I primi mammiferi apparvero sul Pianeta all’incirca 200 milioni di anni fa. Nel corso del tempo, molte specie svilupparono la capacità di allevare e nutrire il feto nell’utero, abbandonando così la deposizione delle uova e adottando l’allattamento per nutrire i loro piccoli. Da quei tempi remoti a oggi, ben poche eccezioni si sono mantenute al modello diffuso delle gravidanze uterine dei mammiferi. Queste “eccezioni” appartengono all’ordine Monotremata, di cui fanno parte quegli animali, come l’ornitorinco, che depongono le uova, ma allattano poi i loro piccoli.
Partendo da queste conoscenze, il ricercatore Henrik Kaessmann (Università di Losanna, Svizzera) ha cercato di capire quali mutazioni genetiche avessero portato molte specie animali ad abbandonare le uova e a diventare mammiferi tout cour.
Insieme ai suoi colleghi, Kaessmann ha concentrato le sue ricerche su tre geni, presenti nel genoma dei polli, deputati alla codifica delle proteine necessarie per la creazione delle uova. Dopodiché, i ricercatori hanno provato a vedere se parte delle sequenze genetiche isolate nei polli fossero presenti anche nel DNA di quattro mammiferi: uomo, opossum, cane e ornitorinco.
Nei primi tre mammiferi il gruppo di ricerca ha ritrovato numerose tracce dei tre geni, benché le mutazioni intercorse durante l’evoluzione ne abbiano completamente compromesso la funzionalità. Secondo gli studi di Kaessmann, l’ultimo dei tre geni sarebbe rimasto attivo fino a circa 30/70 milioni di anni fa. Uno dei geni è, invece, ancora pienamente funzionale nell’ornitorinco, uno dei pochi mammiferi che depongono le uova.
La ricerca conferma alcuni studi precedenti che avevano intravisto nell’allattamento la causa che portò all’abbandono delle uova da parte dei mammiferi, che – potendo nutrire i loro piccoli con il latte – non avrebbero più avuto bisogno dei nutrienti presenti nell’albume. Secondo alcuni evoluzionisti, l’allattamento avrebbe inoltre consentito ai mammiferi di razionalizzare la spesa energetica quotidiana per nutrire un maggior numero di piccoli, aumentando così anche la qualità dell’evoluzione cerebrale delle specie.