Nel cuore fluido della Luna il segreto del magnetismo lunare

Area del polo Nord della Luna (credit: http://www.jaxa.jp)
Area del polo Nord della Luna (credit: http://www.jaxa.jp)

Forse la Luna nasconde un passato più irrequieto del previsto e lontano dall’attuale calma del satellite. È quanto sostiene un gruppo di ricercatori, che ha da poco ipotizzato con maggior precisione il possibile ciclo evolutivo vissuto dal nostro vicino più prossimo nel Cosmo. Secondo lo studio, pubblicato sulla rivista scientifica Science, la Luna avrebbe originariamente avuto un nucleo fluido, tale da conferire al satellite anche un campo magnetico.

Buona parte dei pianeti del nostro sistema solare sono dotati di un campo magnetico, che nel caso della Terra si rivela un’ottima barriera per proteggerci – per esempio – dal pericoloso vento solare. Nonostante sia un satellite, anche la Luna sembra aver posseduto un campo magnetico, ma l’origine di tale peculiarità è stata da sempre un motivo di divisione all’interno della comunità scientifica. Secondo alcuni astrofisici, infatti, il campo magnetico si sarebbe originato a causa dei metalli disciolti nell’ipotetico nucleo liquido del satellite, mentre per altri si sarebbe sviluppato a causa della collisione con le meteore che avrebbero comportato un magnetismo di breve durata sulla superficie lunare.

Ora una roccia potrebbe finalmente fornire una risposta definitiva sull’intricato enigma. Un gruppo di ricercatori, guidato da Ian Garrick-Bethell del Massachussets Institute of Technology (USA), ha analizzato il detrito lunare 76535 raccolto nell’ormai lontano 1972 dalla missione Apollo 17, l’ultima ad aver portato l’uomo sulla Luna. La roccia risale a circa 4,2 miliardi di anni fa ed è sostanzialmente un troctolite. Leggi tutto “Nel cuore fluido della Luna il segreto del magnetismo lunare”

È il laser il nuovo alleato dei cacciatori di crateri

Nel nord ovest del Canada è stato da poco scoperto un nuovo cratere, creato circa 1100 anni fa da una meteora che impattò violentemente sul suolo terrestre nell’area vicina alle odierne foreste di Alberta. La scoperta è stata resa possibile da alcuni dispositivi per il telerilevamento, che potrebbero presto aiutare i ricercatori a scoprire altre aree in cui precipitarono meteore di piccole dimensioni.

Ciclicamente, alcuni asteroidi e comete relativamente piccoli vengono attratti dalla gravità terrestre e si schiantano al suolo producendo crateri larghi circa 40 metri, non sempre facilmente rilevabili. I detriti che non si polverizzano al momento dell’impatto col suolo costituiscono una risorsa molto importante per i geologi e gli astrofisici: gli elementi raccolti hanno contribuito alla ricostruzione degli eventi che portarono alla formazione del nostro sistema solare, per fare un singolo esempio.

Ritrovare i resti delle meteore non è però semplice. Le dimensioni ridotte fanno sì che i crateri si erodano rapidamente, nascondendo così alla vista il punto di impatto di un corpo celeste con il suolo terrestre. La vegetazione e i corsi d’acqua spesso contribuiscono a questo fenomeno di occultamento, rendendo pressoché introvabili i crateri intorno ai 40 metri di diametro. I dati sui ritrovamenti confermano chiaramente la difficoltà nel rintracciare i siti degli impatti: ne sono stati ritrovati solamente cinque, con età che affondano nella notte dei tempi fino a circa 12mila anni or sono. Leggi tutto “È il laser il nuovo alleato dei cacciatori di crateri”