Due proteine rendono le cellule tumorali più resistenti alla chemioterapia

Quali differenze fanno sì che alcune cellule tumorali rispetto ad altre sopravvivano alla chemioterapia, lasciando così la porta aperta a nuove metastasi?

Celulla cancerogena al microscopio elettronico
Celulla cancerogena al microscopio elettronico

Rispondere a una domande del genere non era certo semplice, ma i ricercatori del Weizmann Institute non si sono dati per vinti e hanno avviato una meticolosa ricerca, sviluppando nuove procedure per immortalare e analizzare migliaia di cellule sottoposte agli effetti della chemioterapia. Lo studio, pubblicato sulla rivista scientifica Science, ha consentito di comprendere meglio le reazioni innescate dai farmaci chemioterapici nelle cellule e le loro risposte ai trattamenti clinici antitumorali.

I ricercatori Ariel Cohen, Naama Geva-Zatorsky ed Eran Eden hanno analizzato il comportamento di circa 1000 differenti proteine coinvolte nei processi di sopravvivenza delle cellule. L’intero lavoro di ricerca è durato diversi anni: per ogni gruppo di cellule tumorali si è resa necessaria la corretta mappatura delle proteine in esse presenti grazie a un gene, rilevabile perché fluorescente, e a una serie di fotografie scattate a intervalli regolari per 72 ore consecutive. Terminata la mappatura, i ricercatori hanno iniettato in ogni gruppo di cellule un farmaco chemioterapico, osservando poi i processi che portavano alla morte di alcune cellule e alla resistenza di altre.

Grazie al loro meticoloso e inevitabilmente lento procedimento, i ricercatori hanno creato un catalogo vero e proprio contenente le informazioni sulle cellule analizzate, le loro immagini e numerosi dati sulle proteine legate alle cellule tumorali. Confrontando poi i risultati ottenuti, il team di ricerca è riuscito a identificare due proteine che sembrano essere le principali indiziate nella sopravvivenza delle cellule del cancro.

Nonostante tutte le proteine si comportino sostanzialmente nel medesimo modo in tutte le cellule, i ricercatori hanno scoperto come una piccola porzione – circa il 5% – assuma comportamenti del tutto imprevedibili, anche quando le cellule e l’esposizione a determinati farmaci sono identiche. Queste proteine, chiamate dal team di ricerca “bimodali”, si possono dunque comportare in modi molto differenti tra loro.

Approfondendo le loro ricerche sulle proteine bimodali, Cohen e i suoi colleghi hanno identificato due molecole che potrebbero spiegare il loro comportamento. Una delle due molecole identificate, DDX5, svolge numerosi compiti, ma sembra anche rivestire un ruolo fondamentale nello stimolare la produzione di altre proteine. La seconda molecola, RFC1, svolge tra i suoi compiti anche quello di riparatrice del DNA danneggiato. Numerose funzioni svolte da due sole molecole, che dunque ampliano notevolmente il numero di possibili reazioni all’interno delle cellule. I ricercatori hanno così provato a disattivare le due molecole e il loro comportamento bimodale, registrando un notevole aumento della capacità dei farmaci chemioterapici di impedire alle cellule tumorali di crescere nuovamente.

I risultati ottenuti potrebbero portare a nuovi protocolli di cura più efficaci nel contrastare recidive e metastasi legate ai tumori. Lo studio, ancora in fase embrionale, sembra essere molto promettenete e l’ampio database realizzato dal team di ricerca potrà affinare le attuali conoscenze sul comportamento delle cellule tumorali.