Due proteine rendono le cellule tumorali più resistenti alla chemioterapia

Quali differenze fanno sì che alcune cellule tumorali rispetto ad altre sopravvivano alla chemioterapia, lasciando così la porta aperta a nuove metastasi?

Celulla cancerogena al microscopio elettronico
Celulla cancerogena al microscopio elettronico

Rispondere a una domande del genere non era certo semplice, ma i ricercatori del Weizmann Institute non si sono dati per vinti e hanno avviato una meticolosa ricerca, sviluppando nuove procedure per immortalare e analizzare migliaia di cellule sottoposte agli effetti della chemioterapia. Lo studio, pubblicato sulla rivista scientifica Science, ha consentito di comprendere meglio le reazioni innescate dai farmaci chemioterapici nelle cellule e le loro risposte ai trattamenti clinici antitumorali.

I ricercatori Ariel Cohen, Naama Geva-Zatorsky ed Eran Eden hanno analizzato il comportamento di circa 1000 differenti proteine coinvolte nei processi di sopravvivenza delle cellule. L’intero lavoro di ricerca è durato diversi anni: per ogni gruppo di cellule tumorali si è resa necessaria la corretta mappatura delle proteine in esse presenti grazie a un gene, rilevabile perché fluorescente, e a una serie di fotografie scattate a intervalli regolari per 72 ore consecutive. Terminata la mappatura, i ricercatori hanno iniettato in ogni gruppo di cellule un farmaco chemioterapico, osservando poi i processi che portavano alla morte di alcune cellule e alla resistenza di altre. Leggi tutto “Due proteine rendono le cellule tumorali più resistenti alla chemioterapia”

Acido solfidrico: da veleno a cura per il cuore

Nonostante possa rilverarsi un pericoloso veleno, a basse concentrazioni l’Acido Solfidrico (H2S) potrebbe diventare presto un ottimo alleato dell’uomo per combattere l’infarto.

Modello struttura H2S Acido solfidrico
Modello struttura H2S Acido solfidrico

Un gruppo di ricercatori della Emory University School of Medicine (Atlanta, USA) ha, infatti, scoperto come l’acido solfidrico possa contribuire ad attenuare i devastanti effetti dovuti a un arresto cardiaco. Il team di ricerca ha analizzato alcuni particolari enzimi presenti nel nostro organismo che sintetizzano piccole dosi di acido solfidrico, utilizzate per regolare la pressione sanguigna e contrastare le infiammazioni. Una difesa prodotta naturalmente dal nostro organismo che ha incuriosito non poco i ricercatori, determinati ad approfondire gli effetti dell’acido solfidrico sull’apparato cardiocircolatorio.

Attraverso una serie di esperimenti in laboratorio su alcune cavie, il team di ricerca ha riscontrato come una somministrazione regolare di acido solfidrico mitiga nei soggetti predisposti a infarto gli effetti di un attacco cardiaco. Dopo quattro settimane, le cavie trattate con l’acido solfidrico hanno fatto registrare un sensibile miglioramento della loro capacità cardiaca rispetto al gruppo di controllo. Il medesimo risultato è stato poi ottenundo inducendo l’organismo dei topolini a produrre autonomamente più H2S. Leggi tutto “Acido solfidrico: da veleno a cura per il cuore”

Combattere artrite ed epatite con le formiche

Polyrhachis lamellidens - Credit: http://homepage2.nifty.com/kazita/Image/toge01.jpg Un piacevole picnic primaverile può essere funestato da un’orda di affamate formiche, interessate a raccimolare qualche briciola caduta da panini, torte e altre leccornie preparate per essere consumate all’aperto. Eppure, in futuro potremmo non disdegnare la presenza di questi indiscreti animaletti nel nostro armadietto delle medicine, almeno secondo un gruppo di ricerca dell’Università di Hong Kong.

Alcuni ricercatori hanno infatti identificato una particolare sostanza, in alcune specie di formiche, in grado di curare l’artrite, l’epatite e talune altre patologie. Il curioso studio derivato dalla scoperta è stato recentemente pubblicato sulla rivista scientifica ACS’ Journal of Natural Products.

Da tempo pressoché immemore, l’antica medicina cinese utilizza le formiche come ingredienti per particolari cibi e decotti curativi, un tempo utilizzati anche per curare alcuni dolori ossei e al fegato. Partendo da questa tradizione, molto radicata in alcune regioni dello sterminato paese asiatico, un gruppo di ricercatori ha avviato una meticolosa indagine per scoprire quali sostante presenti nelle formiche siano in grado di fornire un effetto antinfiammatorio e antidolorifico.
Dalle prime analisi, i chimici di Hong Kong sono riusciti a isolare alcuni componenti che potrebbero essere legati ai benefici effetti già conosciuti dai loro antenati cerusici. Leggi tutto “Combattere artrite ed epatite con le formiche”

Monossido di Carbonio, da veleno letale a medicinale

Nonostante la sua cattiva reputazione, il monossido di carbonio (CO) potrebbe rivelarsi un ottimo elemento per salvare vite umane e curare numerose patologie.
Un gruppo di chimici dell’University of Sheffield (UK) ha scoperto un metodo innovativo per utilizzare in maniera mirata minuscole dosi di CO per curare i pazienti che hanno da poco subito operazioni cardiache, trapianti d’organo o che soffrono di ipertensione.

Monossido di CarbonioAssunto in dosi massicce il monossido di carbonio può rivelarsi letale, ma in piccole quantità può aiutare a ridurre le infiammazioni, ripristinare il corretto lume (l’ampiezza) delle arterie, incrementare il flusso sanguigno, prevenire la formazione di coaguli e reprimere le dinamiche di rigetto che spesso causano gravi problemi a chi ha subito un trapianto d’organi.
I ricercatori britannici hanno sviluppato un’innovativa molecola solubile in acqua che, non appena viene ingerita o iniettata per endovenosa, rilascia in maniera sicura e controllata minuscole quantità di CO all’interno dell’organismo.
Il ruolo svolto dal monossido di carbonio nel regolare il nostro sistema immunitario era già noto da una decina di anni, ma nessuno era ancora riuscito a sviluppare una via affidabile e sicura per somministrare CO ai pazienti. Il metodo per inalazione, utilizzato da diversi anni, esponeva i pazienti a numerosi effetti collaterali e metteva anche a rischio lo stesso personale sanitario. Ora, per la prima volta, grazie alla chimica sarà possibile sviluppare nuovi formaci in grado di rilasciare CO in maniera controllata e sicura.

Prof. Brian Mann, coordinatore del team di ricercatori sul CO“La nostra molecola si dissolve completamente nell’acqua, è quindi di semplicissima somministrazione ed è in grado di raggiungere molto velocemente il flusso sanguigno” ha dichiarato il prof. Brian Mann, che ha coordinato il team di ricercatori. “Oltre a poter creare molecole sicure in grado di rilasciare CO, potremo anche sviluppare strutture molecolari per terapie estremamente mirate che interesseranno unicamente le parti dell’organismo da curare”.
Le molecole ideate dal gruppo di ricercatori della University of Sheffield sono costituite da gruppi carbonilici legati a metalli come il rutenio, il ferro e il manganese, già ampiamente testati e utilizzati nei trattamenti sanitari. Queste molecole possono essere progettate per rilasciare monossido di carbonio in periodi che variano da 30 minuti a un paio d’ore, a seconda delle necessità legate alle condizioni del paziente.

Entro due anni i ricercatori intendono iniziare i primi test clinici, fondamentali per verificare l’efficacia della loro scoperta, resa nota dall’Engineering and Physical Sciences Research Council (EPSRC), che potrebbe tradursi in una nuova generazione di medicinali in circa cinque anni.
Queste innovative molecole stanno destando molto interesse in ambiente scientifico e sanitario. Le loro incredibili potenzialità potrebbero contribuire a ridurre sensibilmente i tempi di recupero dopo un’operazione chirurgica, alleggerendo e ottimizzando considerevolmente il carico di lavoro per ospedali e personale medico.