I pipistrelli primitivi non vedevano al buio

Una delle caratteristiche più note dei pipistrelli è la loro capacità di “vedere” nella completa oscurità grazie a un sofisticato sistema di ecolocalizzazione, basato sull’emissione e la rilevazione della rifrazione degli ultrasuoni. Partendo da questo dato acquisito, da tempo gli scienziati cercavano di capire se la peculiarità dei pipistrelli si fosse sviluppata prima o dopo la loro evoluzione verso il volo. Una recente scoperta potrebbe finalmente dare una risposta a questo interrogativo.

Il fossile di Onychonycteris finneyi, vissuto 52 milioni di anni faLa scoperta di un nuovo fossile, resa nota nel corso del meeting annuale della Society of Vertebrate Paleontology e recentemente pubblicata sulla rivista scientifica Nature, suggerisce che i pipistrelli abbiano prima imparato a volare e poi a utilizzare l’ecolocalizzazione. I paleontologi sono giunti a questa conclusione osservando attentamente il reperto fossile, focalizzando la loro attenzione sul cranio del piccolo mammifero volante. Leggi tutto “I pipistrelli primitivi non vedevano al buio”

Una nuova specie di scimmie fa capolino in Amazzonia

È proprio vero che “chi cerca trova”. Nel corso di una spedizione in Amazzonia, un etologo ha scoperto una nuova specie di scimmia appartenente al genere Cacajo. Il primatologo neozelandese Jean-Philippe Boubli, della University of Auckland, ha potuto effettuare la scoperta seguendo i sentieri di caccia dei nativi Yanomamo, una tribù che vive sulle rive del Rio Aracà, uno degli affluenti del Rio Negro in Brasile.

Il ritrovamento non è stato certo fortuito: il primatologo Boubli era sulle tracce della nuova specie di scimmia da circa cinque anni. I parenti più prossimi di questi primati vivono solitamente in aree pianeggianti, generalmente sommerse dalle esondazioni dei fiumi che attraversano la foresta. A Boubli era dunque parso logico cercare la nuova specie a bassa quota.
Dopo anni di infruttuosi risultati, il primatologo ha deciso di esplorare le aree montuose della foresta e, con sua grande sorpresa, è finalmente riuscito a intercettare le scimmie di cui aveva ipotizzato l’esistenza. Leggi tutto “Una nuova specie di scimmie fa capolino in Amazzonia”

Perché i pipistrelli “sono ciechi”? E perché dormono a testa in giù?

Si sente spesso affermare che i pipistrelli siano animali completamente ciechi. Ma è davvero così?
Pipistrello in voloI pipistrelli sono piccoli mammiferi volanti, generalmente insettivori, abituati a muoversi e a cacciare le loro prede dal crepuscolo all’alba. Volando nell’oscurità, questi animali evitano gli ostacoli e catturano la preda usando una forma di ecolocalizzazione simile ai sistemi sonar utilizzati dalle navi per fare rilevazioni sui fondali marini o, in ambito militare, scovare i sottomarini. Per rilevare gli ostacoli, i pipistrelli emettono ultrasuoni a circa 200 kHz e calcolano quanto tempo impiegano le onde sonore per essere riflesse da un ostacolo. Maggiore è il tempo che intercorre tra l’emissione e il ritorno d’onda, maggiore sarà la distanza dell’animale dall’ostacolo o dalla preda.

Il fatto che i pipistrelli utilizzino questo stratagemma ha indotto a credere che essi siano ciechi. In realtà, i pipistrelli insettivori sono dotati di un apparato visivo perfettamente funzionante, ma soffrono di una forte miopia. I loro occhi si sono infatti evoluti per percepire gli insetti a distanze estremamente ridotte e nel pieno dell’oscurità. I megachirotteri, pipistrelli di dimensioni molto maggiori e che si nutrono di nettare e frutti, non sono invece miopi e riescono a orientarsi nel volo notturno anche senza l’ausilio del loro sonar.

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Mutazioni genetiche differenti per un medesimo risultato

AmblyopsidaeLa famiglia degli Amblyopsidae annovera sei specie di pesci totalmente ciechi, abituati a vivere in ambienti completamente bui come caverne e profondità marine. In questi luoghi privi di luce, la vista è il senso meno utile, per questo motivo lungo il loro corso evolutivo, questi pesci hanno progressivamente perso l’uso degli occhi. Secondo una recente ricerca, però, in alcune condizioni queste specie ittiche possono riguadagnare la vista. Le mutazioni in parte del loro patrimonio genetico possono interessare numerosi esemplari di un’unica generazione, la cui stirpe è rimasta al buio anche per milioni di anni.

«Il recupero dell’abilità visiva avviene nel tempo di una sola generazione poiché i gruppi di questi pesci che vivono in differenti cavità sono ciechi per motivi altrettanto differenti tra loro» ha dichiarato Richard Borowsky, che ha recentemente pubblicato i risultati della propria ricerca sulla rivista scientifica Cell Press. Il suo gruppo di ricercatori ha isolato una ventina di popolazioni diverse di questi pesci ciechi al largo delle coste del Messico nord-orientale.
Secondo gli studi condotti da Borowsky, ogni macrogruppo di pesci ha perso la vista con mutazioni genetiche differenti, dando luogo a una considerevole differenziazione a livello del loro genoma.

dna.jpgPartendo da questi presupposti, i ricercatori hanno provato a incrociare esemplari appartenenti a gruppi diversi per “rimescolare” le carte del loro patrimonio genetico. Come previsto da Borowsky, la nuova generazione ibrida ottenuta da questi incroci ha portato alla luce numerosi esemplari in grado di vedere, nonostante provenissero da stirpi ormai cieche da centinaia di migliaia di anni. Inoltre, all’aumentare della distanza degli habitat degli esemplari incrociati è aumentata considerevolmente la probabilità di ottenere un maggior numero di pesci in grado di rispondere agli stimoli visivi.
Semplificando molto, ciò significa che singoli gruppi di pesci posseggono geni differenti con le istruzioni per sviluppare la cecità. Incrociando pesci appartenenti a gruppi diversi, i geni responsabili della cecità di un gruppo vengono contrastati da quelli “normali” dell’altro gruppo e viceversa. Grazie a questa inibizione reciproca di alcuni fattori genetici, una percentuale di pesci nasce con il dono della vista.

Il risultato ottenuto non è solamente importante per i pesci ciechi della famiglia Amblyopsidae, ma per la ricerca sul DNA tout court. Lo studio dimostra, infatti, come l’evoluzione possa portare a precise trasformazioni (come l’eliminazione della vista, inutile per una vita perennemente al buio) procedendo con mutazioni genetiche estremamente differenti all’interno della medesima specie. Un risultato tutt’altro che scontato. [fonte principale: Cell Press]

Scoiattoli al profumo di serpente

Una ricercatrice della UC Davis (California) ha recentemente osservato un curioso comportamento di due specie di scoiattolo, Spermophilus beecheyi e Spermophilus variegates, che utilizzano la pelle lasciata dei serpenti, nei periodi di muta, per mimetizzarsi dai predatori. Questi simpatici roditori masticano avidamente la pelle ormai rinsecchita dei serpenti leccandosi poi la pelliccia, così da trasferire l’odore dei rettili sul loro corpo per ingannare il fiuto dei molti predatori sulle loro tracce.

Scoiattolo intento a masticare la pelle lasciata dalla muta di un serpente. Leccando la propria pelliccia, il roditore si renderà “invisibile” per numerosi predatori [credit: Barbara Clucas/UC Davis photo]Le femmine, sia adulte che più giovani, attuano questo procedimento con una frequenza maggiore rispetto ai maschi, generalmente di corporatura e prestanza fisica maggiore e quindi meno soggetti alla predazione da parte dei serpenti. L’odore di serpente permette agli scoiattoli di mascherare il loro afrore, specialmente durante i momenti passati a riposare nelle tane. Sentendo l’odore dei loro simili, i serpenti non si addentrano nelle tane, immaginando siano già state visitate da qualche “collega” predatore.
Ma gli scoiattoli non utilizzano solamente la pelle di serpente per mascherare il loro odore. I risultati della ricerca dimostrano come spesso i roditori si cospargano di terra, ghiaia o altri materiali su cui sono passati i serpenti, così da trasferire sulla loro pelliccia l’odore di questi rettili.

Serpente a sonagliI serpenti a sonagli sono i principali nemici per queste due specie di roditori, che nel corso del loro processo evolutivo hanno sviluppato una progressiva immunità al potente veleno dei loro nemici. Determinati a non diventare una preda così facile, gli scoiattoli sono anche in grado di scaldare a comando le loro code, mandando precisi segnali ai serpenti a sonagli, che sono in grado di vedere anche nello spettro dell’infrarosso. Si tratta di un vero e proprio messaggio di guerra, che comunica ai serpenti a sonagli un potenziale rischio.
L’interessante ricerca svolta alla UC Davis, e recentemente pubblicata sulla rivista scientifica Animal Behavior, dimostra ancora una volta come le piccole astuzie consentano agli animali maggiormente soggetti alla predazione di sopravvivere, riducendo considerevolmente i rischi per intere specie.

Tempi duri per i pinguini d’Antartide

Grazie alla loro goffa camminata e ai numerosi film di animazione a loro dedicati, i pinguini hanno fatto breccia nel cuore di milioni di persone instaurando una penguin-mania a livello planetario. Per queste star del regno animale non giungono, però, notizie incoraggianti dal recente rapporto Antarctic Penguins and Climate Change stilato dagli esperti del WWF.

Pinguino di Adelia [credit: wam.umd.edu]La ricerca dimostra chiaramente come le quattro principali popolazioni di pinguini che vivono sul continente antartico (Adelia, Imperatore, Pygoscelis antarcticus, Pygoscelis papua) siano sempre più a rischio. Le cause sarebbero da imputare al progressivo surriscaldamento globale, che starebbe riducendo sensibilmente gli spazi in cui i pinguini possono crescere i loro piccoli e le quantità di cibo per sfamare le numerose colonie di questi ovipari.
«Queste icone dell’Antartide dovranno fronteggiare una vera e propria battaglia senza precedenti per riuscire ad adattarsi ai cambiamenti climatici» ha dichiarato Anna Reynolds, responsabile del Global Climate Change del WWF.

[credit: wizardknot.com]La sola Penisola antartica si sta scaldando a una velocità cinque volte superiore rispetto al dato globale dell’innalzamento di temperatura. Buona parte dell’area meridionale dell’Oceano avrebbe subito la medesima sorte, riscaldandosi fino a una profondità di circa 3.000 metri.
I ghiacci originati dal mare ricoprono oggi il 40% in meno del territorio ricoperto appena 26 anni fa nella zona occidentale della Penisola antartica. Questo depauperamento delle riserve di ghiaccio ha ridotto sensibilmente la quantità di krill, la principale fonte di sostentamento per i pinguini che abitano sulla Penisola. Le colonie di Pygoscelis antarcticus hanno così subito numerosi sconvolgimenti e una progressiva diminuzione della popolazione che sarebbe ormai dimezzata. Una vera e propria tragedia, causata dalla scarsità di cibo che impedisce agli esemplari più giovani di sopravvivere.

La Penisola antartica è una delle zone del Pianeta che si sta riscaldano più rapidamente [credit: eagle1.american.edu]Le colonie della specie Imperatore starebbero conoscendo un destino simile, causato dagli inverni sempre più caldi e dai venti sempre più forti, che obbligano i pinguini a crescere i loro piccoli in uno spazio in costante diminuzione. Intere placche di ghiaccio sprofondano nel mare, affondando le uova nei periodi di cova e i piccoli, che difficilmente riescono a sopravvivere alla violenza delle acque.
Temperature meno rigide significa anche maggiore umidità nell’atmosfera, che comporta quindi nevicate più frequenti e violente a danno della specie Adelia, che necessita di aree prive di ghiaccio e neve per crescere i propri piccoli.

Il rapporto del WWF disegna una situazione sempre più insostenibile per le popolazioni di animali che abitano l’Antartide, uno dei primi continenti a subire in maniera significativa gli effetti del surriscaldamento globale. Alla luce di queste notizie, la scarsa determinazione dimostrata da molti paesi nella recente conferenza di Bali sul clima getta ulteriore amarezza e inquietudine per un Pianeta quasi alla deriva.