Osservato tornado spaziale intorno a un buco nero

Per la prima volta, un gruppo di astronomi ha osservato alcuni tornado di dimensioni titaniche emersi da un buco nero caratterizzato da una super-massa. La violenza dei venti cosmici sprigionati dal fenomeno starebbero soffiando con così tanta forza da influenzare la forma stessa della galassia da cui sono originati. La scoperta potrebbe aiutare i ricercatori impegnati nello studio delle prime fasi evolutive dell’Universo.

Galassia. Nel dettaglio: buco nero super-massivo parte della galassia [credit: (X-ray) NASA/CXC/CfA/INAF/Risaliti; (Optical) ESO/VLT]L’osservazione di questi incredibili tornado è stata compiuta da un gruppo di astronomi del Rochester Institute of Technology (USA) in collaborazione con alcuni colleghi britannici, che da mesi studiano lo spettro luminoso emesso dal centro della galassia PG 1700+158, collocata a circa tre miliardi di anni luce dalla Terra.
Generalmente i buchi neri emettono gas ad altissima temperatura che, miscelati con i detriti che vi orbitano intorno, creano dense nubi in grado di sviluppare incredibili quantità di luce, tali da mettere in ombra intere galassie. Scomponendo la luce con apposite lenti polarizzate, simili a quelle dei comuni occhiali da sole, gli astronomi sono riusciti ad analizzare con precisione il fascio di luce emesso dal buco nero, calcolandone lunghezza d’onda e periodo. Interpretando i dati raccolti, è stato poi possibile determinare la forza dei cicloni di gas che si muovono intorno al buco nero a una velocità di circa 4000km al secondo, decine di migliaia di volte più forti dei loro omologhi terrestri. La forza dirompente di questi tornado è in grado di influenzare l’intera galassia PG 1700+158 e ciò che vi orbita intorno per milioni di chilometri.

Se confermata, la teoria di Young potrebbe spiegare la crescita limitata delle galassiePubblicata sull’ultimo numero della rivista scientifica Nature, la scoperta è stata resa possibile grazie al lavoro del team di ricerca guidato dal prof. Stuart Young. Secondo i risultati della sua ricerca, i forti venti sarebbero in grado di riscaldare il perimetro dell’intera galassia fino a limitarne la crescita. Se così fosse, significherebbe che i venti originati dai buchi neri abbiano limitato le dimensioni delle galassie nei primi periodi di vita dell’intero Universo. Per avere una conferma definitiva alle sue teorie, ora Young dovrà cercare altri buchi neri con le medesime caratteristiche di quello già analizzato, trasformando un’affascinante ipotesi in una ferrea regola della fisica dei corpi celesti.
La scoperta di Young, che per la prima volta ha consentito di osservare un buco nero da vicino nella sua struttura più intima, potrebbe aprire un nuovo capitolo nella ricerca dell’evoluzione di quel gran mistero che è l’Universo.

Cacciatori del Cosmo scoprono tre nuovi pianeti

Riproduzione artistica del sistema solare scoperto dal progetto WASP [credit: superwasp.org]Un team di astronomi, appartenente al progetto Wide Angle Search for Planets (WASP), ha recentemente annunciato la scoperta di tre nuovi pianeti. Esterni al nostro sistema solare, i tre corpi celesti sono stati identificati durante il loro passaggio intorno alla stella su cui orbitano. Lo studio di questo genere di pianeti esterni al sistema solare permetterà agli astronomi di approfondire le loro conoscenze sulle dinamiche di formazione dei sistemi planetari. Il team appartenente al WASP è il primo ad aver identificato nuovi pianeti da punti di osservazione collocati sia sull’emisfero australe sia su quello boreale.

Osservatorio SuperWASP in Sud Africa [credit: superwasp.org]“Quando rileviamo un percorso orbitale, possiamo dedurre grandezza e massa del pianeta che l’ha creato, così come il materiale che lo costituisce” ha dichiarato Coel Hellier (Keele University – UK), uno dei principali responsabili della ricerca. L’attenta analisi dei dati forniti dalle osservazioni permette poi agli astrofisici di calcolare con precisione le dinamiche alla base della formazione dei sistemi planetari.
WASP-4 (850 anni luce dalla Terra) e WASP-5 (967 anni luce dalla Terra) sono i primi due pianeti scoperti dai rilevatori posizionati dalla WASP in Sud Africa. La scoperta dei due corpi celesti è stata resa possibile dall’estrema sensibilità dei sensori utilizzati e dalla loro collocazione geografica, ideale per osservare il transito dei due pianeti. WASP-3 (727 anni luce dalla Terra), il terzo pianeta, è stato invece scoperto nell’emisfero boreale, utilizzando alcuni rilevatori posizionati in un’isola delle Canarie. “Siamo il primo team ad aver identificato pianeti in transito sia dall’emisfero nord che da quello sud; per la prima volta il sistema della WASP offre una completa copertura della volta celeste” ha dichiarato il prof. Don Polacco (Queen’s University, Belfast – Irlanda del Nord), membro del team di ricerca.

Dalle osservazioni effettuate e dai dati rilevati, gli astronomi hanno potuto tracciare un primo profilo dei tre pianeti, molto simili a Giove per massa e dimensioni. A differenza del titanico pianeta del nostro sistema solare, i tre pianeti identificati dal WASP orbitano a stretto contatto con la loro stella, a tal punto da compiere un’intera orbita in meno di 48h. Lassù, un anno dura dunque meno di due giorni. La vicinanza alla stella è tale da influenzare pesantemente il clima dei tre pianeti: gli astronomi stimano una temperatura media intorno ai 2000°C, ostile a qualsiasi forma di vita fino ad ora conosciuta.

WASP è il più ambizioso progetto finora realizzato per la scoperta di grandi pianeti. Il sistema di rilevazione, basato su entrambi gli emisferi terrestri, si sta dimostrando molto più efficace e preciso del previsto. La ricerca degli astronomi continua e, chissà, forse un domani porterà alla scoperta di un nuovo pianeta Terra…

Cometa esce allo scoperto con un’esplosione di luce

Una cometa è diventata un milione di volte più luminosa in poche ore, confondendo non poco gli astronomi e inducendoli a pensare di aver scoperto una nuova e vicina stella.

17P Holmes, la cometa dalla misteriosa luminositàTra il 23 e il 25 ottobre, la cometa 17P Holmes è misteriosamente passata da una luminosità di magnitudine 17, cioè 25.000 volte troppo flebile per essere vista a occhio nudo, a una luminosità pari a 2, diventando un milione di volte più luminosa e visibile senza l’ausilio di alcun telescopio.
La cometa è diventata facilmente identificabile, visibile come una comune stella dalla luce gialla e leggermente fuori fuoco.

L’astrofisico Brian Marsden, del Minor Planet Center – Harvard University (USA), ha confermato di aver ricevuto almeno due errate segnalazioni sulla presenza di una nuova stella da quando la cometa 17P Holmes è diventata estremamente luminosa.
Tutte le comete variano il loro livello di luminosità in proporzione al loro avvicinamento al sole. La suggestiva coda di questi corpi celesti è formata dalle particelle di polvere e materiale roccioso che ogni cometa lascia dietro di sé. Questa scia diventa progressivamente più grande e consistente quando la cometa che si avvicina al sole è costituita anche da materiale ghiacciato, che a contatto con il calore solare si scioglie riflettendo quasi tutta la luce che la colpisce.

Nonostante queste conoscenze ormai assodate sul comportamento delle comete, l’impressionante luminosità acquisita dalla 17P Holmes resta ancora un mistero. Questa cometa, infatti, non possiede una coda.
Secondo alcuni ricercatori, il calore solare avrebbe modificato il nucleo ghiacciato della cometa, causandone un improvviso scioglimento che avrebbe poi aperto 17P Holmes come un guscio di un uovo. Gas e polveri sarebbero poi usciti copiosamente dalla cometa, riflettendo con maggior efficacia la luce proveniente dal sole. Questo genere di fenomeni è molto raro, ma non impossibile da realizzarsi. Nel 1973 la cometa P-Tuttle-Giacobini-Kresak divenne improvvisamente luminosa in appena due giorni, senza una causa specifica apparente.

17P Holmes si trova al momento a 320 milioni di chilometri dal sole, cui orbita intorno compiendo un passaggio ogni sette anni. Secondo le osservazioni effettuate negli ultimi secoli, la cometa sarebbe stata già soggetta a questo fenomeno. Quando fu scoperta nel 1892 da Edwin Holmes, questo corpo celeste possedeva infatti una magnitudine pari a 4.
L’esplosione di luce della cometa è destinata a terminare molto rapidamente. Chi fosse interessato ad osservare il fenomeno può consultare questa mappa, per localizzare 17P Holmes nel cielo notturno. In pochi giorni, la cometa si spegnerà tornando invisibile per molti anni. Conviene affrettarsi!

Palloni aerostatici: la nuova frontiera dell’astronomia

Nei primi giorni di ottobre, un enorme pallone aerostatico ampio 100 metri è stato fatto decollare dai cieli del New Mexico, con a bordo 2.500 chilogrammi di materiale per rilevazioni scientifiche.
Questo curioso lancio fa parte di una serie di test preliminari della missione Sunrise, ideata con l’intento di scattare le migliori fotografie mai realizzate del Sole. Queste immagini ad altissima definizione verranno utilizzate per comprendere meglio la possente e caotica struttura del campo magnetico solare, in grado di scatenare violente tempeste che talvolta coinvolgono anche il nostro pianeta.

Il pallone aerostatico lanciato dal New Mexico [credit: Carlye Calvin, UCAR]Il successo del progetto non solo consentirebbe di comprendere alcune caratteristiche della nostra stella, ma potrebbe anche costituire il punto di partenza per una nuova era dell’astronomia, basata sull’utilizzo di efficienti ed economici palloni aerostatici.
Il lancio ufficiale della missione Sunrise è previsto per l’estate del 2009, quando un pallone, equipaggiato con un potente telescopio, sarà lanciato dalla Svezia e portato a una quota di 37 chilometri d’altezza.
Assicurato a un complesso sistema di giroscopi, implementati per rendere minime le vibrazioni, il telescopio sarà in grado di scattare fotografie della superficie solare cogliendo dettagli fino a 30 chilometri di grandezza, sbaragliando di ben quattro volte la concorrenza del miglior telescopio puntato sul Sole in orbita intorno alla Terra. Non male per uno zoom che guarda a quasi 150 milioni di chilometri di distanza…

Ascesa del pallone aerostatico con la strumentazione per i rilevamenti [credit: Carlye Calvin, ©UCAR]Il test, realizzato nei primi giorni di ottobre, ha avuto esiti molto incoraggianti per le sorti del progetto. Riempito di elio, il pallone sì è librato nei cieli del New Mexico a una velocità di 18 chilometri orari. Abbandonata parte della zavorra, il pallone si è poi stabilizzato a un’altitudine di 37 chilometri, lasciandosi trasportare dolcemente dai venti di alta quota.
Sfortunatamente le basse temperature, circa -70°C, hanno compresso parte della strumentazione elettronica che non ha consentito di rilevare tutti i dati inviati dal pallone a terra.
Dopo circa 10 ore i ricercatori hanno interrotto l’esperimento, facendo saltare alcune cariche esplosive per distaccare le strumentazioni dal pallone. Queste sono atterrate regolarmente grazie ad alcuni paracadute che ne hanno addolcito la discesa, mentre il pallone è rimasto in quota più a lungo per poi raggiungere nuovamente il suolo.

Secondo Michael Knölker, responsabile del progetto e direttore dell’High Altitude Observatory del National Center for Atmospheric Research (NCAR) del Colorado, il costo complessivo della missione potrà aggirarsi sui 100 milioni di dollari, una missione spaziale equivalente costerebbe almeno dieci volte tanto. All’ambiziosa e innovativa ricerca partecipano alcuni enti europei e la NASA, molto interessati alle potenzialità di questo nuovo modo di “fare” astronomia.

Paolo Nespoli, un italiano nello Spazio

Ricostruzione in computer graphic della ISS [credit: Esa]Lo Space Shuttle Discovery e i suoi sette membri dell’equipaggio sono regolarmente decollati ieri, martedì 23 ottobre, nei cieli tersi della Florida dal Kennedy Space Centre della NASA.
Durante i 14 giorni di missione, l’equipaggio della STS-120 continuerà la costruzione della gigantesca Stazione Spaziale Internazionale (ISS), collegando il nuovo modulo Harmony alla struttura.

Vista esplosa della ISS [credit: astronautica.us]Per ampliare la stazione orbitale, i membri della missione effettueranno cinque escursioni spaziali. Armati di pinze, chiavi e cacciaviti, provvederanno ad assemblare il nuovo modulo e a compiere alcune operazioni di manutenzione.
Lo Shuttle Discovery attraccherà alla stazione spaziale domani, giovedì 25 ottobre. Il modulo Harmony consentirà di aggiungere un importante tassello alla ISS, apportando nuove risorse per i progetti di ricerca dell’ESA, l’agenzia spaziale europea, e della Japan Aerospace Exploration Agency.

All’astronauta italiano Paolo Angelo Nespoli il difficile compito di coordinare le operazioni di assemblaggio del Nodo2 [photo credit: Wikipedia]La missione di questo Shuttle assume un valore particolare anche per l’Italia, che vede un proprio cittadino nuovamente in orbita per contribuire all’ambizioso progetto della stazione spaziale internazionale. Sarà infatti l’astronauta italiano Paolo Nespoli a occuparsi delle procedure di assemblaggio del modulo Harmony al Nodo2, uno degli angusti “corridoi” dell’ISS.
L’assemblaggio del nuovo modulo non sarà un’impresa semplice. Occorrerà adattare alcuni alloggiamenti già esistenti sulla stazione spaziale, nonché trasferire decine di metri di cavi e tubi, principalmente utilizzati per il ricircolo dell’aria. Queste delicate operazioni saranno svolte a circa 400km di altezza dal suolo, su una struttura che è ormai grande quando un campo di calcio e che orbita intorno alla Terra da circa nove anni, compiendo un giro completo del globo ogni 91,61 minuti.

Come dice il nome stesso STS-120, quella dello Shuttle appena inviato in orbita è il 120esimo volo spaziale organizzato dal programma Shuttle della NASA. Per la navetta Discovery è invece il 34esimo volo in oltre 20 anni di onorato servizio. Sempre per il gusto della statistica, ricordiamo che la missione STS-120 è il 34esimo volo organizzato dagli Stati Uniti verso la Stazione Spaziale Internazionale.

Il lancio della missione STS-120 nei cieli della Florida.

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Gigantesco buco nero scoperto in una vicina galassia

Un team di astronomi ha identificato un buco nero caratterizzato da una massa eccezionalmente pesante, che orbita intorno alla propria stella compagna. Questa scoperta comporterà numerose conseguenze per lo studio dell’evoluzione e delle ultime fasi di vita delle stelle con una massa molto densa.

Rappresentazione artistica di M33/X-7 [credit: © NASA, CXC, M. Weiss]Il buco nero appena localizzato fa parte di un sistema binario (ovvero composto da due stelle che orbitano intorno a un baricentro comune) della galassia M33 a circa tre milioni di anni luce di distanza dalla Terra. Aggregando i dati forniti dal telescopio orbitale a raggi X Chandra della Nasa con quelli forniti dal telescopio terrestre Gemini (Hawaii – USA), è stato possibile stimare con precisione la massa del buco nero, battezzato M33/X-7, in 15.7 volte la massa del Sole. Questa peculiarità rendere M33/X-7 il buco nero più massivo finora scoperto nel Cosmo, formato dal collasso del nucleo di una stella nelle sue ultime fasi di vita.

La galassia M33 si trova a circa tre milioni di anni luce dalla Terra.“Questa scoperta solleva numerose domande su come si sia potuto creare un buco nero di queste incredibili dimensioni” ha dichiarato il prof. Jerome Orosz (San Diego State University – USA), che ha curato la ricerca pubblicata recentemente sull’autorevole rivista scientifica Nature.
M33/X-7 si trova in un sistema binario con una stella compagna che, ogni tre giorni e mezzo, eclissa il buco nero. Questo corpo celeste, inoltre, ha una massa molto ampia, stimabile in 70 volte quella del Sole, tale da renderla la stella maggiormente massiva mai osservata in un sistema binario comprendente un buco nero.

Le singolari proprietà di M33/X-7 e del suo sistema binario sono al momento un vero e proprio enigma per gli astronomi, che faticano a trovare una spiegazione attendibile sulla sua formazione utilizzando i tradizionali modelli di evoluzione dei corpi celesti caratterizzati da una massa molto grande. Alcuni astrofisici ipotizzano che la stella da cui originò il buco nero fosse molto più massiva rispetto alla stella compagna ancora visibile.
Grazie alle sue particolari proprietà, la scoperta di M33/X-7 potrà divenire un’ottima “palestra” per testare e verificare nuove teorie astronomiche legate alle stelle di grande massa.