Denti a sciabola, ma morso da gattino

Il cranio di uno SmilodonteNell’immaginario collettivo, i macairodonti (erroneamente definiti tigri dai denti a sciabola) sono sempre stati reputati sanguinari predatori alla stregua del famelico Tyrannosaurus rex, delle vere e proprie macchine di morte. Dotati di una prominente corporatura gli esemplari di Smilodon (il genere più noto di macairodonte) possedevano due possenti canini affilati come coltelli.

Per oltre 150 anni, scienziati e paleontologi hanno discusso sulle possibili modalità di caccia attuate da questo predatore, cercando di capire in che misura potessero influire le sue due affilate zanne.
Un recente studio condotto in Australia, e pubblicato sulla rivista Proceedings of the National Academy of Science, potrebbe finalmente fornire una risposta definitiva all’annosa questione… creando non pochi danni alla mitica reputazione di questi incredibili felini.

Il modello mostra le stretta mascella di uno Smilodonte [photo credit: Dr Stephen Wroe]I ricercatori dell’University of New South Wales e dell’University of Newcastle hanno utilizzato una particolare tecnica computerizzata (Finite Element Analysis – FEA) per testare l’effettiva forza del morso dello Smilodon.
Generalmente utilizzata per lo studio di treni, aeroplani e automobili, la FEA ha permesso ai ricercatori di calcolare con precisione quali forze fosse in grado di sopportare una struttura cranica come quella dello Smilodon, giungendo a risultati a dir poco sorprendenti.

smilodon.jpgIl team di ricerca è giunto alla conclusione che il morso dello Smilodon fosse relativamente debole, con una forza di appena un terzo rispetto alla potenza delle fauci di un comune leone dei giorni nostri. “Nonostante la sua reputazione, uno smilodonte mordeva applicando una forza comparabile a quella utilizzata da un comune gatto domestico” ha concluso impietosamente il paleontologo Steve Wroe, che ha collaborato alla ricerca australiana.
La limitata potenza delle sue fauci influenzavano sensibilmente le modalità di predazione dello Smilodon. Ottimo “lottatore”, dotato di una corporatura solida e possente, lo smilodonte atterrava le proprie prede a terra prima di morderle in punti vitali come la gola, causando una rapida morte per emorragia nella sua vittima.

Oltre alla singolare scoperta, la ricerca condotta dal team australiano ha dimostrato come procedure di analisi simili alla FEA possano essere utilizzate non solo nel campo delle costruzioni e dell’ingegneria, ma anche nella medicina e nella ricerca.

Il DNA dei Mammut

Mammut siberianoUn gruppo di genetisti è riuscito nella complessa impresa di mappare il DNA di dieci mammut siberiani, utilizzando semplicemente minuscoli campioni della loro pelliccia conservata nella tundra russa.
Risalente a circa 50.000 anni fa, il DNA dei mammut ha consentito la creazione del più antico genoma mai mappato dall’uomo.

Questo straordinario risultato dimostra l’inaspettata utilità del manto degli animali per mappare le sequenze di DNA. Nel 2005 con un analogo studio era stato possibile ricavare il genoma da un solo esemplare di Mammuthus primigenius. La recente mappatura di ben dieci mammut ha di colpo raddoppiato le informazioni a disposizione dei genetisti su queste creature che si estinsero migliaia di anni fa.

Alcuni peli del manto di un mammut siberianoGuidati da Tom Gilbert dell’University of Copenhagen – Centre for Ancient Genetics (Danimarca), i ricercatori hanno analizzato i campioni di pelliccia di dieci esemplari di mammut siberiani, ottenendo sequenze complete e perfettamente conservate del codice genetico di questi mastodonti.
Oltre alle grandi abilità tecniche, occorre ammettere che il team di ricerca guidato da Gilbert ha avuto molta fortuna. Non sempre la pelliccia è conservata così bene da poter essere utilizzata per la mappatura del DNA. Le condizioni estreme della tundra siberiana hanno rallentato considerevolmente il degradamento del patrimonio genetico dei mammut, grazie al clima freddo e all’aria molto secca.

Pubblicata sulla rivista scientifica Science2, la ricerca ha dimostrato come solo lo 0,24% del DNA presente nella pelliccia di mammut sia stato degradato dal tempo.
Secondo Webb Miller, un genetista che ha partecipato alla ricerca, la mappatura del genoma dei dieci mammut è un evento a dir poco straordinario: “Secondo i modelli statistici non avremmo dovuto trovare alcuna traccia di DNA. Si era da sempre pensato che dopo 50.000 anni, magari passati in condizioni estreme, il patrimonio genetico diventasse irrecuperabile. Ma ci sbagliavamo.”
La scoperta del team guidato da Tom Gilbert apre nuove e affascinanti prospettive per uno studio più accurato e completo dell’evoluzione di intere specie animali.

Coleotteri giganti grazie all’Ossigeno

fogliacoleottero.jpgSecondo un gruppo di entomologi dell’Arizona State University (Tempe, USA), i coleotteri che popolano le nostre campagne potrebbero avere dimensioni spaventose se la concentrazione di ossigeno sul Pianeta ritornasse ai livelli di milioni di anni fa.
Lo studio dei ricercatori statunitensi ha dimostrato come molti insetti fossero estremamente più grandi durante il Paleozoico, grazie alla maggiore concentrazione di ossigeno nell’aria.

Rappresentazione schematica dell’apparato respiratorio di un insettoLa maggior parte degli insetti possiede un sistema respiratorio molto differente dal nostro, che non si basa su naso e polmoni per assumere ossigeno, ma su particolari forellini chiamati “spiracoli” attraverso i quali ogni insetto inspira ossigeno ed espira anidride carbonica.
Questi fori, disseminati in diversi punti del corpo, conducono a numerosi “tubicini” centrali (l’apparato tracheale) che fanno circolare in tutto l’organismo dell’insetto l’aria. Più gli insetti crescono, più questi “tubicini” si allungano e si allargano per mantenere costante il livello di ossigeno in tutto il corpo.
Chiudendo gli spiracoli, gli insetti possono gestire e regolare la quantità di ossigeno che circola nel loro organismo. Alcune specie sono in grado di sopravvivere per più di 24h con la quantità di ossigeno immagazzinata, senza dover mai aprire gli spiracoli.

Radiografia di un coleottero, nell’addome si intravede il complesso apparato trachealePartendo da queste conoscenze, il team di entomologi statunitensi ha utilizzato i raggi-X per comparare le dimensioni degli apparati tracheali di quattro specie di coleotteri grandi tra 3mm e 3,5cm.
Si è cosi scoperto che l’apparato tracheale del coleottero più grande (un esemplare di Eleodes obscura) occupa – in proporzione – molto più spazio nell’addome dell’insetto rispetto al “collega” lungo appena 3mm. Questo perché negli individui più sviluppati l’apparato respiratorio non solo si allunga per raggiungere gli arti, ma diventa anche più ricco di terminazioni e “tubicini” per gestire efficacemente l’alta richiesta di ossigeno necessaria per mantenere vivo e attivo l’insetto.
La crescita sproporzionata della dimensione dell’apparato tracheale raggiunge una fase critica nel punto di giunzione tra le zampette e l’addome dei coleotteri. Per ragioni anatomiche, in questa particolare area l’articolazione non può superare una certa misura, limitando di conseguenza le possibilità di crescita dei coleotteri.
Secondo i calcoli effettuati dai ricercatori, la crescita fuori scala dell’apparato respiratorio impedisce ai coleotteri di svilupparsi oltre i 16 centimetri di lunghezza. La conclusione degli entomologi coincide “sul campo” con le misure del coleottero più grande fino ad ora conosciuto, il Titanus giganteus, che da adulto raggiunge la ragguardevole lunghezza di 15-17 cm.

Un esemplare di Titanus giganteus, il coleottero più grande finora conosciutoMa se la strettoia nell’articolazione delle zampe impedisce ai coleotteri di crescere oltre una certa misura, com’è possibile che durante il Paleozoico questi insetti raggiungessero mostruose dimensioni?
Per i ricercatori dell’Arizona State University la risposta è molto semplice. Cinquecento milioni di anni fa l’alta concentrazione di ossigeno nell’aria (il 66% in più di quanto non sia oggi) consentiva ai coleotteri di far circolare nel loro organismo grandi quantità di O2 con un apparato tracheale più piccolo e meno sviluppato.
Ciò dimostra, almeno indirettamente, che alcune specie di coleotteri durante il Paleozoico avessero trovato le condizioni ideali per svilupparsi e crescere superando le dimensioni dei molti vertebrati di piccola taglia che popolavano il Pianeta.

[fonti Science e Proceedings of the National Academy of Sciences]

Un dinosauro in più

Dopo 24 anni di attente ricerche e accurati raffronti, lo scheletro di dinosauro ritrovato vicino Choteau (Montana, USA) è stato – a sorpresa – classificato come una nuova specie “intermedia” tra i dinosauri Nord Americani e quelli Asiatici.
Vissuto 80 milioni di anni fa e pesante poco meno di 20kg, il dinosauro scoperto a Choteau si muoveva sfruttando unicamente le zampe posteriori ed era alto circa un metro.

La notizia è stata pubblicata sull’ultimo numero del Journal of Vertebrate Paleontology da Jack Horner, paleontologo e curatore del Montana State University’s Museum of the Rockies.
Fu proprio Horner a scoprire i resti fossili di Choteau nel 1983 imprigionati in alcuni sedimenti di roccia molto dura e per questo magnificamente conservanti. Ricostruita la fisionomia del dinosauro, Horner impiegò poi una ventina di anni prima di trovare un esperto in grado di identificare il suo ritrovamento.
“Immaginavo potesse trattarsi di una nuova specie di dinosauro ancora da catalogare, ma avevo bisogno di qualcuno estremamente esperto in grado di confermare la mia tesi” ha dichiarato Horner ai giornalisti.

Dopo molti anni, per la prima volta il fossile di Choteau verrà ora esposto al Museum of the Rockies. Lo scheletro del dinosauro è caratterizzato da una singolare colorazione rossastra, dovuta al lungo processo di fossilizzazione che sostituì parte delle ossa con il diaspro, una roccia sedimentaria di composizione silicea di colore rosso.
Questa nuova specie di dinosauro è stata chiamata Cerasinops Hodgkissi. Cera, per gli amici, è l’unico esemplare conosciuto con caratteristiche comuni ai due ceppi di dinosauri localizzati nell’America del Nord e in Asia e potrebbe fornire molte informazioni utili ai paleontologi per mappare gli stadi evolutivi di numerose specie di dinosauro.

Velociraptor, un temibile tacchino?

velociraptor.jpgNel film Jurassic Park di Steven Spielberg, ispirato all’omonimo romanzo “techno-thriller” di Michael Crichton, i protagonisti lottano per la sopravvivenza contro alcune specie di dinosauro, riportate in vita grazie alla moderna genetica. Tra i “lucertoloni” carnivori presenti nel parco, i famelici Velociraptor si dimostrano i nemici più intelligenti e difficili da sconfiggere.
A distanza di quasi 15 anni dall’uscita del film, una recente ricerca – pubblicata oggi sulla rivista scientifica Science – ridimensiona clamorosamente l’ipotizzata intelligenza e la pericolosità dei Velociraptor.

I “punti di attacco” delle piume sulla ossa fossili [credit e ©: Science]Analizzando meticolosamente i resti fossili dei piccoli arti superiori di alcuni Velociraptor, ritrovati in Mongolia nel 1998, il paleontologo Mark Norell (American Museum of Natural History) ha identificato i tipici “punti di attacco” su cui si innesta il piumaggio dei volatili. Questa sorprendente scoperta conferma le numerose teorie che, ormai da alcuni anni, ipotizzano una maggiore vicinanza nella catena evolutiva tra dinosauri e volatili.
Vissuti circa 70 milioni di anni fa, i Velociraptor erano alti poco meno di un metro (molto più piccoli dei loro omologhi cinematografici) e dotati di particolari artigli del tutto simili a quelli dei moderni rapaci, di cui erano dunque gli antenati.

Rappresentazione schematica degli arti superiori di un Velociraptor“Approfondendo lo studio di questi incredibili animali ormai estinti, diventa sempre più evidente quanto siano esigue le differenze tra gli uccelli che oggi conosciamo e molte specie di dinosauro vissute milioni di anni fa, come i Velociraptor” ha dichiarato il prof. Norell ai giornalisti. “Uccelli e dinosauri hanno in comune la conformazione dello sterno, le ossa cave al loro interno, le modalità di preparazione di un nido per la prole e – soprattutto – le piume. Se animali come i Velociraptor fossero ancora esistenti, ci apparirebbero semplicemente come una curiosa specie di volatili. Niente di più.”

Nonostante avesse le piume, il Velociraptor non poteva naturalmente spiccare il volo. Si ipotizza che il piumaggio svolgesse una particolare funzione termoregolatrice per mantenere costante la temperatura corporea durante l’intera giornata. Secondo il prof. Norell, le piume erano anche responsabili nel mantenimento dell’equilibrio e del corretto assetto durante le rapide corse di questi piccoli dinosauri.
Se lo sapesse Spielberg…