Il Sole è la guida per milioni di farfalle

Farfalla MonarcaOgni autunno, milioni di farfalle monarca intraprendono una vera e propria migrazione dalle terre del Nord America per raggiungere le più miti temperature sulle montagne del Messico centrale. Il fenomeno ha da sempre incuriosito ricercatori ed entomologi, che nel corso degli anni hanno cercato di comprendere come questi insetti fossero in grado di compiere per la prima volta nella loro vita un viaggio di circa 3000 chilometri. Dopo numerose ricerche, un gruppo di scienziati ha finalmente scoperto il meccanismo che consente a questi magnifici insetti di orientarsi e capire quando sia giunto il momento per avviare la migrazione.

La ricerca ha evidenziato come le farfalle monarca utilizzino il Sole come una vera e propria bussola. Quella che a prima vista può apparire come una scelta piuttosto scontata e banale, nasconde in realtà numerose complicazioni. Il Sole, infatti, compie il proprio moto apparente sull’orizzonte ogni giorno, muovendosi progressivamente da est a ovest. Questi insetti devono quindi correggere in continuazione il loro orientamento, per non perdere la direzione che stanno seguendo. Secondo Steven Reppert (University of Massachusetts, USA), che da una decina d’anni studia il comportamento di numerosi insetti, le farfalle monarca possiedono una sorta di timer interno che consente loro di volare nella giusta direzione. I criptocromi, un particolare tipo di proteine, sarebbero alla base del funzionamento di questo orologio e regolerebbero i cicli circadiani di numerosi insetti volanti.

Ogni anno milioni di farfalle monarca migrano verso sudStudiando il DNA di un ampio gruppo di farfalle monarca, Reppert e il suo team di ricerca hanno identificato due tipi di criptocromi in questi insetti: un risultato inaspettato. Studi più approfonditi hanno dimostrato come queste farfalle possiedano sia il gruppo di criptocromi CRY1, che regolano l’orologio interno attraverso la luce del sole, sia l’insieme dei criptocromi CRY2, che consentono al timer di funzionare lungo la giornata. I ricercatori hanno inoltre scoperto che i quantitativi di CRY2 cambiano sensibilmente nel corso di un giorno all’interno del cervello delle farfalle. Secondo Reppert, tali oscillazioni di criptocromi sarebbero parte integrante della “bussola” che consente a questi insetti di non perdere il loro orientamento in volo.

Di imminente pubblicazione sulla rivista scientifica PLoS Biology, la ricerca sta destano molto scalpore tra gli entomologi. Lo studio mette infatti per la prima volta in relazione diretta l’influenza della luce del sole con due tipi distinti di criptocromi (CRY1 e CRY2) e con i cicli circadiani degli insetti. La ricerca potrebbe, inoltre, fornire utili informazioni sui nostri cicli circadiani e sulla loro mutazione nel corso della nostra evoluzione.
Come le farfalle monarca, presenti in un’ampia fascia degli Stati Uniti, riescano a confluire nel medesimo luogo negli stessi giorni rimane ancora un mistero. Un affascinante segreto della Natura. [fonte principale: Science]

Mutazioni genetiche differenti per un medesimo risultato

AmblyopsidaeLa famiglia degli Amblyopsidae annovera sei specie di pesci totalmente ciechi, abituati a vivere in ambienti completamente bui come caverne e profondità marine. In questi luoghi privi di luce, la vista è il senso meno utile, per questo motivo lungo il loro corso evolutivo, questi pesci hanno progressivamente perso l’uso degli occhi. Secondo una recente ricerca, però, in alcune condizioni queste specie ittiche possono riguadagnare la vista. Le mutazioni in parte del loro patrimonio genetico possono interessare numerosi esemplari di un’unica generazione, la cui stirpe è rimasta al buio anche per milioni di anni.

«Il recupero dell’abilità visiva avviene nel tempo di una sola generazione poiché i gruppi di questi pesci che vivono in differenti cavità sono ciechi per motivi altrettanto differenti tra loro» ha dichiarato Richard Borowsky, che ha recentemente pubblicato i risultati della propria ricerca sulla rivista scientifica Cell Press. Il suo gruppo di ricercatori ha isolato una ventina di popolazioni diverse di questi pesci ciechi al largo delle coste del Messico nord-orientale.
Secondo gli studi condotti da Borowsky, ogni macrogruppo di pesci ha perso la vista con mutazioni genetiche differenti, dando luogo a una considerevole differenziazione a livello del loro genoma.

dna.jpgPartendo da questi presupposti, i ricercatori hanno provato a incrociare esemplari appartenenti a gruppi diversi per “rimescolare” le carte del loro patrimonio genetico. Come previsto da Borowsky, la nuova generazione ibrida ottenuta da questi incroci ha portato alla luce numerosi esemplari in grado di vedere, nonostante provenissero da stirpi ormai cieche da centinaia di migliaia di anni. Inoltre, all’aumentare della distanza degli habitat degli esemplari incrociati è aumentata considerevolmente la probabilità di ottenere un maggior numero di pesci in grado di rispondere agli stimoli visivi.
Semplificando molto, ciò significa che singoli gruppi di pesci posseggono geni differenti con le istruzioni per sviluppare la cecità. Incrociando pesci appartenenti a gruppi diversi, i geni responsabili della cecità di un gruppo vengono contrastati da quelli “normali” dell’altro gruppo e viceversa. Grazie a questa inibizione reciproca di alcuni fattori genetici, una percentuale di pesci nasce con il dono della vista.

Il risultato ottenuto non è solamente importante per i pesci ciechi della famiglia Amblyopsidae, ma per la ricerca sul DNA tout court. Lo studio dimostra, infatti, come l’evoluzione possa portare a precise trasformazioni (come l’eliminazione della vista, inutile per una vita perennemente al buio) procedendo con mutazioni genetiche estremamente differenti all’interno della medesima specie. Un risultato tutt’altro che scontato. [fonte principale: Cell Press]

Come funzionano i Post-it?

post-it.jpgNei primissimi anni Ottanta, un esercito di piccoli foglietti gialli di carta adesiva invasero gli uffici e le case di tutto il mondo. Pratici e poco costosi, questi quadrati di carta adesiva erano uno strumento ideale per appuntare brevi promemoria o catalogare documenti e trascrivere messaggi. Il loro grande vantaggio consisteva nella peculiarità di poter essere staccati e riattaccati da numerose superfici, senza lasciare alcuna traccia di colla. In meno di un decennio i foglietti adesivi conobbero un crescente successo, che perdura ancora oggi nonostante la rivoluzione digitale. Ma qual è il segreto di questi piccolo quadrati di carta adesiva?

Post-itCome le invenzioni più curiose e geniali, anche i foglietti gialli nacquero – nel 1968 – per puro caso grazie a una scoperta in un laboratorio di Saint Paul, Minnesota (USA), in cui un gruppo di ricercatori stava effettuando alcuni esperimenti per la creazione di una nuova supercolla. Ma, a dispetto del proprio nome, l’adesivo era invece estremamente debole, tanto da indurre la società 3M, che aveva finanziato la ricerca, ad abbandonare drasticamente il progetto. Art Frye, uno dei chimici della 3M, non si rassegnò alla decisione della società per cui lavorava, e iniziò ad utilizzare la colla per scopo personale. Ogni domenica, Frye inseriva dei particolari foglietti adesivi nel proprio innario, per sottolineare i passaggi più importanti della canzoni che eseguiva con il coro della chiesa. La colla poco adesiva permetteva di incollare e staccare i pezzetti di carta senza danneggiare le pagine del libro.
Per quasi dodici anni, Frye cercò di convincere i dirigenti della 3M sulla bontà della propria invenzione, ma senza ottenere la minima considerazione. Il cambio di alcuni dirigenti, evidentemente più lungimiranti, permise a Frye di mandare in produzione la propria scoperta. Era il 1980 e la 3M iniziava a vendere i primissimi blocchetti di Post-it.

Vista al microscopio, la superficie della banda adesiva di questi foglietti è cosparsa di minuscole bolle di resina ureica e carbammidica, che contengono un blando adesivo. Sotto la pressione delle dita, le bolle si rompono rilasciando la colla. Questa “rottura” non interessa però tutte le piccole sfere piene di collante: per questo motivo i Post-it possono essere attaccati e staccati numerose volte prima di perdere la loro collosità. Un piccolo miracolo della fisica quotidiano. Rigorosamente in giallo. [Fonte principale: Reader’s Digest]

Reflusso gastrico meno mortale del previsto

Il reflusso gastrico comporta la risalita dei succhi gastrici, estremamente acidi e corrosivi, all’interno dell’esofago compromettendone i tessuti [credit: healthline.com]Il reflusso gastrico, ovvero il ricircolo di succhi gastrici dallo stomaco ad ampi tratti dell’esofago, è stato spesso indicato come una delle cause di numerose patologie più gravi come tumori, asma e gravi problemi legati all’apparato respiratorio. Una nuova ricerca recentemente pubblicata sulla rivista scientifica The American Journal of Gastroenterology ha cercato di verificare questa tesi, appurando se il reflusso gastrico sia davvero in grado di accorciare la vita delle persone che ne sono affette.

Studiando e confrontando i dati di circa 50.000 pazienti, lo studio ha dimostrato con sufficiente chiarezza come le persone affette da riflusso gastrico non abbiano maggiori probabilità di morire prematuramente. I dati rilevati sul gruppo dei pazienti e sul gruppo di controllo sano non ha infatti evidenziato alcuna differenza tra i due gruppi.
Lo studio ha evidenziato come le persone raramente affette da episodi di riflusso gastrico abbiano una prospettiva di vita praticamente identica agli individui che sono affetti da questa patologia in maniera continuativa.

Utilizzare un cuneo in gommapiuma o due cuscini per inclinare il busto può contribuire ad attenuare il reflusso gastrico notturno [credit: makemeheal.com]In molti casi, il riflusso gastrico è sintomo di uno scorretto stile di vita: sedentarietà, stress e alcool sono spesso le principali cause di queste patologie. Salvo casi più complessi, questa patologia può quindi essere considerata come un campanello di allarme di cause ben più gravi in grado di accorciare la durata della nostra vita.
Gli Stati Uniti sono una delle nazioni in cui si registrano i principali picchi di questo disturbo. Nonostante l’alto numero di persone affette da questa patologia, l’incidenza del cancro legata al riflusso gastrico è estremamente bassa. Secondo i ricercatori che si sono occupati della ricerca e della pubblicazione, il riflusso gastrico sarebbe dunque molto presente nelle società moderne, ma con un grado di pericolosità più basso rispetto a quanto previsto finora.
Chi ne è affetto non deve comunque sottovalutare il disturbo e dovrebbe parlarne con il proprio medico di famiglia. Pochi semplici accorgimenti, e in alcuni casi una cura farmacologica sicura, possono sconfiggere o alleviare la patologia prima che si cronicizzi.

Scoperto un pianeta neonato

Un gruppo di astronomi è riuscito con ogni probabilità nella difficile operazione di identificare un esopianeta (un pianeta che non appartiene al nostro sistema solare, ma che orbita intorno a una stella) che potrebbe fornire numerosi dettagli sui primi stadi di formazione di un corpo celeste.

Raffigurazione artistica di un esopianetaNel corso degli ultimi dieci anni gli astronomi hanno identificato circa 270 pianeti intenti a compiere la loro orbita al di fuori del nostro sistema solare. Grazie all’utilizzo di sofisticati telescopi, hanno potuto anche tracciare centinaia di stelle nei loro primissimi stadi di vita sormontate da gas e polveri interstellari, ambienti ideali per la creazione di nuovi pianeti.
Partendo da queste conoscenze, un gruppo di ricercatori del Max Planck Institute for Astronomy di Heidelberg (Germania) ha da poco dichiarato di aver identificato un pianeta “appena nato” collocato in prossimità della stella TW Hydrae, a circa 180 anni luce (1.70289511 × 1015 km) dalla Terra. In quella zona i ricercatori hanno identificato un’area instabile, che potrebbe essere causata da una forza di gravità molto intensa causata da un corpo celeste ancora in formazione.
Una serie di successivi dati raccolti dal team di astrofisici suggerisce la presenza di un pianeta altamente massivo, circa dieci volte la massa di Giove, che compie un’orbita intorno alla propria stella ogni quattro giorni terrestri.

Secondo le teorie più affermate, coagulandosi, gas e polveri emessi da una stella possono creare un nuovo pianetaI risultati completamente inediti dello studio condotto al Max Planck Institute, recentemente pubblicati sulla rivista scientifica Nature, dimostrano la giovane età del pianeta appena scoperto che sarebbe nato appena dieci milioni di anni fa. L’attendibilità dei dati riportati dai ricercatori induce a rivedere numerose teorie sull’origine e la formazione dei pianeti, processo che potrebbe avvenire con molta più rapidità di quanto non fosse stato immaginato in precedenza. Cautela e prudenza sono però d’obbligo: secondo alcuni detrattori, il corpo celeste identificato dai ricercatori di Heidelberg potrebbe non essere un pianeta, ma una particolare stella altamente massiva.
Ulteriori ricerche potranno fugare gli ultimi dubbi sull’effettiva origine e natura del corpo celeste identificato. Se la recente scoperta si rivelasse un pianeta a tutti gli effetti, gli astronomi avrebbero a disposizione un ottimo “laboratorio” siderale per testare le teorie elaborate negli ultimi anni sulla formazione dei pianeti. Nessuna risposta definitiva, probabilmente, ma molti nuovi elementi su cui rivedere e affinare gli apparati teorici finora elaborati per comprendere uno dei più grandi enigmi del Cosmo. [Fonte principale: Nature]