Perché è così difficile accettare la morte di una persona a noi cara? Un recente studio dimostra come, paradossalmente, la causa di tanto dolore possa essere il centro del piacere del nostro cervello.
Accurati esami condotti attraverso le risonanze magnetiche funzionali, che valutano cioè il volume di sangue che affluisce alle varie aree del cervello, avevano già dimostrato come la tristezza sia in grado di attivare le zone dell’encefalo deputate a percepire ed elaborare il dolore. Tuttavia, nessuno studio si era ancora occupato di osservare la reazione del cervello agli stati di tristezza ormai cronicizzata.
Partendo da questo presupposto, un gruppo di ricercatori guidato dalla psicologa Mary-Frances O’Connor (University of California) ha condotto accertamenti clinici su 23 donne volontarie reduci da una grave perdita nell’arco degli ultimi 5 anni di un famigliare stretto, madre o sorella, a causa del cancro al seno. Il team di ricerca ha suddiviso le donne in due gruppi: sofferenti (A) e sofferenti croniche (B). Alle volontarie sono state poi mostrate una sessantina di fotografie che riportavano l’immagine della famigliare scomparsa e quella di una persona sconosciuta, corredate con una parola legata all’area semantica del lemma “cancro” o completamente slegata dal contesto.
Secondo O’Connor, ciò potrebbe indicare che, nei casi di tristezza cronica, il cervello delle volontarie non abbia completamente accettato il lutto tanto da immaginare le persone defunte come ancora in vita. Ciò renderebbe, quindi, molto più complicato il processo che porta progressivamente ad accettare un lutto fino a non provare più un dolore costante per la perdita.
La scoperta del team guidato da O’Connor, che verrà pubblicata il prossimo agosto sulla rivista scientifica NeuroImage, potrebbe costituire un primo importante indizio per rendere più semplice e immediata la diagnosi dei casi di sofferenza cronica. Farmaci mirati per le aree del piacere, inoltre, potrebbero aiutare un normale decorso nell’elaborazione del lutto, riconsegnando a una vita normale i milioni di persone che in tutto il mondo soffrono di questa patologia.