Un giudizio a colpo d’occhio

mascheraviso.jpgIn pochissime frazioni di secondo, la maggior parte delle persone è in grado di valutare con precisione l’orientamento sessuale di un altro individuo semplicemente osservandone il viso. Questa la curiosa conclusione di una ricerca condotta per indagare la capacità del nostro subconscio di distinguere e interpretare i segnali che, in maniera del tutto inconsapevole, ci invia il prossimo.

Gli esseri umani hanno la ragguardevole capacità di emettere giudizi sulle persone in pochissimi secondi. Talvolta questa capacità è guidata dal pregiudizio, ma nella maggior parte dei casi si tratta di una vera e propria predisposizione a recepire e interpretare dettagli in maniera inconscia. Un celebre studio condotto una quindicina di anni fa dagli psicologi Nalini Ambady e Robert Rosenthal dimostrò proprio questo. I due ricercatori mostrarono a un gruppo di volontari dei brevissimi filmati, appena due secondi, i cui protagonisti erano alcuni professori universitari intenti a spiegare una lezione nelle loro rispettive aule. Le persone che parteciparono all’esperimento furono in grado di formulare giudizi molto circostanziati sulle capacità e il carattere dei docenti, valutazioni molto simili a quelle effettuate dagli studi di quei professori alla fine del semestre.

Leggi tutto “Un giudizio a colpo d’occhio”

L’anomalia dei biondi

Scarlett JohanssonI capelli di colore chiaro sono una naturale variabile genetica tra gli europei e, come rara mutazione, in altre popolazioni. In alcune aree geografiche dell’Europa l’incidenza dei biondi è molto frequente e, in numerosi casi, rimane costante anche nell’età adulta.
Il biondo è una caratteristica genetica abbastanza recente, che divenne rilevante nella popolazione appena 11.000 anni fa durante l’ultima glaciazione. Prima di allora, la maggior parte degli individui avevano capelli e occhi scuri, caratteristica predominante nel resto del mondo.

Non è ancora chiaro come le caratteristiche genetiche del biondo si siano diffuse così rapidamente nel continente europeo. Secondo alcuni antropologi, la sopravvivenza di questi caratteri sarebbe stata assicurata dalla selezione sessuale. Le donne bionde erano poche, ma spiccavano tra la “concorrenza” degli altri individui di sesso femminile con capelli e carnagione scura. Ciò avrebbe consentito al gruppo minoritario di bionde di competere ugualmente nella ricerca del maschio, diffondendo ampiamente il loro codice genetico, anche se costituito da numerosi caratteri recessivi.

I capelli biondi sono molto comuni tra i neonati e i bambini, ma generalmente tendono a scurirsi in età adulta fino a raggiungere una colorazione vicina al castano chiaro. I biondi naturali sono una vera e propria minoranza: in tutto il mondo appena il 2% della popolazione ha le caratteristiche genetiche che si traducono nel fenotipo del biondo. In Europa, la frequenza maggiore è raggiunta nei paesi scandinavi e del nord, mentre scema progressivamente man mano che ci si avvicina all’area del Mediterraneo.

clicca per ingrandire
Mappa dei biondi in Europa

La specie umana è ancora in piena evoluzione

Numerosi evoluzionisti pensano che il raggiungimento di condizioni di vita molte alte in numerose parti del Pianeta abbia ridotto sensibilmente il nostro processo evolutivo. Una nuova e controversa ricerca potrebbe però sovvertire questo convincimento. Ben distante dall’arrestare la propria corsa, l’evoluzione umana avrebbe accelerato di cento volte negli ultimi 5000 anni. Ciò significa che la specie umana si starebbe evolvendo in diversi tipi autonomi, piuttosto che in un unico ceppo omogeneo.

dna.jpgGuidato dal paleoantropologo Henry Harpending, un gruppo di ricercatori della University of Utah (USA) ha analizzato il DNA di 270 individui, provenienti da ogni parte del mondo, per mappare le variazioni in alcuni geni che determinano la predisposizione a talune malattie. I ricercatori hanno così isolato i casi di polimorfismo a singolo nucleotide, una mutazione che interessa il DNA e che si diffonde attraverso la popolazione. Ottenuti i dati su queste variazioni, il gruppo di ricerca ha sondato migliaia di dati provenienti da Europa, Africa e Asia per valutare l’estensione della mutazione nelle singole popolazioni. Quando una variazione diviene costante nel DNA significa che è vantaggiosa ai fini evolutivi, e viene quindi mantenuta dal nostro codice genetico.

I risultati della ricerca, pubblicati recentemente sulla rivista scientifica Proceedings of the National Academy of Sciences, sono per molti aspetti sorprendenti. Secondo i ricercatori, il processo evolutivo avrebbe subito un’accelerazione in almeno 1800 geni, equivalenti al 7% dell’intero genoma umano. Molte delle mutazioni sono riconducibili all’aumento della natalità: quando una popolazione si espande, aumenta il numero delle variazioni genetiche che possono così portare a benefici per la sopravvivenza della specie. Ciò avviene in maniera pressoché identica tra gli insetti: un’ampia popolazione di parassiti ha molte più probabilità di sviluppare un gene che la renda immune ai pesticidi rispetto a una popolazione numericamente limitata.

Principali stadi dell’evoluzione umanaLa ricerca condotta da Harpending e il suo team non è però qualitativa, ma principalmente quantitativa. Ciò significa che l’identità e le funzioni di quel 7% di geni in rapida mutazione non sono ancora del tutto note. In linea di massima, molte delle informazioni genetiche in evoluzione sarebbero legate alle malattie maggiormente virulente e ai cambiamenti dovuti alle abitudini alimentari. Alcune mutazioni consentono ad alcune popolazioni umane di digerire e metabolizzare meglio l’amido, i grassi saturi e il lattosio.
Lo studio condotto da Harpending è ancora parziale, ma prospetta un processo evolutivo della nostra specie molto più complesso e differenziato di quanto si potesse immaginare. [fonte principale: Science]

Un ominide con la tubercolosi

Un nuovo importante ritrovamento di ossa fossili potrebbe svelare alcuni segreti dei lontani antenati del genere umano. La scoperta è avvenuta vicino a Denizli, una città della Turchia, in cui sono stati ritrovati i resti di un cranio umano risalente a circa mezzo milione di anni fa. Nonostante i pochi frammenti ritrovati, il fossile rivela il più antico caso finora conosciuto di tubercolosi della Storia.

Il cantiere di Denizli (basso) e i resti fossili del cranio (in alto) [Credit: John Kappelman/University of Texas, Austin]Il Medio Oriente è stato per migliaia di anni un importante crocevia per le prime popolazioni nomadi di umani. «Da alcuni anni, ci è ormai chiaro che i primi ominidi si siano dispersi per l’Europa passando dalle regioni occidentali dell’Asia e dall’Africa, rendendo l’attuale territorio della Turchia un punto di passaggio obbligato» ha dichiarato il paleoantropologo Philip Rightmire alla rivista scientifica Science.
Sulla base di queste conoscenze, antropologi e paleontologi hanno intensificato per anni le ricerche dei diretti antenati dell’uomo, Homo erectus, in Turchia. Ironia della sorte, i resti fossili di Danizli non sono stati ritrovati dai ricercatori, ma da un gruppo di operai impegnati in un cantiere. Allertato un team di ricerca internazionale già presente in Turchia, i responsabili del cantiere hanno permesso la fondamentale scoperta, riportata sull’ultimo numero della rivista specializzata American Journal of Physical Anthropology.

Homo erectus e Homo sapiens sapiens a confronto [credit: outofafricaintoasia.tripod.com]Secondo i ricercatori che hanno curato lo studio, i resti fossili apparterrebbero a un esemplare di Homo erectus, o – con meno probabilità – di un Homo Heidelbergensis, un diretto parente dell’uomo di Neanderthal.
Un’analisi approfondita dei frammenti cranici ha messo in evidenza i tipici segni causati dal Leptomeningitis tuberculosa, un batterio che causa una particolare forma di tubercolosi che aggredisce le membrane cerebrali. Secondo i ricercatori, le cicatrici fossilizzate rappresenterebbero una forma primordiale di questa malattia nell’uomo. La presenza della tubercolosi può fornire, inoltre, numerosi indizi sull’aspetto fisico di questo individuo vissuto mezzo milione di anni fa. L’ominide doveva essere molto probabilmente di carnagione scura, un vero e proprio handicap per i primi esseri umani che migrarono verso nord. La minore quantità di esposizione al sole comportava, infatti, una sensibile carenza di vitamina D con un inevitabile abbassamento delle risorse immunitarie. In queste condizioni il batterio della tubercolosi avrebbe trovato un ottimo terreno su cui attecchire e proliferare.

La scoperta di Denizli apre nuove affascinanti prospettive per lo studio dell’evoluzione umana. Per la prima volta, infatti, i paleoantropologi potranno mettere in relazione le migrazioni verso nord con il progredire di alcune patologie, sopravvissute fino ai giorni nostri. Un passaggio fondamentale per comprendere appieno il lento processo evolutivo che in centinaia di migliaia di anni ha portato all’Homo sapiens sapiens. L’ultima tappa della nostra evoluzione.

Scoperti nuovi antenati del genere umano

Lordkipanidze mostra uno dei fossili appartenenti alla sua inestimabile scoperta [credit: Nature]Dopo numerosi anni di ricerca, un gruppo di antropologi ha scoperto i più antichi resti umani fino ad ora conosciuti al di fuori dell’Africa, il continente in cui iniziò l’evoluzione del genere umano.
I ricercatori del Georgian National Museum di Tbilisi hanno ritrovato una quarantina di ossa fossili appartenute a quattro ominidi della specie Homo erectus e ritrovate nell’enorme scavo di Dmanisi in Georgia (Asia centrale).

Le più recenti teorie antropologiche ipotizzano che l’Homo erectus sia emigrato dall’Africa alle floride terre Asiatiche circa due milioni di anni fa. La posizione geografica del sito di Dmanisi è compatibile con questa teoria, che disegna il percorso migratorio dall’Africa all’Asia fino alla remota Indonesia.
Il preziosissimo ritrovamento, è molto raro ritrovare così tante ossa fossili in un unico sito, potrà aiutare gli antropologi nella difficile ricostruzione dei primi spostamenti dei nostri antichi antenati. Le prime analisi sui fossili confermerebbero una datazione poco inferiore ai due milioni di anni fa, gli ominidi ritrovati a Dmanisi apparterrebbero quindi alle prime generazioni che dall’Africa migrarono verso l’Asia.

Principali stadi dell’evoluzione umana“Dmanisi è un vero è proprio regalo, è l’unico sito in grado di testimoniare ciò che accadde così tanti milioni di anni fa” ha dichiarato David Lordkipanidze, uno dei responsabili della ricerca pubblicata sulla prestigiosa rivista scientifica Nature.
L’entusiasmo di Lordkipanidze è più che giustificato. Aver ritrovato quattro ominidi (tre adulti e un adolescente) significa poter ricostruire con maggior precisione le fattezze di quei nostri lontani antenati in piena evoluzione verso una specie più “complessa”.

Come in un enorme puzzle, ora i ricercatori cercheranno di capire se i tre crani ritrovati precedentemente nel medesimo sito siano compatibili con i resti fossili dei tre esemplari adulti di Homo erectus.

Dalle dimensioni delle spalle, delle braccia, della colonna vertebrale e delle gambe, i paleontologi guidati da Lordkipanidze sono giunti alla conclusione che gli ominidi ritrovati fossero molto piccoli, 50 kg di peso per un’altezza non superiore al metro e mezzo, ma già incredibilmente proporzionati rispetto ai “canoni” dell’uomo moderno.
Nonostante l’incredibile e inestimabile scoperta, è ancora presto per scrivere la parola “fine” nella lunga indagine sulle nostre origini. Come in un enorme puzzle, quelli scoperti da Lordkipanidze sono ottimi tasselli per comporre una verità sulla nostra evoluzione ancora da scoprire. Ma intanto c’è chi scommette che le sorprese offerte dal ricco sito di Dmanisi non siano ancora finite…

[fonte Nature]

Il primo proiettile del Nuovo Mondo

inca_colpoOgni anno, nei soli Stati Uniti d’America, sono 10.000 le vittime da armi da fuoco. Una cifra spaventosa, che riflette in pieno la cultura, in alcuni casi maniacale, per le spitfire degli americani. Ma chi fu ad esplodere il primo colpo nel Nuovo Mondo?

La risposta potrebbe provenire dalla recente scoperta, in Perù, dei resti della più antica vittima da arma da fuoco conosciuta. Scavando in un cimitero Inca nei pressi di Lima, un gruppo di archeologi ha portato alla luce lo scheletro di un nativo con il cranio perforato in due punti. Dopo un’attenta analisi, un gruppo di medici legali del Connecticut ha confermato la compatibilità dei due fori con una ferita da pallettone, i proiettili utilizati dai conquistadores spagnoli. Leggi tutto “Il primo proiettile del Nuovo Mondo”