Gaia respira

BreathingearthNel romanzo L’orlo della Fondazione, lo scrittore di fantascienza Isaac Asimov immagina l’esistenza di Gaia, un pianeta simile alla Terra caratterizzato da un ecosistema perfettamente in equilibrio. Ogni elemento che costituisce questo corpo celeste utopico ha una propria coscienza di sé: oceani, fauna, flora e tutti gli altri elementi naturali sono interconnessi tra loro in un continuo flusso telepatico.

Per creare Gaia, Asimov non fece altro che conferire un pizzico di personalità in più a un pianeta che conosceva molto bene, la Terra. Il complesso ecosistema terrestre non ha probabilmente una consapevolezza di sé, ma ha sicuramente la capacità di trasmettere all’umanità, in assoluto l’inquilino più irrequieto che ospita, il suo stato di continuo malessere. Per aiutarci ad ascoltare meglio la cronaca di quella che potrebbe essere la nostra rovina, è nato lo spazio web Breathing Earth.
Sul sito della “Terra che respira” è possibile osservare, in tempo reale e sulla base di approfonditi studi statistici, il lento declino verso l’entropia del nostro caro Pianeta. Puntando il mouse su uno degli Stati che costituiscono la cartina interattiva del sito, troviamo vecchie conferme e nuove scoperte. Mentre l’Italia dimostra il proprio deficit demografico, con una morte ogni 52.1 secondi a fronte di una nascita al minuto, l’India sbaraglia la concorrenza con una nascita ogni 1.3 secondi a fronte di una morte ogni 3.5 secondi!

I dati più interessanti per misurare il polso dell’ecosistema terrestre sono comunque forniti dalle emissioni di CO2 nell’aria. In Italia vengono mediamente emesse in atmosfera 1000 tonnellate di anidride carbonica ogni 1.2 minuti, in Germania la medesima quantità viene emessa in metà tempo: 39.2 secondi. Gli Stati Uniti polverizzano ogni record con l’emissione di 1000 tonnellate di CO2 ogni 5.4 secondi, la Cina ogni 9.2, ma il suo trend è in perenne crescita.

Dunque che fare? Dovremo andare raminghi per il cosmo alla ricerca di Gaia, il corpo celeste perfetto immaginato da Asimov, o saremo in grado di capire per tempo che il pianeta perfetto esiste già ed è quello in cui viviamo? Ma soprattutto, per quanto continuerà ad essere così “perfetto”?

Quando l’uomo cambiò il ciclo delle piogge

PioggiaUn gruppo internazionale di scienziati ha dimostrato, sulla base di dati empirici, come le attività umane abbiano dirette e concrete conseguenze sulle precipitazioni atmosferiche. Per giungere a questa terribile conclusione, i ricercatori hanno incrociato i dati relativi agli ultimi 80 anni di precipitazioni con un complesso modello matematico in grado di simulare i cambiamenti climatici sulla base di due parametri fondamentali legati all’attività umana: l’emissione di gas serra e di solfati. I dati così ottenuti sono stati poi “spalmati” sulle diverse latitudini del nostro pianeta, prestando particolare attenzione alle aree tradizionalmente più piovose.
Dopo aver elaborato e confrontato i dati di più di 90 simulazioni, i ricercatori sono giunti a questa sorprendente conclusione: le attività umane hanno sensibilmente alterato l’andamento delle precipitazioni atmosferiche in almeno tre fasce geografiche. A causa dell’uomo le piogge sono aumentate di due terzi nella fascia Canada – Stati Uniti – Europa e Russia a discapito della fascia Messico – Africa sahariana dove le precipitiazioni sono diminuite di un terzo. Nell’area che include Brasile – Sud Africa e Indonesia le precipitazioni sono aumentate quasi di un terzo rispetto alla normale quantità di piogge rilevate nei secoli scorsi.

I sorprendenti risultati di questa ricerca dimostrano ancora una volta la complessità dei cambiamenti climatici che negli ultimi decenni stanno interessando il nostro pianeta. Il modello elaborato dai ricercatori potrà fornire nuovi elementi per studiare il surriscaldamento globale, identificando con più precisione le diverse tipologie di gas serra responsabili dei cambiamenti climatici.
La ricerca ha brillantemente superato i controlli di rito per l’attendibilità scientifica ed è stata pubblicata sulla prestigiosa rivista Science. Prima ancora di essere data alle stampe, la ricerca condotta dal team del climatologo Francis Zwiers dell’Environment Canada di Toronto è stata aspramente criticata da alcuni ricercatori, sorpresi dalle eccessive responsabilità attribuite alle sole attività umane. Questa pioggia di obiezioni riapre dunque il dibattito nella comunità scientifica. Ma almeno questo genere di “precipitazioni” critiche fa bene alla scienza…

Un’alga contro il surriscaldamento globale

Bioreattori GreenfuelNon sarebbe bello poter inventare una “spugna” in grado di assorbire in poco tempo tonnellate di gas serra?
È ormai certo che la continua emissione nell’atmosfera di anidride carbonica, da parte delle attività umane, stia velocemente compromettendo gli equilibri termici e l’ecosistema del nostro Pianeta. Scienziati e ricercatori sono impegnati da anni nella difficile ricerca di soluzioni per risolvere concretamente il problema.

Una delle tecnologie che negli ultimi anni si è dimostrata più promettente prevede l’utilizzo di un particolare tipo di alga, in grado di assorbire considerevoli quantità di anidride carbonica e di restituire materiale adatto alla biocombustione. Investendo ingenti risorse per la ricerca, la Greenfuel, azienda leader nel settore del recupero energetico, ha raggiunto in queste ultime settimane sorprendenti risultati.
Il procedimento di riutilizzo della CO2 messo a punto dalla Greenfuel sfrutta tecnologie avanzatissime, ma è meno complesso di quanto si possa immaginare.
La centrale di recupero sorge affianco a un impianto industriale, la cui anidride carbonica prodotta viene incanalata dalle ciminiere di scarico per essere indirizzata, tramite un’enorme ventola, al bioreattore. Quest’ultimo è costituito da una serie di enormi cilindri [foto] in cui è ricreato l’ecosistema ideale per le alghe: acqua, calore dato dal sole e la CO2 aggiunta per iniezione. Parte dell’acqua in cui vivono le alghe è costantemente filtrata per aumentare la concentrazione delle alghe e ottimizzarne la crescita.

Da questo ingegnoso processo si ottengono due eccezionali risultati: l’emissione di anidride carbonica di un impianto industriale può essere abbattuta quasi al 90%, terminato il loro ciclo di vita e assorbimento di CO2 le alghe possono ancora essere utilizzate per diversi impieghi. I prodotti di scarto del processo, infatti, altro non sono che granuli essiccati di origine vegetale. Queste biomasse possono essere utilizzate per la produzione di biocombustibili, che potranno contribuire ad alimentare la fabbrica da cui il bioreattore ha tratto la CO2, oppure essere impiegate come combustibile per le automobili o il teleriscaldamento. Ma non è finita. Attraverso un ulteriore processo di essicamento, ciò che non può essere utilizzato per la produzione di biodiesel può essere trasformato in biomassa per l’allevamento del bestiame.

Le tecnologie messe a punto dalla Greenfuel presentano, tuttavia, ancora alcuni problemi. Il tallone d’Achille del sistema sono le grandi quantità di calore e luce solare necessarie per il rapido sviluppo delle alghe. Non è del resto un caso se i primi bioreattori sperimentali siano stati impiantati in aree desertiche in cui forte è l’esposizione solare.
Tecnici e scienziati stanno lavorando alacremente per ottimizzare il funzionamento di questi bioreattori. Le alghe “mangia CO2” costituiscono una grande opportunità per curare il nostro Pianeta malato, ma – non dimentichiamolo – questa è una soluzione intermedia. Solo attraverso una rivoluzione copernicana nella produzione dell’energia potremo fermare la bomba ad orologeria che abbiamo innescato. La sfida è aperta.

Gaia nella polvere

pianeta polveriUna densa nube di polveri inquinanti sta uccidendo i ghiacciai dell’Himalaya. Questa è la sconvolgente conclusione cui è giunto un team di ricerca statunitense, che ormai da mesi sta studiando e monitorando l’enorme nube marrone che aleggia sull’Asia meridionale.

Il particolato, ovvero l’insieme delle sostanze inquinanti prodotte dall’uomo e sospese nell’aria, potrebbe avere responsabilità molto più pesanti rispetto ai gas serra per quanto riguarda il surriscaldamento di intere aree geografiche. “La nostra scoperta sta suscitando molto scalpore in India. La maggior parte delle riserve idriche dell’India settentrionale e centrale sono fornite dai fiumi che originano dai grandi ghiacciai dell’Himalaya” ha dichiarato David Winker, responsabile del team di ricerca, alla prestigiosa rivista scientifica Nature. Leggi tutto “Gaia nella polvere”

Calotta artica in estinzione

Entro il 2050 la calotta artica si restringerà a una velocità doppia rispetto all’attuale scioglimento dei ghiacci. Questo lo shockante risultato di una recente ricerca del National Oceanic and Atmospheric Administration (NOAA) che, partendo dai dati raccolti negli ultimi decenni, ha elaborato un complesso modello matematico per monitorare l’andamento dei ghiacci nell’Artico. Il repentino scioglimento della calotta artica potrebbe aprire, per la prima volta dopo millenni, una nuova strada tra l’Europa e l’Asia.

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Le alte temperature stanno trasformando buona parte dei ghiacci (azzurro) in acqua marina (nero). Photo credit: Jacques DescloitresNASA GSFC

La calotta artica è una delle zone più mutevoli del nostro Pianeta. Le aree glaciali dell’emisfero boreale (la porzione del globo al di sopra dell’equatore) si allargano e restringono ciclicamente mantenendo uno stretto rapporto con i cambiamenti climatici stagionali. Secondo la ricerca del NOAA, l’aumento medio delle temperature sta iniziando a mutare drasticamente questo “effetto fisarmonica” del tutto naturale. Nella loro fase di restringimento, corrispondente alla tarda estate, i ghiacciai dell’Artico mostrano gli evidenti segni di uno scioglimento senza precedenti.

La progressiva diminuzione della calotta artica potrebbe innescare un pericoloso circolo vizioso per l’intero Pianeta. I ghiacci dell’artico, infatti, hanno la straordinaria capacità di riflettere buona parte dei raggi solari che li colpiscono, svolgendo un’importante funzione termo-regolatrice. In assenza di questo enorme specchio, il calore dei raggi solari non verrebbe più riflesso, ma assorbito dalla massa oceanica che vedrebbe aumentare considerevolmente la propria temperatura. Leggi tutto “Calotta artica in estinzione”