Il surriscaldamento globale distruggerà la catena alimentare?

La diminuzione dei livelli di un particolare gas che contribuisce a contrastare il surriscaldamento globale potrebbe causare un drastico aumento delle temperature del Pianeta. Non ha dubbi in proposito il prof. Michael Steinke della University of East Anglia (UK), secondo il quale i cambiamenti climatici potrebbero portare presto a uno sconvolgimento della catena alimentare.

I microbi presenti negli oceani producono un particolare gas, il dimetilsulfide (DMS), un componente alla base della formazione degli strati nuvolosi nell’atmosfera al di sopra dei mari, in grado di riflettere in parte i raggi provenienti dal Sole. Secondo gli studi di Steinke, il plancton regola la produzione di DMS a seconda dell’esposizione solare. Più calda è la temperatura dei microrganismi che lo compongono, più alta è la probabilità che gli stessi emettano grandi quantità di DMS per produrre nubi in grado di raffreddarli, frapponendosi come schermo tra il Sole e la superficie degli oceani. «Questo particolare fenomeno che abbiamo analizzato, è destinato a cambiare radicalmente nei prossimi anni» ha dichiarato in una recente conferenza il prof. Steinke.

Da molti anni i ricercatori cercano di carpire quanti più segreti possibile al plancton e alla loro costante produzione di DMS. Recenti studi hanno dimostrato che le tracce di dimetilsulfide sono utilizzate dai grandi cetacei e dagli uccelli migratori per trovare il cibo e regolare il proprio orientamento durante le traversate degli oceani. «I gas DMS rivestono un ruolo fondamentale nella catena alimentare marina. Se i livelli di questi aerosol dovessero cambiare, molti animali marini rischierebbero di scomparire dal nostro Pianeta, perché incapaci di procacciarsi il cibo. E tutto questo potrebbe riflettersi su un’altra catena alimentare: la nostra».

terra1.jpgIl surriscaldamento globale potrebbe seriamente compromettere questo gigantesco “compressore” che produce ogni giorni centinaia di migliaia di tonnellate di DMS. Il progressivo innalzamento delle temperature potrebbe rendere il plancton incapace di raffreddarsi, distruggendo così il meccanismo perfetto che lo porta a produrre DMS per mantenere la propria temperatura ottimale. Ora il team di ricercatori guidato da Steinke lavorerà all’elaborazione di nuovi modelli matematici per cercare di prevedere, con un certo grado di approssimazione, le possibili conseguenze causate da una progressiva carenza di DMS su scala planetaria. [fonte principale: www.socgenmicrobiol.org.uk]

Un depuratore contro le contaminazioni ospedaliere

Le acque di scarico degli ospedali sono contaminate con farmaci e sostanze chimiche potenzialmente pericolose per l’ambiente. Mentre i rifiuti solidi delle strutture ospedaliere vengono smaltiti con numerose precauzioni, si fa ancora troppo poco per la purificazione delle acque di scarico. Un nuovo impianto, appositamente progettato per risolvere alla radice il problema, potrebbe essere la giusta soluzione per evitare all’ambiente la somministrazione di farmaci non desiderati.

Antibiotici, citostatici, sostanze psicotrope, antinfiammatori. Sono migliaia i farmaci somministrati ogni giorno ai pazienti degli ospedali. Buona parte di queste sostanze viene espulsa naturalmente dal loro organismo per raggiungere gli impianti fognari. Le tracce lasciate da questi medicinali non sono biodegradabili e resistono quindi ai tradizionali metodi di purificazione delle fogne. I farmaci raggiungono così le acque dei fiumi e, pressoché intatti, entrano nel ciclo naturale dell’acqua contaminando l’ambiente. Lo studio di questo fenomeno è relativamente recente, si hanno quindi ancora pochi dati su cui valutare l’impatto delle acque contaminate degli ospedali. Secondo molti esperti, però, il costante depauperamento delle risorse ittiche, la diminuzione dell’effetto degli antibiotici e la ridotta fertilità negli uomini potrebbero essere causati dai farmaci non correttamente smaltiti e ancora presenti nel ciclo dell’acqua.

Per cercare di risolvere il problema, il Duisburg Institute of Energy and Environmental Technology (IUTA), in collaborazione con il Fraunhofer Institute for Environmental, Safety and Energy Technology (UMSICHT), ha sviluppato un nuovo metodo per purificare le acque degli ospedali direttamente alla fonte, prima che le stesse siano immesse negli impianti fognari. Molto versatile e semplice da installare, il dispositivo potrà essere utilizzato in aree specifiche degli ospedali, come i reparti di oncologia che a causa dei farmaci chemioterapici sono tra i reparti più inquinanti delle strutture ospedaliere. Il trattamento messo a punto da IUTA e UMSICHT si è rivelato estremamente efficace. Nei test di laboratorio, il purificatore ha ripulito al 99% le acque di scarico, eliminando anche i farmaci più rersistenti come gli antibiotici, i citostatici e i medicinali per il trattamento del dolore.

Il principio di funzionamento del dispositivo di purificazione è molto semplice, ma estremamente efficace. Le parti solide vengono depositate in una tanica di sedimentazione, mentre le acque contaminate passano in una camera di reazione dove raggi ultravioletti e perossido di idrogeno producono i radicali (dei “ladri” di elettroni) in grado di disgregare e disattivare i principi attivi dei farmaci.
Terminata la fase di sperimentazione, un incentivo consentirà alle strutture ospedaliere della Germania di installare il dispositivo di depurazione nei propri sistemi idrici. Considerati i promettenti risultati ottenuti, con costi relativamente bassi, i depuratori potrebbero essere presto adottati in buona parte dell’Unione Europea. Una buona notizia per l’ambiente, e per i tanti pesci proverbialmente sani che abitano fiumi e mari.

L’Antartide a portata di mouse

Grazie a servizi come Google Maps non c’è ormai angolo del Pianeta abitato che non sia facilmente esplorabile e raggiungibile con pochi click del mouse. Partendo da questo presupposto, un consorzio di agenzie e società scientifiche, tra cui spiccano la NASA e British Antarctic Survey, ha recentemente messo a disposizione degli internauti un intero sito dedicato al continente più gelido di tutto il nostro pianeta: l’Antartide.

Attraverso il mosaico di migliaia di fotografie satellitari ad altissima definizione, scattate da Landast 7, è possibile navigare tra i giganteschi crepacci di ghiaccio e tuffarsi là dove i ghiacci si trasformano nelle acque degli Oceani. Con i suoi 100 miliardi di pixel, il Landast Image Mosaic of Antarctica è dieci volte più dettagliato rispetto alle immagini satellitari finora raccolte sorvolando le distese ghiacciate dell’Antartide.
Grazie a questo gigantesco mosaico, i ricercatori potranno seguire in maniera molto più accurata l’evoluzione dei ghiacci e monitorarne movimenti e discioglimento. Per i profani si apre, invece, un viaggio mozzafiato verso i confini del Mondo.

 

Surriscaldamento globale: è strage di orsi polari

Il prematuro scioglimento dei ghiacci potrebbe causare la scomparsa degli orsi polari da molte aree del nostro Pianeta [credit: nytimes.com]Un censimento di orsi polari nella Hudson Bay in Canada ha confermato ciò che da tempo si temeva: il ritiro dei ghiacci sta causando la morte di numerosi orsi polari.
Secondo i biologi, gli orsi polari incontreranno sempre più difficoltà per sopravvivere alle estati costantemente più calde nell’Artico. Il minor tempo trascorso da questi animali sulle piattaforme di ghiaccio si traduce in una progressiva diminuzione della loro massa grassa, indispensabile per sopravvivere durante i lunghi inverni.

Confrontando i dati degli ultimi due decenni sulla popolazione di orsi bianchi lungo le coste dell’Hudson Bay, un gruppo di ricercatori canadesi e statunitensi ha registrato una progressiva riduzione di esemplari, sia tra i membri più anziani che tra quelli più giovani. «Le possibilità di sopravvivenza sono diminuite drasticamente per i cuccioli, così come per gli adulti e i membri più anziani delle colonie in proporzione al progressivo scioglimento dei ghiacci” ha dichiarato Ian Stirling, biologo del Canadian Wildlife Service e co-autore della ricerca. Secondo il ricercatore, ciò che sta accadendo nella Hudson Bay potrebbe essere il preludio a una vera e propria ecatombe nelle aree più a nord verso il Polo.

Nonostante il periodo del disgelo vari di anno in anno, il trend è ormai di un costante acceleramento dei tempi. Storicamente il ghiaccio ha da sempre ricoperto la Hudson Bay per circa otto mesi all’anno. Le ultime annate stanno portando la media ad abbassarsi di un mese, precisamente tre settimane in meno rispetto ad appena trenta anni fa.
Dal 1984 i ricercatori del Wildlife Service catalogano minuziosamente tutti gli esemplari di orso polare della Hudson Bay, dotando gli animali di una piccola targhetta e un tatuaggio. Questi segni aiutano i biologi a riconoscere i singoli individui, tracciare la loro vita e stimare quanti esemplari possano sopravvivere nel rigido inverno. In appena venti anni, la popolazione di orsi sì è ridotta di oltre il 20%.
I dati del progressivo depauperamento delle colonie di questi animali è stato quindi confrontato con i dati relativi al disgelo della Hudson Bay. Si è potuto così scoprire che gli esemplari di età compresa tra i 5 e i 19 anni paiono subire poco la prematura scomparsa dei ghiacci, mentre gli individui più piccoli e anziani muoiono con estrema facilità, a causa della fame e del freddo.

La scarsa nutrizione sta letteralmente conducendo alla morte decine e decine di esemplari ogni anno. In venti anni il peso medio di un orso polare adulto è diminuito del 15%: l’assenza di grasso espone questi animali alle micidiali temperature invernali della zona. Ora si teme per l’incolumità degli esemplari ancora in vita, secondo molti ricercatori il rischio di aver superato la soglia critica è ormai estremamente concreto: se così fosse il destino per gli orsi polari della Hudson Bay sarebbe drammaticamente segnato.

Chi ha il petrolio?

Ogni nazione in questa mappa è rappresentata in scala in proporzione alle quantità di petrolio possedute. I colori, invece, rappresentano l’uso medio dell’oro nero in ogni nazione. Ad esempio: gli Stati Uniti possiedono appena il 2% di tutte le scorte di petrolio ancora disponibili sul Pianeta, ma ne utilizzano ogni giorno 20 milioni di barili.

La maggiore riserva di oro nero si trova in Arabia Saudita, che detiene il 22,3% di tutte le scorte mondiali. Seguono l’Iran a quota 11,2% e l’Iraq a quota 9,7%. La distribuzione del petrolio sul nostro Pianeta è un ottimo elemento per analizzare, e giudicare, le scelte geopolitiche di coloro che ci governano.

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Mar Nero, di petrolio

Ci vorranno dieci anni perché possano rimarginarsi le profonde cicatrici lasciate dall’enorme chiazza di petrolio che ha devastato lo stretto di Kerch nel Mar Nero. Secondo gli specialisti del WWF, le duemila tonnellate riversate in mare avranno conseguenze incalcolabili anche per l’economia locale, basata principalmente sulla pesca.

Il danno ecologico apportato dal riversamento di petrolio in mare potrebbe distruggere definitivamente il delicatissimo ecosistema della zona, in cui vivono almeno undici specie di volatili a rischio, incluso il Pellicano della Dalmazia e una specie di gabbiano comune, nonché numerose specie di uccelli migratori che ogni anno svernano sulle coste dello stretto.
Grazie all’impegno del WWF e di altre associazioni ambientaliste, alcune centinaia di uccelli sono stati tratti in salvo e ripuliti dal colloso oro nero. Tuttavia, iniziative di questo tipo possono solo assicurare la sopravvivenza a un numero risicatissimo di esemplari, migliaia di uccelli sono quindi condannati a morte certa. Un gruppo di soccorso ha identificato e tratto in salvo una coppia di delfini che, ripuliti sulla costa, sono stati condotti in un’area distante dalla gigantesca chiazza di petrolio. Le loro speranze di vita sono comunque molto basse. L’ecosistema in quel tratto del Mar Nero è infatti gravemente compromesso. Ciò significa che numerose specie animali non potranno procacciarsi il cibo e saranno condannate a un’atroce morte di inedia, che fino ad ora ha già causato la scomparsa di oltre 30.000 esemplari.

«Sarà praticamente impossibile rimuovere completamente il danno causato della perdita di petrolio» ha dichiarato sconsolato Igor Chestin, responsabile per il WWF in Russia, «crediamo che per evitare disastri del genere in futuro, dovranno esserci drastici cambiamenti nelle politiche di controllo per il trasporto del petrolio via mare».
Il WWF e altre associazioni ambientaliste hanno firmato un documento, chiedendo esplicitamente alla Russia l’adozione di una serie di misure molto rigorose per il trasporto di petrolio via mare. La flotta di petroliere utilizzate dalla Russia comprende numerose imbarcazioni con tecnologie sorpassate e prive di triplo scafo. Mediamente ognuna di quelle petroliere arriva a trasportare 200.000 tonnellate di petrolio.

La speranza è che il terrificante incidente occorso nel Mar Nero sia una dura lezione per le politiche eccessivamente lassiste applicate dalla Russia. Ciò che rimane una certezza è, purtroppo, la distruzione di un ecosistema unico nel proprio genere, che difficilmente riuscirà a tornare al pieno del proprio fulgore.