Deodoranti per ambienti, cancerogeni?

Il mercato dei deodoranti per ambiente è in continua crescita, molto diffusi negli Stati Uniti, questi spray per “rinfrescare” l’aria di casa stanno conquistando i mercati europei. Alcuni promettono di impreziosire l’aria con delicate fragranze, altri ancora sono magnificati per la loro capacità di dissolvere gli odori e non mancano gli spray per tessuti contro l’odore di fumo e fritto.
Vaporizzare uno di questi deodoranti è semplice quanto bere un bicchiere d’acqua, ma quanto sono sicure per la nostra salute le fragranze chimiche contenute nelle bombolette?

Struttura chimica degli ftalati [credit: Wikipedia]Uno studio pubblicato la scorsa settimana negli Stati Uniti dal Natural Resources Defense Council (NRDC) ha testato 14 tipi diversi di deodoranti per ambiente, scoprendo che dodici di essi contengono ftalati, i composti chimici utilizzati nell’industria delle materie plastiche per migliorarne la flessibilità e la modellabilità.
Presenti anche nei cosmetici, nelle vernici e in alcuni giocattoli per bambini, gli ftalati sono da tempo al centro di numerosi dibattiti sulla loro sicurezza per l’organismo umano. Numerosi studi hanno suggerito un legame, almeno indiretto, tra un’alta esposizione agli ftalati e l’insorgenza di gravi patologie come il cancro e deformazioni agli apparati sessuali nei bambini.
Mentre negli Stati Uniti non esiste alcuna regolamentazione per l’uso degli ftalati (ogni Stato applica autonomamente propri regolamenti in materia), dal 2004 l’Unione Europea ha vietato l’utilizzo di due tipi di ftalati utilizzati come ingredienti per i cosmetici e per la costruzione dei giocattoli per neonati.

spray.jpgGli ftalati sono stati ritrovati anche nei deodoranti esplicitamente dichiarati “naturali” o “privi di profumazione”, in una concentrazione che in alcuni caso ha raggiunto 7.330 parti per milione. Molti dei deodoranti per ambiente contengono il DEP, un tipo di ftalato sospettato di creare gravi disfunzioni a livello ormonale.
In seguito all’indagine della NRDC, i produttori di deodoranti coinvolti hanno espresso l’intenzione di voler ripetere i test presso un laboratorio indipendente.

La ricercatrice del Natural Resources Defense Council, Gina Solomon, difende il suo operato: “Non abbiamo affermato che ci sia una prova chiara e incontrovertibile sulla possibile tossicità di questi prodotti. Tuttavia, consigliamo ai consumatori di non abusare con l’utilizzo di questi deodoranti finché non sarà fatta sufficiente chiarezza sul tema.”
La ricerca del NRDC ha riaperto l’annoso dibattito sulla pericolosità degli ftalati. Mentre alcuni studi sui roditori hanno evidenziato che un’elevata esposizione agli ftalati può causare danni ai reni, ai polmoni, al fegato e allo sviluppo completo delle ghiandole sessuali, una ricerca simile condotta da un team di ricercatori giapponesi su una specie di primati non ha evidenziato insorgenze di patologie gravi, né cancerogene né legate agli organi sessuali.

[fonte: Time]

Un interruttore per spegnere il cancro

Una nuova ricerca ha identificato una minuscola molecola in grado di rendere le cellule tumorali del seno più attive e invasive. Questa molecola potrebbe diventare presto un nuovo bersaglio per la cura del cancro.

Molecola di microRNA [photo credit: Wikipedia]Il microRNA è un polimero organico simile al DNA, ma deputato al controllo dell’attività dei geni nei processi di copia del codice genetico in numerose specie di piante e animali. Da elemento fondamentale per la regolamentazione nei processi di riproduzione cellulare, si suppone che talvolta le molecole di microRNA si tramutino in veri e propri nemici dell’organismo in cui si trovano, causando il cancro.
Nonostante non sia ancora completamente chiaro come ciò possa avvenire, recenti studi hanno evidenziato come molti microRNA si sviluppino nelle aree del genoma umano (il nostro patrimonio genetico) che determinano la predisposizione ad alcune tipologie di cancro.

Celulla cancerogena al microscopio elettronicoGuidato dal prof. Robert Weinberg, un gruppo di ricercatori del Whitehead Institute for Biomedical Research (Cambridge, Massachusetts – USA) ha indagato il ruolo del microRNA nella diffusione (metastasi) delle cellule tumorali del cancro al seno.
I ricercatori hanno così identificato un particolare tipo di microRNA, chiamato miR-10b, molto presente e attivo nelle cellule tumorali più aggressive. Bloccando l’azione del miR-10b, il gruppo di ricerca è riuscito nella complicata impresa di diminuire fino a 10 volte l’aggressività di queste cellule tumorali.
Per confermare la loro scoperta, i ricercatori hanno poi introdotto le molecole di miR-10b in alcune cellule “non invasive” del tumore al seno che, in brevissimo tempo, sono diventate altamente aggressive e in grado di produrre estese metastasi.

Pubblicata sulla rivista scientifica Nature, la ricerca condotta da Weinberg e il suo team potrebbe portare a una nuova terapia per la cura del cancro al seno.
Impegnato ad approfondire i legami tra miR-10b e alcuni geni responsabili della moltiplicazione cellulare, Robert Weinberg invita però a non lasciarsi prendere dai facili entusiasmi ricordando che “Non abbiamo ancora una conferma definitiva che intervenendo su miR-10b sia possibile invertire i processi di metastasi.”
Lo studio portato a termine dal team del Whitehead Institute for Biomedical Research ha suscitato grande interesse tra genetisti e oncologi, sempre più convinti che la strada per sconfiggere il cancro passi dalla doppia elica del DNA.

Topolini forzuti contro la distrofia

Topocorsa Dieci anni fa un team di ricercatori della Johns Hopkins University di Baltimora (Maryland, USA) era riuscito nella difficile impresa di creare un topolino dall’incredibile forza fisica, compiendo un balzo da gigante nella complessa ricerca dello sviluppo e della crescita degli apparati muscolari. Il risultato era stato ottenuto escludendo dal patrimonio genetico di alcuni topolini il gene con le istruzioni per produrre la miostatina, una particolare proteina in grado di regolare e limitare la crescita muscolare. I topi culturisti ottenuti da questa selezione godevano di ottima salute e avevano un ciclo di vita simile ai loro parenti più smilzi.

Sulla scia di quell’insperato successo, il team guidato dal prof. Se-Jin Lee ha proseguito alacremente le proprie ricerche, giungendo in questi ultimi giorni a risultati altrettanto sorprendenti. I ricercatori hanno infatti scoperto che stimolando la produzione della follistatina, un’altra proteina responsabile della crescita muscolare, è possibile raddoppiare ulteriormente la già strabiliante crescita muscolare scoperta dieci anni fa. “Se li osservi, i topolini paiono completamente normali, sono solamente un po’ più grossi” ha dichiarato entusiasta il prof. Lee al Guardian.

I muscoli di questi super-topi risultano essere fino a quattro volte più sviluppati rispetto al normale. Le fibre muscolari sono più grandi del 117% e racchiudono un numero maggiore di fasci muscolari, circa il 73%.
Lo scopo della ricerca non è certo finalizzato alla creazione di un team di super-ratti pugili, ma allo studio approfondito delle dinamiche che portano alla crescita e al deperimento delle fibre muscolari, causato da terribili malattie come la distrofia. Il prof. Se-Jin Lee non ha dubbi: “Questa scoperta potrà aiutarci moltissimo nello studio delle malattie muscolari degenerative e della progressiva perdita di tonicità muscolare con l’avanzamento dell’età”.

Un farmaco in grado di inibire la miostatina è già in fase di sperimentazione clinica per trattare con efficacia la distrofia muscolare, mentre è già allo studio un medicinale per aumentare la produzione di follistatina, il cui ruolo nella crescita dei muscoli è stato confermato dalla ricerca dell’università di Baltimora.
Sono circa 60 i tipi fino a oggi conosciuti di distrofia muscolare e neuromuscolare. Queste terribili patologie aggrediscono muscoli e neuroni, rendendoli progressivamente incapaci di muoversi e di trasmettere informazioni. Al momento non esiste cura e da anni numerosi ricercatori cercano di capire il meccanismo genetico, generalmente ereditario, che porta al manifestarsi della malattia.

La conferma delle incredibili proprietà della follistatina non è dunque un punto di arrivo, ma un nuovo punto di partenza. La strada da compiere è ancora lunga.

Farmaci contro l’AIDS per curare il cancro?

Schema stilizzato di una sezione del virus dell’HIV [Wikipedia]Uno dei farmaci utilizzati per curare l’AIDS potrebbe svolgere un “secondo lavoro” curando alcune tipologie di cancro. È la sorprendente conclusione cui è giunto un team di ricercatori statunitensi dopo numerose analisi di laboratorio e una sperimentazione sul campo, appena attivata su un vasto numero di volontari.

Utilizzati per interferire con il ciclo replicativo del virus dell’HIV, gli inibitori di proteasi hanno dimostrato una notevole capacità nel ridurre la velocità di crescita di alcuni tipi di cellule tumorali. Tra tutti i farmaci sperimentati, il nelfinavir si è dimostrato il principio attivo più efficace nel ridurre la corsa alla riproduzione cellulare dei tumori.
Il team di ricercatori è potuto giungere a questo promettente risultato compiendo numerosi e attenti test di laboratorio, in cui sono stati sperimentati sei differenti inibitori di proteasi utilizzati nella cura dell’AIDS. Il nelfinavir ha battuto la concorrenza, dimostrandosi il farmaco più versatile ed efficace, anche contro forme tumorali tenaci come quelle legate al cancro del seno resistenti a principi attivi come il tamoxifen e il trastuzumab.

Non è ancora completamente chiaro come il nelfinavir agisca contro le cellule tumorali. In linea teorica qualsiasi inibitore di proteasi dovrebbe interferire con la crescita cellulare, le proteasi sono infatti particolari enzimi in grado di catalizzare (aumentare la velocità) la rottura dei legami peptidici responsabili della formazione degli amminoacidi (i mattoncini base per costruire le proteine). Eppure solo alcuni principi attivi si sono dimostrati in grado di rallentare effettivamente la crescita delle cellule tumorali. I ricercatori ipotizzano che la diversa reazione sia dovuta all’esistenza di distinte proteasi per l’HIV e il cancro.

Dalla ricerca alla produzione di un nuovo farmaco contro il cancro passano, in media, almeno 15 anni, con una spesa per le analisi di laboratorio che supera abbondantemente il miliardo di dollari, con la costante incognita di non ricevere l’approvazione finale dagli enti nazionali per la sicurezza dei farmaci.
Per ovviare a questi problemi, lo studio statunitense, pubblicato sul prestigioso Clinical Cancer Research, propone l’analisi approfondita dei farmaci già in commercio e “rodati” dopo anni di utilizzo da parte dei pazienti. Il modello pare funzionare. Dopo appena un anno dall’inizio delle sperimentazioni si è infatti già giunti alle prime fasi di test su alcuni volontari affetti da diverse forme tumorali.

“L’obiettivo dei test è la sicurezza e l’assenza di effetti collaterali per i nostri pazienti” ha dichiarato il prof. Phillip A. Dennis, uno degli autori della ricerca. “Quando avremo dati certi sulla sicurezza del trattamento, potremo proseguire le nostre analisi per calibrare i principi attivi su specifiche tipologie di tumore”.
La ricerca potrebbe portare presto a nuovi e sorprendenti risultati, aprendo una nuova e innovativa strada nella ricerca contro il cancro.

Il ritorno delle sanguisughe

Dopo aver perso buona parte della loro fama nel corso dell’ultimo secolo, le sanguisughe potrebbero presto ritrovare un po’ del loro antico smalto nella scienza medica.
Non si tratta di revanscismo medievale o nostalgia per gli antichi ritrovati alchemici, ma di una attenta e scrupolosa ricerca per curare i pazienti affetti da asma e alcune malattie autoimmuni.

Lunghe appena 1.5cm, le sanguisughe sono vermi segmentatiGrandi poco più di un centimetro e mezzo, le sanguisughe sono degli anellidi (vermi segmentati) che vivono in molte zone paludose del nostro pianeta. La specie più conosciuta, e utilizzata nella medicina galenica, è la Hirudo medicinalis, un piccolo verme che cresce e si sviluppa anche alle nostre latitudini. Dotato di un potente apparato buccale “a ventosa”, questo tipo di sanguisuga aderisce alla pelle della propria preda (solitamente mammiferi di media taglia) per poi affondarvi le proprie mascelle e iniziare la suzione di sangue. Nella maggior parte dei casi la preda non si accorge minimamente della presenza della sanguisuga che, per nutrirsi di sangue, inietta un potente anticoagulante e un anestetico per impedire alla vittima di provare dolore. Quando il verme è satollo, stacca la mascella dal derma della preda e si rilascia cadere nelle acque paludose.

Il team di ricercatori guidato dal prof. David Pritchard, della University of Nottingham (Gran Bretagna), ha studiato a lungo gli effetti del particolare anestetico rilasciato dalle sanguisughe sul corpo umano, giungendo a una sorprendente conclusione.
Si è scoperto che la sostanza iniettata dalle sanguisughe, per non far provare dolore alle prede, è in grado di diminuire sensibilmente le risposte immunitarie del nostro organismo. Ciò significa che malattie autoimmuni, causate da un’eccessiva e sproporzionata reazione immunitaria, come la sclerosi multipla, la febbre da fieno e patologie asmatiche potrebbero essere trattate con successo con le sanguisughe.

Una sanguisuga in azione“Il sistema immunitario viene coinvolto dal basso livello di infezione apportato da questi vermi in un modo molto particolare, che potrebbe tramutarsi in una cura per le malattie autoimmuni” ha dichiarato Pritchard ai giornalisti.
I primi risultati dello studio del team di David Pritchard sono molto incoraggianti, ma ancora lontani da conclusioni certe e scientificamente inoppugnabili. I ricercatori hanno già condotto una serie di test per capire con quali dosi e modalità impiegare le sanguisughe sui pazienti. L’esito di questa prima sperimentazione, orientata più sulla sicurezza che sull’efficacia del trattamento, ha evidenziato un’ottima risposta da parte dei pazienti. La maggior parte degli individui trattati con sanguisughe ha affermato di aver tratto notevoli benefici dalla cura, tanto da preferire questi famelici vermi succhia sangue alle tradizionali pastiglie.

La ricerca verrà ora mirata sui pazienti affetti da asma, con test molto severi e scrupolosi per misurare l’effettiva efficacia del trattamento con sanguisughe.
Corsi e ricorsi della medicina…

“Vampiri” allo zucchero

Immaginate di poter mangiare torte, dolci, budini e qualsiasi cibo preparato con lo zucchero senza ingrassare di nemmeno un grammo. Fantascienza? Per noi sicuramente, ma per una particolare specie di mammifero no.

Metabolismo umano [Wikipedia]La maggior parte dei mammiferi, esseri umani compresi, ottiene l’energia per il proprio sostentamento dal metabolismo delle riserve di grasso e glicogeno (una macromolecola del glucosio, il composto organico più diffuso in natura) combinate con i cibi assimilati durante i pasti. Banalizzando molto, possiamo immaginare gli organismi dei mammiferi come complesse stufe, in cui le proteine, i carboidrati e i lipidi sono la legna da bruciare per mantenere sempre accesa ed efficiente la stufa. Quando la quantità di legna accumulata supera la legna effettivamente bruciata, l’organismo accatasta il legname in esubero creando una riserva per i possibili momenti di “magra”.
Questa efficienza energetica è alla base della sopravvivenza di tutti i mammiferi che, in misura naturalmente diversa da specie a specie, possono sempre fare affidamento sulle energie immagazzinate (generalmente sotto forma di lipidi, cioè grassi) e non ancora spese. Ma, come spesso accade, anche in questo caso un’eccezione conferma la regola.

Photo credit: Max Planck Research Centre for Ornithology/York WinterIn natura esiste infatti un mammifero “sprecone”, dotato di un organismo incapace di conservare a lungo le riserve di grasso: il pipistrello del nettare. Questo particolare chirottero ha una dieta molto speciale, povera di grassi e proteine, ma incredibilmente ricca di carboidrati semplici come gli zuccheri. Per mantenersi in volo, questo mammifero consuma quotidianamente ingenti quantità di energia e, non potendo fare affidamento su alcuna scorta, metabolizza direttamente gli zuccheri che assimila svolazzando di fiore in fiore.
Incuriositi da questa singolare peculiarità, un gruppo di ricercatori, guidati dal prof. C. C. Voigt e dal prof. J. R. Speakman, ha indagato le zuccherose abitudini alimentari del chirottero del nettare, arrivando a conclusioni davvero sensazionali.

I ricercatori hanno scoperto che il metabolismo del pipistrello del nettare ha la capacità di adattare il proprio ciclo al tipo di carboidrati semplici assunti durante i pasti. Nutriti in laboratorio con fruttosio (un monosaccaride a lento assorbimento), glucosio o saccarosio (il comune zucchero da tavola) i chirotteri si sono dimostrati in grado di calibrare i propri pasti in funzione della velocità di assorbimento dei tre tipi di carboidrati messi a disposizione dai ricercatori.
Il team di ricerca ha inoltre scoperto che, ogni giorno, i pipistrelli del nettare consumano il 50% delle loro esigue riserve di grasso. Un consumo sorprendentemente alto, mai riscontrato in altre specie di mammiferi.

Saccarosio, lo “zucchero da tavola”Nonostante i chirotteri del nettare consumino ogni giorno la metà dei grassi a loro disposizione, le rimanenti riserve di energia sono perfettamente calcolate per mantenere in vita i pipistrelli nella dozzina di ore di riposo diurno. Questi mammiferi dimostrano quindi una strabiliante velocità nel metabolizzare e trasformare gli zuccheri, senza pari in tutta la famiglia dei mammiferi.
Pubblicato sull’ultimo numero della prestigiosa rivista scientifica Functional Ecology, lo studio di Voigt e Speakman apre nuove e inesplorate vie per la ricerca sul metabolismo dell’insulina e l’insorgenza del diabete nell’uomo. Le incredibili doti metaboliche del chirottero del nettare potranno costituire un valido modello per trovare nuove ed efficaci cure per gli oltre 230 milioni di persone che in tutto il mondo soffrono di questa invalidante patologia.