Il Mondo senza di noi

Pianetazzurro Additato come il primo responsabile dei profondi cambiamenti climatici che iniziano a verificarsi nel nostro Pianeta, il genere umano non gode di moltissima stima nella biosfera. Ma cosa accadrebbe se di colpo gli oltre sei miliardi di esseri umani che popolano la Terra scomparissero improvvisamente? Come reagirebbe il Pianeta Azzurro, e cosa resterebbe a testimoniare le nostre esistenze?
Il pluripremiato giornalista americano Alan Weisman ha cercato di rispondere a queste domande, compiendo una piccola rivoluzione copernicana nello studio dei cambiamenti planetari: capire cosa ne sarebbe della Terra se di colpo noi tutti smettessimo di aggredirne le risorse. La sua approfondita e documentata ricerca è confluita in The World Without Us (Il Mondo senza di noi), libro fresco di pubblicazione negli States, in cui Weisman ipotizza in una metodica linea del tempo, l’evoluzione della Terra senza il genere umano.
Ecco la sua corsa nel tempo dall’oggi a un futuro di cinque miliardi di anni.

2 giorni dalla scomparsa del genere umano
Primo effetto, banale ma non così scontato, la metropolitana di New York sarebbe invasa dall’Oceano a causa del mancato pompaggio delle acque.

7 giorni
A causa del mancato rifornimento di carburante, la maggior parte dei generatori di emergenza delle centrali nucleari si arresterebbe, causando la fusione del nocciolo nei reattori.

1 anno
In tutto il mondo un miliardo di uccelli, uccisi ogni anno, sopravvivrebbe grazie al mancato funzionamento delle luci nei grattacieli, dei ripetitori, delle pale per l’energia eolica e dei cavi dell’alta tensione.
Molte specie animali inizierebbero a ripopolare i siti ove si erano verificate le esplosioni delle centrali nucleari.

3 anni
La mancata manutenzione delle tubature del gas porterebbe a violente esplosioni nelle città, con considerevoli conseguenze sulla stabilità degli edifici. Nelle zone climatiche più fredde, l’acqua congelerebbe dilaniando le tubature che la contenevano. Non potendo contare su caldi rifugi in cui passare l’inverno, persino gli scarafaggi sarebbero costretti a traslocare…

20 anni
Abbandonato alle forze della Natura, il canale di Panama scomparirebbe completamente, riunificando dopo decenni le due Americhe. Intanto, nelle metropoli devastate per anni da incendi, inondazioni ed esplosioni, la vegetazione inizierebbe ad invadere e colonizzare ciò che l’uomo aveva creato.

Un secolo
Il mancato commercio di avorio consentirebbe all’intera popolazione di elefanti del globo di aumentare di almeno 20 volte.
Le specie di piccoli predatori come volpi, donnole, orsetti lavatori e tassi verrebbero sterminate dai discendenti di animali molto combattivi allevati fino a un secolo prima dall’uomo: i gatti domestici.

Acceleriamo e compiamo un balzo di…

Cinque millenni
Tutte le infrastrutture create dall’uomo sarebbero ormai completamente distrutte, compresi i ponti e gli edifici in acciaio più resistenti. Tra i pochi reperti della nostra civiltà l’unico in grado di sopravvivere potrebbe essere il Tunnel sotto la Manica.

100.000 anni
I livelli di anidride carbonica si riporterebbero sui valori esistenti prima della comparsa dell’Uomo sul pianeta.

10 milioni di anni
Qualcosa a testimonianza della nostra esistenza sopravvivrebbe ancora: alcune parti dei monumenti in bronzo che oggi ornano le nostre città.

Tra i 4 e i 5 miliardi di anni
La Terra inizierebbe a soffrire la progressiva espansione della stella che un tempo le aveva dato la vita: il Sole. Intorno ai 5 miliardi di anni per il nostro Pianeta sarebbe la fine, completamente bruciato e inglobato dall’incredibile energia sprigionata dal Sole, alle prese con le sue ultime drammatiche fasi di vita.

Secondo gli scienziati consultati da Weisman una sola cosa creata dall’uomo potrebbe sopravvivere a tutto questo: le onde radio. Quotidianamente emesse per le nostre comunicazioni, le onde radio continuano per miliardi di anni luce il loro cammino verso l’ignoto, portando con sé la testimonianza della nostra esistenza.
Chissà, magari quando la Terra sarà ormai un ricordo, qualcuno lassù capterà un semplice messaggio: “13 ottobre 2007, continua l’allarme per il surriscaldamento globale. Occorre agire subito…”

[pubblicato per la prima volta da me su CattivaMaestra]

Un nuovo pianeta Terra

“Potremmo essere a un passo dalla scoperta di un nuovo pianeta del tutto simile alla Terra.” È l’incredibile conclusione di uno studio da poco pubblicato sulla prestigiosa rivista scientifica Science.

terra1.jpgIn questi anni i “cacciatori” stellari hanno analizzato la conformazione e le proprietà di oltre 200 pianeti esterni al nostro sistema solare, ottenendo però scarsi risultati. La maggior parte dei pianeti scoperti sono generalmente di grandi dimensioni, paragonabili a quelle di Giove, e caratterizzati da climi completamente ostili alla vita.
Grazie all’introduzione di strumentazioni più sensibili e innovativi metodi di ricerca, sarà ora possibile analizzare con maggior precisione anche pianeti più piccoli con una conformazione del tutto simile a quella terrestre.

Confrontando le metodologie di ricerca finora utilizzate con le nuove strumentazioni, molto più raffinate ed efficaci, un gruppo di astronomi appartenenti ai più importanti centri di astrofisica del mondo, tra cui la NASA e Harvard, ha evidenziato come il progresso tecnologico consenta ormai la ricerca di pianeti rocciosi simili al nostro anche nei numerosi sistemi solari scoperti negli ultimi anni.

Orbite dei pianeti del Sistema solare (distanze non in scala)Lo spettro luminoso emesso da una stella viene influenzato dall’orbita del pianeta che le gira intorno. Analizzando le differenze cicliche nell’emissione di luce di una stella, gli astrofisici riescono a individuare la presenza di un pianeta e a calcolarne le principali proprietà come massa e principali elementi costitutivi.
Mentre un tempo le strumentazioni utilizzate per individuare questi “sbalzi di luce” consentivano di identificare solamente pianeti molto più grandi della Terra, oggi gli astronomi hanno a disposizione rilevatori molto più sensibili, in grado di riconoscere la presenza di pianeti simili al nostro.
“Grazie a queste nuove tecnologie la scoperta di una nuova Terra potrebbe avvenire anche tra cinque minuti…” ha dichiarato Dave Latham, professore all’Harvard-Smithsonian Centre of Astrphysics e co-autore della ricerca pubblicata su Science.

Acqua e una corretta distanza da una stella sono le prime condizioni perché si possano sviluppare forme di vita su un pianeta. Un’eccessiva lontananza dal calore di un astro causerebbe perenni glaciazioni, un’eccessiva vicinanza la rapida evaporazione di tutte le riserve idriche.
Secondo i ricercatori, la possibilità di identificare pianeti con una massa paragonabile a quella terrestre potrà dare un contributo fondamentale per la ricerca di zone “abitabili” in cui sia possibile la vita.
La scoperta potrebbe davvero essere dietro l’angolo, ma per traslocare c’è ancora tempo…

Cocktail oceanico

“Perché non mischiamo le acque degli oceani per raffreddare il Pianeta?”
Questa la singolare proposta espressa da James Lovelock e Chris Rapley in una lettera aperta alla prestigiosa rivista scientifica Nature.

Schema del ciclo di emissione e assorbimento di CO2 degli oceani [photo credit: Planktos.com]Secondo Lovelock, passato alla cronaca per la sua controversa teoria sulla capacità della Terra di “curarsi” da sola, e il curatore del London Science Museum Rapley, si potrebbero utilizzare delle imponenti tubature verticali per mescolare le acque ricche di nutrienti vegetali dei fondali marini con le acque di superficie, meno dense e povere di vegetazione. Ciò comporterebbe un maggior consumo di anidride carbonica (CO2) grazie alla fotosintesi delle alghe, con un conseguente abbattimento della concentrazione di gas serra nell’atmosfera.
Nella loro lettera aperta pubblicata su Nature, i due autori ammettono che quella del “cocktail oceanico” sia ancora una semplice idea, perfetta nella teoria, ma difficile da applicare nella pratica. Lovelock e Rapley sono però convinti che solamente utilizzando le enormi potenzialità naturali ed energetiche del Pianeta sarà possibile arrestare il surriscaldamento globale.

Sommità di un “pozzo di pompaggio oceanico” [photo credit: Atmocean]Quella di mescolare le acque degli oceani può apparire un’idea balzana e irrealizzabile, eppure un’azienda di Santa Fe (New Mexico – USA) sta cercando già da alcuni mesi di creare un sistema per il pompaggio verticale dell’acqua oceanica.
Secondo Phil Kithil, amministratore delegato della Atmocean, un utilizzo intensivo dei sistemi di pompaggio potrebbe raddoppiare la capacità degli oceani di sottrarre anidride carbonica dall’atmosfera. La sua azienda ha già sviluppato un particolare tipo di tubi galleggianti larghi tre metri e lunghi 300m in grado di svolgere perfettamente il compito suggerito da Lovelock e Rapley.

L’idea di rendere più fertile gli oceani per aumentare la loro capacità di assorbimento dell’anidride carbonica non è una novità. Il biologo ed oceanografo David Karl (University of Hawaii, USA) si dedica da molti anni allo studio delle alghe e dei loro nutrienti coinvolti nei cicli di emissione e assorbimento della CO2.
Interessato a misurare l’effettiva capacità delle acque oceaniche di “ripulire l’aria”, il prossimo anno Karl condurrà un esperimento su larga scala utilizzando le strumentazioni messe a disposizione dalla Atmocean. Raccolti i dati, Karl cercherà poi di calcolare il bilancio finale del processo comparando la quantità di anidride carbonica riportata in superficie dalle profondità oceaniche con quella effettivamente assorbita dalle alghe.

onda.jpgAlcuni scienziati temono infatti che il bilancio finale del processo proposto da Lovelock e Rapley possa essere negativo.
Secondo i detrattori del “cocktail oceanico”, le sostanze presenti nelle profondità oceaniche contengono ingenti quantità di anidride carbonica che, una volta portate in superficie a una pressione molto più bassa, potrebbe liberarsi rapidamente nell’atmosfera come avviene con le bollicine in un bicchiere d’acqua gassata.
Inoltre, per estrarre l’acqua dalle profondità oceaniche sarebbero necessarie ingenti quantità di energia che, allo stato, non potrebbero essere ottenute da fonti rinnovabili e a basso impatto (anche se la Atmocean afferma che per il suo sistema sia sufficiente l’energia fornita dai moti ondosi).
Nonostante le numerose stroncature di questa teoria, David Karl prosegue con pionieristico ottimismo le sue ricerche: “È un progetto magnifico, anche se so che potrebbero esserci forti difficoltà per tramutare la teoria nella pratica…”

Colla al coleottero

Coleottero in scalata.Dopo numerosi anni di studio, un team di ricercatori tedeschi è riuscito a creare un adesivo di nuova generazione ispirato al sofisticato funzionamento delle zampette di alcune specie di coleotteri. Per aderire meglio alle superfici, questi insetti sono stati dotati da Madre Natura di zampe caratterizzate da microscopiche ventose in grado di interagire a livello atomico con il materiale cui si trovano a contatto.
Visto al microscopio elettronico, questo nuovo tipo di materiale – ricavato da un polimero (una macromolecola formata da numerose molecole più piccole) simile a quello comunemente utilizzato per i calchi dentali – ricorda un piccolo campo di funghi, dal cappello di meno di 50 micrometri (un micrometro è pari a un milionesimo di metro) di diametro.

Questo particolare polimero si comporta come una efficientissima ventosa, in grado di sfruttare l’interazione elettromagnetica per aderire saldamente a una superficie.
Incredibilmente, l’acqua è l’elemento in cui questa nuova macromolecola dà il meglio di sé. Il team di ricercatori tedeschi ha registrato un aumento del portentoso “effetto ventosa” pari al 25% dell’intera capacità di adesione del nuovo materiale.
Ottenuto senza l’utilizzo di alcun solvente chimico, questo nuovo collante potrà essere impiegato in ambiente medico scongiurando l’insorgere di fastidiose controindicazioni, così come nei cantieri navali per la sua grande resistenza all’acqua e nell’industria tessile per una nuova generazione di abiti senza cuciture.

Non male, se pensiamo che il punto di partenza era un piccolo coleottero…

[tags]coleotteri, colla, collante, polimeri, scienza[/tags]

[fonte Science] 

Calotta artica in estinzione

Entro il 2050 la calotta artica si restringerà a una velocità doppia rispetto all’attuale scioglimento dei ghiacci. Questo lo shockante risultato di una recente ricerca del National Oceanic and Atmospheric Administration (NOAA) che, partendo dai dati raccolti negli ultimi decenni, ha elaborato un complesso modello matematico per monitorare l’andamento dei ghiacci nell’Artico. Il repentino scioglimento della calotta artica potrebbe aprire, per la prima volta dopo millenni, una nuova strada tra l’Europa e l’Asia.

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Le alte temperature stanno trasformando buona parte dei ghiacci (azzurro) in acqua marina (nero). Photo credit: Jacques DescloitresNASA GSFC

La calotta artica è una delle zone più mutevoli del nostro Pianeta. Le aree glaciali dell’emisfero boreale (la porzione del globo al di sopra dell’equatore) si allargano e restringono ciclicamente mantenendo uno stretto rapporto con i cambiamenti climatici stagionali. Secondo la ricerca del NOAA, l’aumento medio delle temperature sta iniziando a mutare drasticamente questo “effetto fisarmonica” del tutto naturale. Nella loro fase di restringimento, corrispondente alla tarda estate, i ghiacciai dell’Artico mostrano gli evidenti segni di uno scioglimento senza precedenti.

La progressiva diminuzione della calotta artica potrebbe innescare un pericoloso circolo vizioso per l’intero Pianeta. I ghiacci dell’artico, infatti, hanno la straordinaria capacità di riflettere buona parte dei raggi solari che li colpiscono, svolgendo un’importante funzione termo-regolatrice. In assenza di questo enorme specchio, il calore dei raggi solari non verrebbe più riflesso, ma assorbito dalla massa oceanica che vedrebbe aumentare considerevolmente la propria temperatura. Leggi tutto “Calotta artica in estinzione”

Tecnologie promettenti?

Atom_2Secondo il MIT (Massachussets Institute of Technology) le dieci tecnologie più promettenti del 2007 sono destinate a fare storia e, nel bene e nel male, a cambiare le nostre vite. Vediamo quali sono.

  • Video su reti peer-to-peer
    La possibilità di diffondere contenuti multimediali su network peer-to-peer (P2P) senza la mediazione di un server centrale, sarà secondo il MIT l’unica possibilità per il Web di sopravvivere al crescente sovraccarico di dati causato dal proliferare dei video online. In questa direzione muovono le prime sperimentazioni di Joost, la prima grande televisione P2P di Internet. Il progetto è ancora in fase di beta testing, ma i risultati positivi ottenuti fanno sperare in una rapida apertura allo sterminato pubblico degli internauti.
  • Fisica quantistica ed energia solare
    Secondo il ricercatore Arthur Nozik, i progressi nello studio della fisica quantistica raggiunti nel 2007 consentiranno, negli anni futuri, di mettere a punto pannelli solari più efficienti. Mentre una cellula fotovoltaica al silicio colpita da un fotone di luce (un raggio di sole) rilascia un solo elettrone, una medesima cellula fotovoltaica quantistica è in grado di produrre due o più elettroni. Ci vorranno anni perché questo tipo di tecnologia possa essere completamente sviluppata, ma i ricercatori sono ottimisti. Il sole potrebbe presto diventare la nostra fonte primaria per la produzione di energia elettrica. Pulita e conveniente. Leggi tutto “Tecnologie promettenti?”