettendo gli equilibri termici e l’ecosistema del nostro Pianeta. Scienziati e ricercatori sono impegnati da anni nella difficile ricerca di soluzioni per risolvere concretamente il problema.
Una delle tecnologie che negli ultimi anni si è dimostrata più promettente prevede l’utilizzo di un particolare tipo di alga, in grado di assorbire considerevoli quantità di anidride carbonica e di restituire materiale adatto alla biocombustione. Investendo ingenti risorse per la ricerca, la Greenfuel, azienda leader nel settore del recupero energetico, ha raggiunto in queste ultime settimane sorprendenti risultati.
Il procedimento di riutilizzo della CO2 messo a punto dalla Greenfuel sfrutta tecnologie avanzatissime, ma è meno complesso di quanto si possa immaginare.
La centrale di recupero sorge affianco a un impianto industriale, la cui anidride carbonica prodotta viene incanalata dalle ciminiere di scarico per essere indirizzata, tramite un’enorme ventola, al bioreattore. Quest’ultimo è costituito da una serie di enormi cilindri [foto] in cui è ricreato l’ecosistema ideale per le alghe: acqua, calore dato dal sole e la CO2 aggiunta per iniezione. Parte dell’acqua in cui vivono le alghe è costantemente filtrata per aumentare la concentrazione delle alghe e ottimizzarne la crescita.
Da questo ingegnoso processo si ottengono due eccezionali risultati: l’emissione di anidride carbonica di un impianto industriale può essere abbattuta quasi al 90%, terminato il loro ciclo di vita e assorbimento di CO2 le alghe possono ancora essere utilizzate per diversi impieghi. I prodotti di scarto del processo, infatti, altro non sono che granuli essiccati di origine vegetale. Queste biomasse possono essere utilizzate per la produzione di biocombustibili, che potranno contribuire ad alimentare la fabbrica da cui il bioreattore ha tratto la CO2, oppure essere impiegate come combustibile per le automobili o il teleriscaldamento. Ma non è finita. Attraverso un ulteriore processo di essicamento, ciò che non può essere utilizzato per la produzione di biodiesel può essere trasformato in biomassa per l’allevamento del bestiame.
Le tecnologie messe a punto dalla Greenfuel presentano, tuttavia, ancora alcuni problemi. Il tallone d’Achille del sistema sono le grandi quantità di calore e luce solare necessarie per il rapido sviluppo delle alghe. Non è del resto un caso se i primi bioreattori sperimentali siano stati impiantati in aree desertiche in cui forte è l’esposizione solare.
Tecnici e scienziati stanno lavorando alacremente per ottimizzare il funzionamento di questi bioreattori. Le alghe “mangia CO2” costituiscono una grande opportunità per curare il nostro Pianeta malato, ma – non dimentichiamolo – questa è una soluzione intermedia. Solo attraverso una rivoluzione copernicana nella produzione dell’energia potremo fermare la bomba ad orologeria che abbiamo innescato. La sfida è aperta.