Scoperti nuovi antenati del genere umano

Lordkipanidze mostra uno dei fossili appartenenti alla sua inestimabile scoperta [credit: Nature]Dopo numerosi anni di ricerca, un gruppo di antropologi ha scoperto i più antichi resti umani fino ad ora conosciuti al di fuori dell’Africa, il continente in cui iniziò l’evoluzione del genere umano.
I ricercatori del Georgian National Museum di Tbilisi hanno ritrovato una quarantina di ossa fossili appartenute a quattro ominidi della specie Homo erectus e ritrovate nell’enorme scavo di Dmanisi in Georgia (Asia centrale).

Le più recenti teorie antropologiche ipotizzano che l’Homo erectus sia emigrato dall’Africa alle floride terre Asiatiche circa due milioni di anni fa. La posizione geografica del sito di Dmanisi è compatibile con questa teoria, che disegna il percorso migratorio dall’Africa all’Asia fino alla remota Indonesia.
Il preziosissimo ritrovamento, è molto raro ritrovare così tante ossa fossili in un unico sito, potrà aiutare gli antropologi nella difficile ricostruzione dei primi spostamenti dei nostri antichi antenati. Le prime analisi sui fossili confermerebbero una datazione poco inferiore ai due milioni di anni fa, gli ominidi ritrovati a Dmanisi apparterrebbero quindi alle prime generazioni che dall’Africa migrarono verso l’Asia.

Principali stadi dell’evoluzione umana“Dmanisi è un vero è proprio regalo, è l’unico sito in grado di testimoniare ciò che accadde così tanti milioni di anni fa” ha dichiarato David Lordkipanidze, uno dei responsabili della ricerca pubblicata sulla prestigiosa rivista scientifica Nature.
L’entusiasmo di Lordkipanidze è più che giustificato. Aver ritrovato quattro ominidi (tre adulti e un adolescente) significa poter ricostruire con maggior precisione le fattezze di quei nostri lontani antenati in piena evoluzione verso una specie più “complessa”.

Come in un enorme puzzle, ora i ricercatori cercheranno di capire se i tre crani ritrovati precedentemente nel medesimo sito siano compatibili con i resti fossili dei tre esemplari adulti di Homo erectus.

Dalle dimensioni delle spalle, delle braccia, della colonna vertebrale e delle gambe, i paleontologi guidati da Lordkipanidze sono giunti alla conclusione che gli ominidi ritrovati fossero molto piccoli, 50 kg di peso per un’altezza non superiore al metro e mezzo, ma già incredibilmente proporzionati rispetto ai “canoni” dell’uomo moderno.
Nonostante l’incredibile e inestimabile scoperta, è ancora presto per scrivere la parola “fine” nella lunga indagine sulle nostre origini. Come in un enorme puzzle, quelli scoperti da Lordkipanidze sono ottimi tasselli per comporre una verità sulla nostra evoluzione ancora da scoprire. Ma intanto c’è chi scommette che le sorprese offerte dal ricco sito di Dmanisi non siano ancora finite…

[fonte Nature]

Il gene del linguaggio

Si chiama FOXP2 (“forkhead box P2”) ed è il gene che ci consente ogni giorno di chiacchierare con gli amici, parlare con il nostro capoufficio e canticchiare mentre facciamo la doccia.
Al centro di numerose ricerche negli ultimi anni, FOXP2 possiede le istruzioni per sintetizzare una proteina ritenuta fondamentale per la coordinazione tra i movimenti della bocca, gli organi di fonazione (laringe, corde vocali…) e gli impulsi elettrici inviati dal nostro cervello. Questo particolare gene divenne molto famoso sei anni fa, quando alcuni ricercatori lo reputarono responsabile di specifiche disfunzioni del linguaggio. Approfondendo le ricerche, nel 2002 si scoprì che FOXP2 rivestiva un ruolo fondamentale nello sviluppo della fonazione e del linguaggio negli individui.

I pipistrelli comunicano con gli ultrasuoniPer approfondire le conoscenze sulle incredibili potenzialità del gene FOXP2, un team di genetisti guidati da Stephen Rossiter (Queen Mary, University of London) ha esteso la ricerca ad altri membri del regno animale in grado di produrre linguaggi complessi: i pipistrelli.
Da un punto di vista meramente “fisico”, questi mammiferi utilizzano per comunicare un procedimento molto più complesso della semplice fonazione umana: l’ecolocalizzazione. Per comunicare con un “collega”, un pipistrello deve coordinare – nel medesimo istante – naso, bocca, orecchie e laringe mentre si trova in volo e utilizza gli stessi organi per orientare la propria rotta.

Organi di fonazione [fonte: progettogea.com]Analizzando 13 pipistrelli appartenenti a sei specie diverse, incluse alcune che non utilizzano l’ecolocalizzazione, il team di ricercatori è stato in grado di mappare completamente l’intera sequenza del gene FOXP2, giungendo a una sorprendente scoperta. I genetisti guidati da Rossiter hanno identificato nel FOXP2 dei pipistrelli il doppio dei cambiamenti rispetto ad altre specie animali analizzate, dimostrando un’evoluzione molto più rapida del previsto del gene del linguaggio.

La ricerca di Rossiter dimostrerebbe dunque una specifica adattabilità del gene del linguaggio, in grado di evolversi per “calibrarsi” sulle esigenze comunicative degli organismi che lo ospitano. Se confermata dalle prossime indagini di laboratorio, la scoperta del genetista britannico confermerebbe l’importanza del FOXP2 per l’evoluzione della nostra capacità di produrre suoni che oggi chiamiamo “linguaggi”.
Del resto, appena due amminoacidi (la base per costruire le proteine) differenziano il nostro gene del linguaggio da quello delle scimmie…

Gaia respira

BreathingearthNel romanzo L’orlo della Fondazione, lo scrittore di fantascienza Isaac Asimov immagina l’esistenza di Gaia, un pianeta simile alla Terra caratterizzato da un ecosistema perfettamente in equilibrio. Ogni elemento che costituisce questo corpo celeste utopico ha una propria coscienza di sé: oceani, fauna, flora e tutti gli altri elementi naturali sono interconnessi tra loro in un continuo flusso telepatico.

Per creare Gaia, Asimov non fece altro che conferire un pizzico di personalità in più a un pianeta che conosceva molto bene, la Terra. Il complesso ecosistema terrestre non ha probabilmente una consapevolezza di sé, ma ha sicuramente la capacità di trasmettere all’umanità, in assoluto l’inquilino più irrequieto che ospita, il suo stato di continuo malessere. Per aiutarci ad ascoltare meglio la cronaca di quella che potrebbe essere la nostra rovina, è nato lo spazio web Breathing Earth.
Sul sito della “Terra che respira” è possibile osservare, in tempo reale e sulla base di approfonditi studi statistici, il lento declino verso l’entropia del nostro caro Pianeta. Puntando il mouse su uno degli Stati che costituiscono la cartina interattiva del sito, troviamo vecchie conferme e nuove scoperte. Mentre l’Italia dimostra il proprio deficit demografico, con una morte ogni 52.1 secondi a fronte di una nascita al minuto, l’India sbaraglia la concorrenza con una nascita ogni 1.3 secondi a fronte di una morte ogni 3.5 secondi!

I dati più interessanti per misurare il polso dell’ecosistema terrestre sono comunque forniti dalle emissioni di CO2 nell’aria. In Italia vengono mediamente emesse in atmosfera 1000 tonnellate di anidride carbonica ogni 1.2 minuti, in Germania la medesima quantità viene emessa in metà tempo: 39.2 secondi. Gli Stati Uniti polverizzano ogni record con l’emissione di 1000 tonnellate di CO2 ogni 5.4 secondi, la Cina ogni 9.2, ma il suo trend è in perenne crescita.

Dunque che fare? Dovremo andare raminghi per il cosmo alla ricerca di Gaia, il corpo celeste perfetto immaginato da Asimov, o saremo in grado di capire per tempo che il pianeta perfetto esiste già ed è quello in cui viviamo? Ma soprattutto, per quanto continuerà ad essere così “perfetto”?

L’affascinante – a volte pauroso – micromondo degli insetti

Unseen Companions è il titolo di un libro di recente pubblicazione in Gran Bretagna, interamente dedicato a quel mondo parallelo degli insetti che quotidianamente condivide con noi il nostro Pianeta azzurro.
David e Madeleine Spears e Paul Cook hanno realizzato magnifiche fotografie di quei minuscoli animaletti che, spesso per ignoranza o atavici retaggi, temiamo e ci terrorizzano. Utilizzando potenti microscopi, i curatori del libro hanno effettuato primi piani di rara bellezza, rivelando particolari inediti e sconosciuti sugli insetti. Ecco alcuni dei loro scatti.
[Tutte le immagini sono tratte da: UNSEEN COMPANIONS: big views of tiny creatures e sono © dei rispettivi proprietari]

Le “pinze” della Forficula ingrandite 75 volte, da cui deriva il nome italiano “forbicetta”Molto diffusa in Europa, la Forficula auricularia è un artropode appartenente all’ordine dei dermatteri. Lungo poco più di un centimetro, questo insetto onnivoro è molto famelico, tanto da infestare intere piantagioni in tutto il mondo. La femmina della Forficula auricularia depone una cinquantina di uova ogni autunno in piccoli nidi sotterranei. Entra poi in uno stato di letargo fino alla primavera successiva, quando inizia a badare ai suoi piccoli appena usciti dalle minuscole uova. Nella fotografia potete osservare le “pinze” della Forficula ingrandite 75 volte.

Un primo piano di Chorthippus brunneus, ingrandido 60 volteLa cavalletta comune è soltanto una delle oltre diecimila specie conosciute di questi famelici ortotteri. Contraddistinta da un paio di antenne molto corte, è dotata di mascelle estremamente potenti in grado di triturare rapidamente i vegetali di cui si nutre. Specifiche ghiandole provvedono alla secrezione di enzimi per favorire e accelerare i processi digestivi. Una femmina di cavalletta depone mediamente 500 uova.

Il Bombus terrestris è molto diffuso in tutta EuropaIl Bombus terrestris è il bombo più diffuso in Europa. È riconoscibile dalla colorazione biancastra dell’ultimo segmento del suo addome e dalla dimensione media, non superiore ai 1½–2 cm. Ottimi “piloti”, questa specie di bombi si avventura anche oltre un raggio di 13km di distanza dal nido. In questo bel primo piano possiamo apprezzare l’acconciatura punk del Bombus. I piccoli peletti servono per racimolare quanto più polline possibile.

Sopra i 1500 metri, alcune specie di acaro non sopravvivono all’altitudineTra i primi animali ad aver colonizzato la Terra, gli acari prolificano sul nostro pianeta da quasi 300 milioni di anni. Quelli della polvere colonizzano le nostre case da migliaia di anni. Microscopici e impossibili da notare ad occhio nudo, gli acari casalinghi vivono poco meno di un mese, ma hanno cicli riproduttivi molto veloci. Una femmina depone mediamente 80 uova, mentre i cadaveri degli acari morti sono considerati un pasto prelibato dai colleghi infestatori. Nella fotografia un gruppo di acari è a caccia di forfora e particelle di sudore su un lenzuolo. Niente paura, l’immagine è a un ingrandimento di ben 350 volte.

Grande appena due millimetri, questa formica risulta ingradita di 230 volteLa Monomorium pharaonis è una minuscola formica, grande appena 2 millimetri. Nativa dell’Africa settentrionale, ha nei secoli colonizzato l’intero pianeta, prediligendo negli ultimi tempi gli ospedali, dove prolifera infestando sotterranei, servizi igienici, tubature e condizionatori. Una colonia raggiunge una popolazione media di 2000 individui, guidati da una regina molto autoritaria. Un intero ciclo di vita dura generalmente 38 giorni, ma in particolari condizioni taluni esemplari raggiungono la veneranda età di 45 giorni.

Dotato di sei zampette, il pidocchio si aggrappa alla preda con dei potenti arpioniQuesto esserino, decisamente spaventoso, è un comunissimo pidocchio. Il Pediculus humanus capitis è uno dei parassiti più diffusi tra gli esseri umani, non infesta altri animali perché dopo millenni di evoluzione si è unicamente specializzato sul sangue umano. Il loro ciclo di vita non è molto lungo, circa un mese, ma ogni femmina è in grado di deporre fino a 150 uova nel giro di poche settimane. L’inquietante fotografia ritrae un pidocchio ingrandito 80 volte.

Il moscerino della frutta, ingradito 350 volteQuesto profilo molto espressivo è della Drosophila melanogaster, il comune moscerino della frutta. Lungo appena 2,5 mm, questo moscerino ha un metabolismo molto veloce e un ciclo di vita relativamente breve per un insetto, appena due settimane. Le femmine si premurano di deporre le proprie uova, circa 400, all’interno della frutta. La Drosophila è uno degli insetti più studiati al mondo. Grazie al suo ciclo di vita breve e al codice genetico “semplificato”, questo moscerino è diventato una vera e propria star nei laboratori che studiano e analizzano il DNA.

Secondo gli entomologi esistono quasi 3.000 varietà di zanzare, che ricoprono buona parte delle aree climatiche del pianetaLa Culex pipiens è la specie più diffusa di zanzara. Milioni di anni fa le zanzare erano circa tre volte più grandi di quanto non siano oggi. L’apparato visivo è pressoché rimasto invariato e si basa ancora sull’infrarosso. A differenza di quanto si possa immaginare, le zanzare non sono tanto attratte dal sudore, quanto dall’aria che emettiamo quando espiriamo.

Lo scarafaggio americano vive mediamente 12 mesiLa Periplaneta americana è la specie di scarafaggio più diffuso in America. Infesta milioni di case, prediligendo ambienti caldi e umidi, come i seminterrati e le fenditure nei muri vicino ai termosifoni o gli scarichi domestici. La sua grandezza può variare tra i 2 e i 4,5 cm e può sopravvivere per mesi senza toccare cibo. Il ciclo di vita di uno scarafaggio è molto lungo e, salvo disinfestazioni, può superare l’anno di vita. In un ciclo vitale una femmina depone circa 150 uova, i piccoli impiegano sei mesi per raggiungere l’età matura. Onnivori e famelici, prediligono le ore notturne per le loro scorribande. In mancanza di cibo non disdegnano di mangiarsi a vicenda…

Farmaci contro l’AIDS per curare il cancro?

Schema stilizzato di una sezione del virus dell’HIV [Wikipedia]Uno dei farmaci utilizzati per curare l’AIDS potrebbe svolgere un “secondo lavoro” curando alcune tipologie di cancro. È la sorprendente conclusione cui è giunto un team di ricercatori statunitensi dopo numerose analisi di laboratorio e una sperimentazione sul campo, appena attivata su un vasto numero di volontari.

Utilizzati per interferire con il ciclo replicativo del virus dell’HIV, gli inibitori di proteasi hanno dimostrato una notevole capacità nel ridurre la velocità di crescita di alcuni tipi di cellule tumorali. Tra tutti i farmaci sperimentati, il nelfinavir si è dimostrato il principio attivo più efficace nel ridurre la corsa alla riproduzione cellulare dei tumori.
Il team di ricercatori è potuto giungere a questo promettente risultato compiendo numerosi e attenti test di laboratorio, in cui sono stati sperimentati sei differenti inibitori di proteasi utilizzati nella cura dell’AIDS. Il nelfinavir ha battuto la concorrenza, dimostrandosi il farmaco più versatile ed efficace, anche contro forme tumorali tenaci come quelle legate al cancro del seno resistenti a principi attivi come il tamoxifen e il trastuzumab.

Non è ancora completamente chiaro come il nelfinavir agisca contro le cellule tumorali. In linea teorica qualsiasi inibitore di proteasi dovrebbe interferire con la crescita cellulare, le proteasi sono infatti particolari enzimi in grado di catalizzare (aumentare la velocità) la rottura dei legami peptidici responsabili della formazione degli amminoacidi (i mattoncini base per costruire le proteine). Eppure solo alcuni principi attivi si sono dimostrati in grado di rallentare effettivamente la crescita delle cellule tumorali. I ricercatori ipotizzano che la diversa reazione sia dovuta all’esistenza di distinte proteasi per l’HIV e il cancro.

Dalla ricerca alla produzione di un nuovo farmaco contro il cancro passano, in media, almeno 15 anni, con una spesa per le analisi di laboratorio che supera abbondantemente il miliardo di dollari, con la costante incognita di non ricevere l’approvazione finale dagli enti nazionali per la sicurezza dei farmaci.
Per ovviare a questi problemi, lo studio statunitense, pubblicato sul prestigioso Clinical Cancer Research, propone l’analisi approfondita dei farmaci già in commercio e “rodati” dopo anni di utilizzo da parte dei pazienti. Il modello pare funzionare. Dopo appena un anno dall’inizio delle sperimentazioni si è infatti già giunti alle prime fasi di test su alcuni volontari affetti da diverse forme tumorali.

“L’obiettivo dei test è la sicurezza e l’assenza di effetti collaterali per i nostri pazienti” ha dichiarato il prof. Phillip A. Dennis, uno degli autori della ricerca. “Quando avremo dati certi sulla sicurezza del trattamento, potremo proseguire le nostre analisi per calibrare i principi attivi su specifiche tipologie di tumore”.
La ricerca potrebbe portare presto a nuovi e sorprendenti risultati, aprendo una nuova e innovativa strada nella ricerca contro il cancro.

Il ritorno delle sanguisughe

Dopo aver perso buona parte della loro fama nel corso dell’ultimo secolo, le sanguisughe potrebbero presto ritrovare un po’ del loro antico smalto nella scienza medica.
Non si tratta di revanscismo medievale o nostalgia per gli antichi ritrovati alchemici, ma di una attenta e scrupolosa ricerca per curare i pazienti affetti da asma e alcune malattie autoimmuni.

Lunghe appena 1.5cm, le sanguisughe sono vermi segmentatiGrandi poco più di un centimetro e mezzo, le sanguisughe sono degli anellidi (vermi segmentati) che vivono in molte zone paludose del nostro pianeta. La specie più conosciuta, e utilizzata nella medicina galenica, è la Hirudo medicinalis, un piccolo verme che cresce e si sviluppa anche alle nostre latitudini. Dotato di un potente apparato buccale “a ventosa”, questo tipo di sanguisuga aderisce alla pelle della propria preda (solitamente mammiferi di media taglia) per poi affondarvi le proprie mascelle e iniziare la suzione di sangue. Nella maggior parte dei casi la preda non si accorge minimamente della presenza della sanguisuga che, per nutrirsi di sangue, inietta un potente anticoagulante e un anestetico per impedire alla vittima di provare dolore. Quando il verme è satollo, stacca la mascella dal derma della preda e si rilascia cadere nelle acque paludose.

Il team di ricercatori guidato dal prof. David Pritchard, della University of Nottingham (Gran Bretagna), ha studiato a lungo gli effetti del particolare anestetico rilasciato dalle sanguisughe sul corpo umano, giungendo a una sorprendente conclusione.
Si è scoperto che la sostanza iniettata dalle sanguisughe, per non far provare dolore alle prede, è in grado di diminuire sensibilmente le risposte immunitarie del nostro organismo. Ciò significa che malattie autoimmuni, causate da un’eccessiva e sproporzionata reazione immunitaria, come la sclerosi multipla, la febbre da fieno e patologie asmatiche potrebbero essere trattate con successo con le sanguisughe.

Una sanguisuga in azione“Il sistema immunitario viene coinvolto dal basso livello di infezione apportato da questi vermi in un modo molto particolare, che potrebbe tramutarsi in una cura per le malattie autoimmuni” ha dichiarato Pritchard ai giornalisti.
I primi risultati dello studio del team di David Pritchard sono molto incoraggianti, ma ancora lontani da conclusioni certe e scientificamente inoppugnabili. I ricercatori hanno già condotto una serie di test per capire con quali dosi e modalità impiegare le sanguisughe sui pazienti. L’esito di questa prima sperimentazione, orientata più sulla sicurezza che sull’efficacia del trattamento, ha evidenziato un’ottima risposta da parte dei pazienti. La maggior parte degli individui trattati con sanguisughe ha affermato di aver tratto notevoli benefici dalla cura, tanto da preferire questi famelici vermi succhia sangue alle tradizionali pastiglie.

La ricerca verrà ora mirata sui pazienti affetti da asma, con test molto severi e scrupolosi per misurare l’effettiva efficacia del trattamento con sanguisughe.
Corsi e ricorsi della medicina…