Uno dei farmaci utilizzati per curare l’AIDS potrebbe svolgere un “secondo lavoro” curando alcune tipologie di cancro. È la sorprendente conclusione cui è giunto un team di ricercatori statunitensi dopo numerose analisi di laboratorio e una sperimentazione sul campo, appena attivata su un vasto numero di volontari.
Utilizzati per interferire con il ciclo replicativo del virus dell’HIV, gli inibitori di proteasi hanno dimostrato una notevole capacità nel ridurre la velocità di crescita di alcuni tipi di cellule tumorali. Tra tutti i farmaci sperimentati, il nelfinavir si è dimostrato il principio attivo più efficace nel ridurre la corsa alla riproduzione cellulare dei tumori.
Il team di ricercatori è potuto giungere a questo promettente risultato compiendo numerosi e attenti test di laboratorio, in cui sono stati sperimentati sei differenti inibitori di proteasi utilizzati nella cura dell’AIDS. Il nelfinavir ha battuto la concorrenza, dimostrandosi il farmaco più versatile ed efficace, anche contro forme tumorali tenaci come quelle legate al cancro del seno resistenti a principi attivi come il tamoxifen e il trastuzumab.
Non è ancora completamente chiaro come il nelfinavir agisca contro le cellule tumorali. In linea teorica qualsiasi inibitore di proteasi dovrebbe interferire con la crescita cellulare, le proteasi sono infatti particolari enzimi in grado di catalizzare (aumentare la velocità) la rottura dei legami peptidici responsabili della formazione degli amminoacidi (i mattoncini base per costruire le proteine). Eppure solo alcuni principi attivi si sono dimostrati in grado di rallentare effettivamente la crescita delle cellule tumorali. I ricercatori ipotizzano che la diversa reazione sia dovuta all’esistenza di distinte proteasi per l’HIV e il cancro.
Dalla ricerca alla produzione di un nuovo farmaco contro il cancro passano, in media, almeno 15 anni, con una spesa per le analisi di laboratorio che supera abbondantemente il miliardo di dollari, con la costante incognita di non ricevere l’approvazione finale dagli enti nazionali per la sicurezza dei farmaci.
Per ovviare a questi problemi, lo studio statunitense, pubblicato sul prestigioso Clinical Cancer Research, propone l’analisi approfondita dei farmaci già in commercio e “rodati” dopo anni di utilizzo da parte dei pazienti. Il modello pare funzionare. Dopo appena un anno dall’inizio delle sperimentazioni si è infatti già giunti alle prime fasi di test su alcuni volontari affetti da diverse forme tumorali.
“L’obiettivo dei test è la sicurezza e l’assenza di effetti collaterali per i nostri pazienti” ha dichiarato il prof. Phillip A. Dennis, uno degli autori della ricerca. “Quando avremo dati certi sulla sicurezza del trattamento, potremo proseguire le nostre analisi per calibrare i principi attivi su specifiche tipologie di tumore”.
La ricerca potrebbe portare presto a nuovi e sorprendenti risultati, aprendo una nuova e innovativa strada nella ricerca contro il cancro.
E’ sempre positivo aggiungere importanti tasselli nella lotta contro il cancro. Per avere pieno successo gli sforzi dovrebbero essere universalmente accettati e, nello stesso tempo finanziati, non dalla generosità di singole persone abbienti, o solamente dalle industrie Farmaceutiche, ma da tutte le Nazioni che siedono all’ONU ove dovrebbe essere istituita una sezione di coordinamento della ricerca mondiale, per evitare inutili doppioni e quindi sperperi che allontanano la vittoria finale per tutti gli esseri umani della terra.
Attilio Pizzarello
Attilio Pizzarello