In Antartide per simulare la vita sulla Luna

Le terre gelide e inospitali dell’Antartide diverranno presto lo scenario per uno dei più interessanti esperimenti legati al prossimo ritorno dell’uomo sulla Luna. La National Science Foundation (NSF) e la NASA utilizzeranno il continente congelato per sperimentare una particolare struttura ideata per ospitare gli astronauti sul nostro satellite naturale. Questa tenda gonfiabile è ora in viaggio verso l’Antartide per essere sottoposta a un anno di durissimi test.

Il prototipo è stato creato dalla ILC Dover, sotto l’attenta osservazione e le precise indicazioni di NFS e NASA. Tutte e tre le organizzazioni saranno presenti sulle gelide terre del continente per misurazioni e rilevazioni che si protrarranno per circa 13 mesi, dal gennaio 2008 al febbraio 2009. Al momento, questa casa gonfiabile è uno dei progetti più promettenti per alloggiare gli astronauti sulla Luna.
«Testare questo habitat gonfiabile in uno dei climi più duri ed estremi offerti dal nostro Pianeta sarà una grande opportunità per prevedere come potrà essere la vita nelle prossime esplorazioni lunari» ha dichiarato Paul Lockhart, direttore del Constellation Systems per l’Exploration Systems Mission Directorate della NASA.

Alloggio lunare [credit: Credit: Peter West / NSF]A un primo sguardo la tensostruttura gonfiabile assomiglia molto a quelle giostre gonfiabili dei parchi di divertimento, ma la tecnologia che contiene è naturalmente molto più sofisticata. Completamente isolata dall’esterno, è riscaldata, offre energia elettrica ed è pressurizzata. Occupa un’area di poco inferiore ai 36 metri quadrati ed ha un soffitto alto due metri e mezzo. Una serie di sofisticati sensori, dislocati in punti particolari dell’abitazione lunare, consentirà ai ricercatori di studiare reazioni e deterioramento della tensostruttura.

Alloggio lunare, interno [credit: Credit: Peter West / NSF]In Antartide si lavorerà molto alacremente, il Constellation Program della NASA prevede un ritorno sulla Luna intorno al 2020. Dopo una serie di prime spedizioni, gli astronauti costruiranno sul satellite una vera e propria base spaziale, immaginata e progettata per durare numerosi anni. L’esigenza di sperimentare e sviluppare moduli abitativi sicuri, pratici e funzionali è quindi uno dei punti cardine per consentire all’uomo di creare il primo avamposto nella sua storia su un satellite naturale.
«Per ogni mezzo chilo di materiale da spedire sulla superficie lunare, sarà necessario un lancio di 57kg tra carburante e lanciatore. I moduli abitativi dovranno quindi essere molto leggeri, ma anche resistenti e sicuri. L’habitat gonfiabile che stiamo sperimentando risponde a queste esigenze e richiede solamente una squadra di quattro persone per essere montato in poche ore, permettendo di ampliare l’esplorazione ben oltre l’area di atterraggio» ha dichiarato Lockhart.

Concept per un nuovo mezzo lunare [Credit: NASA] Concept per un nuovo mezzo lunare [Credit: NASA]Prototipo per mezzo lunare [credit: Franklin Fitzgerald]

Oltre ai moduli abitativi, il Constellation Program sta sviluppando una nuova flotta di navi spaziali e razzi, così come un’innovativa serie di macchinari per il trasporto e la produzione di energia sulla superficie della Luna. Il 2020 è più vicino di quanto si possa immaginare, e NSF e NASA non possono perdere neanche un giorno di lavoro.

Mar Nero, di petrolio

Ci vorranno dieci anni perché possano rimarginarsi le profonde cicatrici lasciate dall’enorme chiazza di petrolio che ha devastato lo stretto di Kerch nel Mar Nero. Secondo gli specialisti del WWF, le duemila tonnellate riversate in mare avranno conseguenze incalcolabili anche per l’economia locale, basata principalmente sulla pesca.

Il danno ecologico apportato dal riversamento di petrolio in mare potrebbe distruggere definitivamente il delicatissimo ecosistema della zona, in cui vivono almeno undici specie di volatili a rischio, incluso il Pellicano della Dalmazia e una specie di gabbiano comune, nonché numerose specie di uccelli migratori che ogni anno svernano sulle coste dello stretto.
Grazie all’impegno del WWF e di altre associazioni ambientaliste, alcune centinaia di uccelli sono stati tratti in salvo e ripuliti dal colloso oro nero. Tuttavia, iniziative di questo tipo possono solo assicurare la sopravvivenza a un numero risicatissimo di esemplari, migliaia di uccelli sono quindi condannati a morte certa. Un gruppo di soccorso ha identificato e tratto in salvo una coppia di delfini che, ripuliti sulla costa, sono stati condotti in un’area distante dalla gigantesca chiazza di petrolio. Le loro speranze di vita sono comunque molto basse. L’ecosistema in quel tratto del Mar Nero è infatti gravemente compromesso. Ciò significa che numerose specie animali non potranno procacciarsi il cibo e saranno condannate a un’atroce morte di inedia, che fino ad ora ha già causato la scomparsa di oltre 30.000 esemplari.

«Sarà praticamente impossibile rimuovere completamente il danno causato della perdita di petrolio» ha dichiarato sconsolato Igor Chestin, responsabile per il WWF in Russia, «crediamo che per evitare disastri del genere in futuro, dovranno esserci drastici cambiamenti nelle politiche di controllo per il trasporto del petrolio via mare».
Il WWF e altre associazioni ambientaliste hanno firmato un documento, chiedendo esplicitamente alla Russia l’adozione di una serie di misure molto rigorose per il trasporto di petrolio via mare. La flotta di petroliere utilizzate dalla Russia comprende numerose imbarcazioni con tecnologie sorpassate e prive di triplo scafo. Mediamente ognuna di quelle petroliere arriva a trasportare 200.000 tonnellate di petrolio.

La speranza è che il terrificante incidente occorso nel Mar Nero sia una dura lezione per le politiche eccessivamente lassiste applicate dalla Russia. Ciò che rimane una certezza è, purtroppo, la distruzione di un ecosistema unico nel proprio genere, che difficilmente riuscirà a tornare al pieno del proprio fulgore.

Figli così teneri da essere un peccato non mangiarli…

Per poter osservare oggettivamente il mondo animale, studiarne caratteristiche e peculiarità, è spesso necessario abbandonare il proprio bagaglio culturale e morale. Alcuni comportamenti tipici degli animali possono infatti apparire ripugnanti e molto distanti dal nostro senso comune del “bene”. Nessuno di noi credo abbia mai immaginato da piccolo di poter essere sbranato dai propri genitori, per quanto crudeli essi potessero essere.
Eppure, sono molti gli animali che talvolta mangiano la loro prole, e il fenomeno investe anche i genitori più affettuosi e attenti. Una nuova ricerca indica come la scelta di sbranare i propri figli non sia spesso legata alla semplice fame, ma a meccanismi comportamentali molto più raffinati, come assicurare la sopravvivenza alla parte di prole sana uccidendo gli individui malati o meno forti.

credit: imagineafrica.co.ukQuando i primi etologi osservarono questo genere di comportamento in alcune specie animali diversi decenni fa, catalogarono il fenomeno come vere e proprie devianze sociali, un capriccio dell’evoluzione scevro da qualsiasi beneficio. Approfondendo le loro osservazioni, molti ricercatori scoprirono invece che la tendenza di alcune specie a cibarsi della propria prole era un atteggiamento che rispondeva a delle precise esigenze per l’equilibrio naturale di intere specie. Nel corso degli anni il fenomeno è stato registrato nei mammiferi, negli insetti, tra gli aracnidi e nei volatili. Alcuni ricercatori videro nel cannibalismo rivolto verso la prole la possibilità per alcune specie animali di aumentare le proprie probabilità di vita, consentendo ai genitori di riprodursi un numero maggiore di volte lungo l’arco della loro esistenza. Questa teoria non convinse molto gli etologi, che negli ultimi decenni hanno prodotto una miriade di singole ipotesi per spiegare questo curioso comportamento.

Determinata a portare chiarezza, Hope Klug, docente di biologia evolutiva all’University of Florida (USA), ha creato con l’ausilio di Michael Bonsall (University of Oxford – Regno Unito) un modello matematico per analizzare il fenomeno sotto un nuovo punto di vista.
Il modello ipotizza un individuo immaginario dotato della particolare mutazione genetica che spinge a cibarsi delle uova della propria prole. Secondo il modello matematico, in queste condizioni il gene del cannibalismo si diffonderebbe in una specifica popolazione poiché fornirebbe ai genitori la possibilità di assumere un numero maggiore di calorie, ma si potrebbe anche radicare per consentire ai genitori di mangiare gli individui deboli della propria prole, favorendo quelli sani. I due ricercatori hanno poi modificato il modello matematico immaginando un’altra necessità che potrebbe spingere i genitori a mangiare le uova della propria specie: assicurare agli individui migliori una rapida e sicura crescita. Anche in questo caso il modello matematico ha dimostrato che il gene del cannibalismo si diffonderebbe molto rapidamente nella popolazione, e proprio per rispondere all’esigenza di rendere rapida la crescita dei propri figli.

Il modello matematico fornito dai due ricercatori dimostra per la prima volta, con basi teoriche solide e dimostrabili, la possibilità che il cannibalismo si diffonda in alcune specie per regolare densità e qualità della popolazione. Questa possibilità, già discussa in linea teorica negli ultimi anni, potrebbe finalmente spiegare quella che ai nostri occhi appare come una pratica crudele, ma del tutto naturale ed essenziale per assicurare la prosecuzione della specie.

Nuova ricerca consolida le basi della Teoria della relatività

“Einstein si era sbagliato” è ciò che pensano numerosi fisici che da anni cercano di confutare, o perlomeno ridimensionare, le rivoluzionarie scoperte del fisico tedesco che cambiarono radicalmente il nostro modo di pensare le leggi della fisica. Purtroppo per loro, i “confutatori cronici” non avranno vita facile, dopo che una recente ricerca ha consolidato le già solide basi della teoria della relatività di Einstein.

Paradosso dei gemelli: il gemello che viaggia a una velocità simile a quella della luce invecchia più lentamente rispetto al gemello sulla Terra [credit: sol.sci.uop.edu]La teoria della relatività ristretta unisce il tempo e lo spazio in un’unica entità, lo spaziotempo, che si presenta in maniera molto differente tra due osservatori che si muovono in un sistema relativo. Banalizzando molto, immaginiamo di trovarci dinanzi a due lampioni che si accendono nello stesso identico momento. Osservandoli noteremo le due lampadine accendersi e fornire luce nei medesimi istanti. Ora immaginiamo di poterci muovere verso i lampioni a una velocità vicina a quella della luce. Quando le lampadine si accenderanno, noteremo che esse iniziano a emettere luce in momenti diversi. Allo stesso modo, un orologio che viaggia a una velocità simile a quella della luce muoverà la propria lancetta dei secondi più lentamente rispetto a quanto farebbe se fosse al vostro polso. E ancora, se potessimo viaggiare a una velocità molto vicina a quella della luce invecchieremmo molto più lentamente rispetto agli essermi umani “fermi” sulla Terra.

Questa “dilatazione temporale” potrebbe apparire pretestuosa, se non addirittura campata in aria. Eppure, nel 1907, Einstein propose un esperimento per verificare la propria teoria. Gli atomi e gli ioni emettono rispettivamente una particolare luce, e la lunghezza d’onda della luce è paragonabile allo  scandire regolare dei secondi di un orologio. Partendo da questi presupposti, Einstein ipotizzò che se gli ioni fossero stati accelerati a una velocità vicina a quella della luce, il tempo avrebbe subito un rallentamento e di conseguenza sarebbe cambiata la lunghezza d’onda della luce emessa. In pratica, a quella velocità gli ioni avrebbero emesso una luce contraddistinta da una frequenza minore.

Schema semplificato di un’onda [fonte: Wikipedia]Il prof. Gerald Gwinner ha testato, con il suo team di ricerca della University of Manitoba (Winnipeg – Canada), la “dilatazione temporale” con l’esperimento suggerito dallo stesso Einstein. Utilizzando un acceleratore di particelle, i ricercatori hanno fatto raggiungere ad alcuni ioni di litio una velocità pari al 6% della velocità della luce per poi bombardarli con alcuni raggi laser per stimolarne l’emissione di radiazioni. Il team di ricerca ha poi misurato la frequenza della luce emessa dagli ioni scoprendo, con una precisione di 1 a 10 milioni, che essa rallenta come previsto dalla teoria della relatività ristretta.
L’eccezionale risultato, 100.000 volte più preciso e accurato rispetto a un analogo esperimento effettuato nel 1938, è stato recentemente pubblicato sulla rivista scientifica Nature Physics. Naturalmente anche questo test non dimostra l’assoluta certezza di quanto sostenuto da Einstein – è impossibile fornire una prova certa – ma riduce considerevolmente le probabilità che la teoria della relatività non sia corretta.
Un risultato niente male per una teoria concepita cento anni fa…

Celle combustibili più efficienti grazie ai batteri

Apportando particolari modifiche a un prototipo di celle a combustibile, un gruppo di ricercatori è riuscito a far produrre idrogeno a dei comunissimi batteri con un altissimo grado di efficienza. Coadiuvato dai suoi colleghi della Penn State University, il prof. Bruce Logan era già riuscito a dimostrare con successo la possibilità di produrre energia elettrica grazie ad alcuni microbi. Ora, partendo da materiali molto semplici, il team di ricerca è riuscito a “convincere” quelli stessi microbi a produrre idrogeno.

credit: psu.edu Dopo aver sperimentato alcune modifiche, migliorando il microclima per i batteri e modulando alcune piccole scariche elettriche, il gruppo di ricercatori è riuscito nella considerevole impresa di portare la produzione di idrogeno da esseri viventi a un nuovo record.
«Abbiamo ottenuto la più alta produzione di idrogeno mai raggiunta con questo tipo di procedimento legato a sorgenti organiche. Utilizzando l’aceto abbiamo raggiunto un efficienza produttiva pari al 91%, con la comune cellulosa il 68%» ha dichiarato entusiasta Bruce Logan, responsabile del progetto scientifico. Nella maggior parte degli esperimenti, praticamente tutto l’idrogeno contenuto nelle molecole di partenza è stato convertito dai batteri in gas, con un efficienza che potrebbe aprire le porte per una nuova era nella produzione di idrogeno per celle a combustibile su larga scala.
I risultati della ricerca sono stati recentemente pubblicati sulla rivista scientifica Proceedings of the National Academy of Sciences.

Cella combustibile [credit: nsf.gov] Esistono altri sistemi che consentono la produzione di idrogeno su larga scala, ma praticamente nessuno raggiunge il livello di efficienza energetica. «Questo è possibile perché i batteri sono in grado di estrarre con estrema rapidità ed efficacia l’energia dalla materia organica» ha dichiarato Logan.
I ricercatori coinvolti nello studio intendono ora perfezionare ulteriormente la loro scoperta, rendendo l’habitat dei batteri nella cella a combustibile sempre più simile a quello in cui normalmente vivono. Ciò dovrebbe aumentare ulteriormente l’efficienza energetica ottenuta fino a dieci volte rispetto ai processi di elettrolisi oggi esistenti. La nuova cella a combustibile potrebbe rendere molto più performanti numerosi dispositivi, nonché accelerare l’eterna gestazione dell’auto a idrogeno.

Il tramonto della Terra visto dalla Luna

Lavora senza sosta la sonda spaziale giapponese Kaguya, di cui abbiamo parlato in un precedente articolo. Inviata per studiare la conformazione e le proprietà fisiche della Luna, l’unico satellite naturale della Terra, la sonda invia praticamente con cadenza quotidiana immagini molto suggestive ad altissima definizione, utili per approfondire le nostre conoscenze su quel pallido corpo celeste che osserva da miliardi di anni le curiose vicende del nostro Pianeta.

Dopo aver restituito immagini della superficie lunare, i tecnici della Kaguya hanno deciso di orientare gli obiettivi delle macchine fotografiche a bordo della sonda verso la Terra. È stato così possibile osservare un vero e proprio tramonto terrestre durato appena 70 secondi, ma eternato in queste magnifiche immagini.

[credit: jaxa.jp]
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