Lo zoo accorcia la vita degli elefanti

Gli elefanti mantenuti in cattività hanno un’aspettativa di vita di molto inferiore rispetto ai pachidermi che vivono in libertà. A rivelarlo è un recente studio, che ha messo a confronto la durata media della vita degli elefanti nelle aree protette di Africa e Asia con l’età a cui muoiono generalmente gli elefanti in cattività in alcuni dei principali zoo del mondo.

Stando ai risultati della ricerca, pubblicata sulla rivista scientifica Science, a soffrire maggiormente sarebbero le femmine di elefante, la cui durata della vita è pari a meno della metà rispetto agli esemplari che possono vivere in libertà. La difficoltà ad adattarsi alla cattività non interessa solamente gli elefanti importati dalle loro zone di origine, ma anche le nuove generazioni nate già all’interno degli zoo. La maggior parte dei piccoli elefanti non supera i primi anni di vita, morendo molto giovani.

La ricerca è stata realizzata da Ros Clubb ( England’s Royal Society for the Prevention of Cruelty to Animals in London) in collaborazione con Georgia Mason (University of Guelph, Canada) utilizzando principalmente i dati forniti dall’European Elephant Group, un vero e proprio registro degli elefanti che tiene traccia della vita e dei trasferimenti in cattività dei pachidermi. Insieme ai suoi colleghi, Clubb ha confrontato la durata della vita di circa 800 elefanti vissuti negli zoo europei con gli esemplari mantenuti in libertà in alcune riserve in Kenya e in Asia, realtà confrontabili tra loro poiché un elefante riceve protezione in uno zoo quanto in una riserva naturale. Leggi tutto “Lo zoo accorcia la vita degli elefanti”

Bugie di sopravvivenza per i granchi violinisti

A volte la finzione può diventare la migliore arma per la sopravvivenza. Sembrano averlo imparato molto bene i Granchi violinisti (Uca Uca), che si fingono molto più forti e potenti di quanto in realtà non lo siano per spiazzare i loro contendenti.

Granchio violinista
Granchio violinista

Questi particolari crostacei presentano una evidente sproporzione nella loro conformazione fisica, con una chela enormemente più grande rispetto all’altra e utilizzata come arma di difesa e attacco per proteggere la loro tana dai nemici. Nel corso dei combattimenti più accesi può accadere che un Granchio violinista perda la propria chela in seguito a un colpo ben assestato da parte del suo contendente. La perdita non si rivela quasi mai mortale e nel giro di qualche settimana l’organismo del granchio colpito riesce a rigenerarsi, creando una nuova chela del tutto simile alla precedente, ma meno resistente e mobile.

La differenza tra la chela precedente e il nuovo arto, più leggero e meno affidabile ma più grande, è nota solamente al granchio che la possiede e non ai predatori e agli altri suoi simili che continuano a vedere la solita chela sovradimensionata. Così, stando ad una recente ricerca, i Granchi violinisti farebbero finta di nulla mostrando il loro nuovo – debole – arto ai contendenti per intimorirli ancor prima di ingaggiare la lotta vera e propria. Un inganno che pare si riveli quasi sempre vincente e tale da assicurare buone opportunità di sopravvivenza ai Granchi violinisti reduci dalla perdita della loro enorme chela. Leggi tutto “Bugie di sopravvivenza per i granchi violinisti”

Il latte fa bene anche alla evoluzione

Il latte è sicuramente una preziosa fonte di calcio, ma in tempi ormai remoti ha anche costituito una risorsa fondamentale per l’evoluzione dei mammiferi. A dimostrarlo è una innovativa ricerca genetica, che ha evidenziato come l’allattamento si sia sviluppato ben prima che i mammiferi diventassero tali abbandonando la deposizione delle uova, retaggio dei rettili loro antenati. Secondo lo studio, il latte avrebbe favorito i cambiamenti biologici che progressivamente portarono alla gravidanza e al parto, come li conosciamo oggi, tra i mammiferi.

I primi mammiferi apparvero sul Pianeta all’incirca 200 milioni di anni fa. Nel corso del tempo, molte specie svilupparono la capacità di allevare e nutrire il feto nell’utero, abbandonando così la deposizione delle uova e adottando l’allattamento per nutrire i loro piccoli. Da quei tempi remoti a oggi, ben poche eccezioni si sono mantenute al modello diffuso delle gravidanze uterine dei mammiferi. Queste “eccezioni” appartengono all’ordine Monotremata, di cui fanno parte quegli animali, come l’ornitorinco, che depongono le uova, ma allattano poi i loro piccoli.
Partendo da queste conoscenze, il ricercatore Henrik Kaessmann (Università di Losanna, Svizzera) ha cercato di capire quali mutazioni genetiche avessero portato molte specie animali ad abbandonare le uova e a diventare mammiferi tout cour. Leggi tutto “Il latte fa bene anche alla evoluzione”

La rana del Borneo senza polmoni

Barbourula kalimantanensis

Quella raffigurata in questa immagine è una rana con una particolare peculiarità.

Scoperto da un gruppo di ricercatori nella regione del Borneo (Indonesia), questo curioso anfibio è completamente privo di polmoni.
Conosciuta come “Rana del Borneo dalla testa piatta” (Barbourula kalimantanensis), fu scoperta per la prima volta negli anni Settanta del Novecento, ma coloro che la scoprirono e catalogarono non avrebbero mai immaginato potesse essere priva di polmoni.

Grazie a una autopsia svolta sul posto, un gruppo di ricercatori ha scoperto il curioso segreto di questo simpatico animale, la cui storia sarà raccontata sul prossimo numero della rivista scientifica Current Biology. La rana respira assorbendo l’aria dall’ambiente che la circonda attraverso i pori della sua pelle. L’assenza di polmoni potrebbe essere giustificata dalla necessità di compiere immersioni nelle veloci acque dei torrenti e rigagnoli in cui la rana generalmente vive. Mancando una sacca d’aria, l’animale ha un maggiore peso specifico e riesce a rimanere ancorato nel letto dei corsi d’acqua.

Oltre alla Rana del Borneo, nel corso degli anni sono stati identificati altri anfibi privi di polmoni, come una particolare specie di salamandre. Questa mutazione evolutiva è comunque estremamente inconsueta e costituisce una vera e propria rarità, nonché un piccolo enigma che evoluzionisti e biologi cercano da tempo di risolvere completamente.

Il computer impara a riconoscere oggetti e persone dai pipistrelli

Photo credit: Max Planck Research Centre for Ornithology/York WinterUn gruppo di ricercatori ha sviluppato un algoritmo in grado di identificare alcune specie di piante attraverso la loro risposta al sonar. Concepito per aiutare i biologi nello studio del comportamento dei pipistrelli, capaci di identificare a distanza le loro piante preferite, il sistema potrebbe ora aiutare gli ingegneri informatici a sviluppare nuove tecnologie per il riconoscimento di oggetti e persone in ambienti complessi e dinamici come una folla o un panorama cittadino.

Benché praticamente ciechi, i pipistrelli sono in grado di riconoscere i loro alberi da frutto preferiti grazie alla ecolocalizzazione. Questi chirotteri inviano particolari segnali a ultrasuoni e ne attendono l’eco per capire a quale distanza si trovino gli ostacoli, gli insetti o la vegetazione. Nel caso delle piante, i pipistrelli sono anche in grado di comprendere verso quale specie di vegetale si stiano avvicinando valutando la rifrazione dei loro ultrasuoni sul fogliame. Un sistema molto sofisticato, che consente ai mammiferi volanti di dirigersi con sicurezza verso le piante da cui traggono generalmente il loro nutrimento. Leggi tutto “Il computer impara a riconoscere oggetti e persone dai pipistrelli”

Il segreto dell’equilibrio nei colpi di coda dei gechi

Nonostante le loro famose zampette appiccicose, talvolta i gechi perdono la presa e solo grazie a un vero e proprio colpo di coda evitano cadute rovinose a terra. Queste le conclusioni di un interessante studio biomeccanico recentemente condotto per studiare il comportamento dei gechi.

La coda del “geco comune” (Cosymbotus platyurus) pesa all’incirca un decimo dell’intero corpo dell’animale e, fino ad ora, era stata generalmente liquidata dai biologi come arma di difesa contro i predatori e banale riserva di grasso. Nessuno immaginava, infatti, che la coda di questi animaletti potesse essere così importante per scalare e direzionare il loro movimento. Non lo aveva immaginato nemmeno Robert Full, che nel suo laboratorio alla University of California (Berkeley – USA) aveva condotto numerosi esperimenti per studiare la strategia di arrampicata dei gechi. Nel corso di tutti i test, la coda era risultata completamente inutile per la buona riuscita di una scalata, almeno secondo Full.

Il ricercatore fu costretto a ricredersi, però, quando si trattò di costruire una serie di robot in grado di imitare i movimenti e le strategie di arrampicata dei gechi: senza la coda, gli automi perdevano inesorabilmente l’equilibrio, sfracellandosi impietosamente a terra. Determinato a risolvere il rompicapo, Full tornò a studiare l’arrampicata dei piccoli rettili. Leggi tutto “Il segreto dell’equilibrio nei colpi di coda dei gechi”