Produrre energia elettrica con una maglietta all’ossido di zinco

Qualsiasi movimento del nostro corpo richiede, per essere compiuto, una certa quantità di energia. Un gruppo di ricercatori ha recentemente implementato un sistema per recuperare l’energia spesa trasformandola in corrente elettrica grazie a una “power shirt”, una maglietta in grado di produrre elettricità per alimentare piccoli dispositivi portatili.

I ricercatori hanno dimostrato come una particolare fibra tessile ricoperta da minuscoli cavi costituiti da ossido di zinco sia in grado di produrre elettricità, sfruttando l’effetto piezoelettrico. Intrecciati ai comuni capi di abbigliamento, i cavi diventano una fonte di elettricità grazie al movimento di chi li indossa. La medesima tecnologia potrebbe essere applicata anche ai tendaggi e alle tensostrutture per catturare l’energia causata dagli spostamenti d’aria o dalle vibrazioni acustiche.
«Il nanogeneratore basato sulle fibre tessili potrebbe essere una soluzione semplice ed economica per sfruttare i movimenti che compiamo continuamente durante la giornata. Con il giusto mix di fibre naturali e cavi all’ossido di zinco ognuno di noi potrebbe produrre energia elettrica mentre fa una passeggiata» ha dichiarato Zhong Lin Wang, docente al Georgia Institute of Technology, e autore della ricerca da poco pubblicata sulla rivista scientifica Nature. Leggi tutto “Produrre energia elettrica con una maglietta all’ossido di zinco”

Rubbia: Il nucleare in Italia? Non risolverebbe il problema dei costi energetici

Nel corso di una recente trasmissione televisiva, il premio Nobel per la fisica Carlo Rubbia ha spiegato la sua visione sul delicato tema dell’energia nucleare. A chi propone la tecnologia delle centrali nucleari come unica risposta al problema di approvvigionamento energetico per l’Italia, Rubbia ha risposto con queste parole.

Carlo Rubbia«Dobbiamo tener conto che il nucleare è un’attività che si può fare soltanto in termini di tempo molto lunghi. Noi sappiamo che per costruire una centrale nucleare sono necessari da cinque o sei anni, in Italia anche dieci. Il banchiere che mette 4 – 5 miliardi di Euro per crearla riesce, se tutto va bene, a ripagare il proprio investimento in circa 40 – 50 anni.

«C’è un secondo problema: un errore che spesso la gente compie. Si pensa che il nucleare possa ridurre il costo dell’energia. Questo non è vero: un recente studio ha dimostrato, per esempio, che i costi per il nucleare in Svizzera continueranno ad aumentare.
I costi per il nucleare variano notevolmente da paese a paese: in Germania ha un prezzo di circa due volte e mezzo in più rispetto a quello francese. Ciò è dovuto al fatto che il nucleare in Francia è stato finanziato per anni dallo Stato, quindi dai cittadini. Ancora oggi, le 30.000 persone che lavorano per il nucleare francese sono pagate grazie agli investimenti massivi dello Stato. L’aumento del numero di centrali atomiche nel mondo in questi ultimi anni ha causato, inoltre, un considerevole aumento del costo dell’Uranio, che difficilmente tornerà a scendere. Il nucleare è dunque molto costoso, anche nel lungo periodo. Leggi tutto “Rubbia: Il nucleare in Italia? Non risolverebbe il problema dei costi energetici”

Un “chip laboratorio” per studiare il cervello

Un gruppo di ricercatori della Johns Hopkins University ha sviluppato un mini laboratorio grande quanto un chip, appositamente progettato per riprodurre la complessità chimica del nostro cervello. Il sistema dovrebbe consentire agli scienziati di capire con maggior precisione il funzionamento delle cellule nervose, nonché la loro capacità di unirsi e fondersi in strutture più complesse che danno poi vita al sistema nervoso vero e proprio.

«Il chip che abbiamo sviluppato consentirà di condurre esperimenti sulle cellule nervose in maniera molto più semplice e rapida» ha dichiarato Andre Levchenko, docente di ingegneria biomedica all’Institute for NanoBioTechnology della Johns Hopkins.
Le cellule nervose stabiliscono in che direzione crescere in base all’ambiente chimico in cui si trovano e agli altri apparati cellulari che le circondano. Il chip, realizzato con una sostanza simile alla plastica e ricoperto di vetro, è dotato di microscopici canali e incavi che consentono ai ricercatori di tenere sotto controllo la composizione chimica dell’ambiente in cui “galleggia” la cellula nervosa. Leggi tutto “Un “chip laboratorio” per studiare il cervello”

Farsi riconoscere a prima vista da un computer

mascheraviso.jpgNonostante i sistemi di acquisizione di immagini siano sempre più precisi e sofisticati, i computer continuano a essere molto poco accurati nei processi di riconoscimento visuale. Da tempo numerosi ricercatori cercano di “insegnare” agli elaboratori a distinguere e riconoscere con precisione diversi visi umani. Gli esperimenti finora condotti non hanno sortito grandi risultati, ma un innovativo sistema elaborato da alcuni ricercatori della University of Glasgow (Regno Unito) potrebbe portare il riconoscimento visuale a una svolta epocale.

Riconoscere una persona poco conosciuta è spesso difficoltoso per un comune essere umano, figurarsi per una macchina priva di capacità cognitive complesse. Man mano che un viso diviene più familiare, però, il cervello umano impara a collegare una determinata fisionomia con un nome e a riconoscerne l’identità anche in una comune fotografia. Partendo da questo presupposto, Rob Kenkins e A. Mike Burton hanno elaborato un modello matematico in grado di descrivere i processi cognitivi attivati dalla nostra mente per imparare a riconoscere il viso di una persona. I due ricercatori sono così giunti alla conclusione che il nostro cervello sommi differenti immagini della medesima persona, fissando poi nella nostra memoria un’immagine “media” del viso da ricordare. Un collage di ricordi legati alle espressioni e alle caratteristiche della fisionomia di una faccia sotto diverse angolazioni.

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Presto obbligatori i siti di stoccaggio di CO2 in Europa?

Modello molecolare dell’anidride carbonica [photo credit: Wikipedia]L’Unione Europea potrebbe presto costringere le nuove centrali, che utilizzano combustibili fossili per la produzione di energia, a dotarsi di appositi siti di stoccaggio (CSS) per la conservazione dell’anidride carbonica. La proposta dovrebbe essere presentata la prossima settimana e vincolerà la costruzione di nuovi centrali elettriche alla presenza di spazi idonei per la compressione e il mantenimento della CO2. I costruttori saranno quindi tenuti a dimostrare la sussistenza dei prerequisiti necessari al mantenimento di un CSS prima di ottenere il permesso definitivo per l’installazione della nuova centrale. Una volta ratificata dal Parlamento Europeo, la direttiva potrebbe essere adottata già nei primi mesi del 2009.

Secondo gli esperti consultati dalla Commissione Europea, i CSS potrebbero contribuire a un sensibile abbattimento delle emissioni di anidride carbonica, che potrebbe aggirarsi intorno a 1/3 entro il 2050 se correttamente utilizzati. Con il provvedimento al vaglio del Parlamento Europeo, il Vecchio Continente si pone all’avanguardia nello sviluppo e utilizzo dei siti di stoccaggio per la CO2. L’impiego di appositi incentivi dovrebbe favorire l’adozione dei CSS, tecnologia ancora molto costosa e non priva di difetti.

Centrale elettrica dotata di CSSIsolare l’anidride carbonica dai gas di scarico emessi da una centrale è un processo estremamente costoso e che diminuisce sensibilmente l’efficienza delle centrali a carbone. Anche a causa di questi motivi, i CSS non sono ancora utilizzati dagli Stati europei. Norvegia e Gran Bretagna hanno da tempo elaborato alcuni progetti pilota, che dovrebbero essere realizzati nei prossimi anni.
Il procedimento più utilizzato per la rimozione della CO2 dai gas di scarico è quello della post-combustione. L’anidride carbonica viene isolata, compressa e stoccata in apposite cisterne. Attraverso il trasporto su gomma, via mare o gasdotto, la CO2 viene poi stoccata definitivamente in appositi siti. Leggi tutto “Presto obbligatori i siti di stoccaggio di CO2 in Europa?”

Le super-batterie non sono più un’utopia

Nonostante le costanti migliorie, i dispositivi elettronici portatili continuano ad avere un vero e proprio tallone d’Achille: i tempi di autonomia delle batterie. Un nuovo passo avanti nelle nanotecnologie potrebbe, però, portare presto a una nuova generazione di “serbatoi” di energia elettrica.
Un particolare tipo di batterie agli ioni di litio, recentemente implementato, è infatti in grado di immagazzinare molta più energia: fino a dieci volte in più rispetto alle attuali batterie. Teoricamente, questo nuovo tipo di batteria potrebbe alimentare per giorni un computer portatile o un’automobile elettrica in grado di compiere centinaia di chilometri con una sola ricarica. I tempi di commercializzazione non saranno, però, molto brevi.

Rappresentazione schematica di un atomoL’importanza della scoperta risiede nella possibilità di aumentare considerevolmente la capacità di carica di ogni singola batteria. Quando un accumulatore di energia viene ricaricato, gli ioni di litio caricati positivamente “rubano” un elettrone alla fonte di energia e migrano verso l’anodo. Durante l’utilizzo della batteria, gli ioni di litio restituiscono l’elettrone che avevano sequestrato e, migrando verso il catodo, forniscono l’energia per far funzionare il dispositivo cui è collegata la pila. Generalmente gli anodi sono costituiti da microscopici strati di atomi di carbonio: ne occorrono mediamente sei, di questi atomi, per ospitare ogni singolo ione di litio. Il silicio è, invece, molto più efficiente: occorrono appena quattro atomi di questo materiale per trattenere ogni singolo ione di litio.
Partendo da questo presupposto, i ricercatori hanno provato a costruire degli anodi costituiti da atomi di silicio e non più di carbonio. In un primo momento, i risultati sono stati molto meno incoraggianti del previsto. Gli ioni di litio, infatti, hanno letteralmente polverizzato gli strati atomici di silicio, diminuendo così la complessiva efficienza della batteria.

Nanofibre di silicio [Credit: C. K. Chan et al., Nature Nanotechnology, Advance Online Publication (16 December 2007)]Il team guidato dal ricercatore Yi Cui, Stanford University (Palo Alto, California), non si è però dato per vinto. Dopo numerosi tentativi, il gruppo di ricerca specializzato in nanotecnologie è riuscito a sviluppare un supporto costituito da microscopiche fibre di silicio in grado di resistere alle sollecitazioni causate dagli ioni di silicio. Così facendo i ricercatori hanno raggiunto una buona efficienza energetica che potrebbe rivelarsi il futuro asso nella manica delle batterie per i dispositivi portatili.
La ricerca di Yi Cui, recentemente pubblicata su Nature Nanotechnology, dimostra come la nuova soluzione tecnologica delle nano-fibre sia in grado di prolungare fino a dieci volte la durata standard di una batteria. Occorrerà ancora del tempo perché la miglioria apportata da Yi Cui possa finire nei nostri iPod o computer portatili. Tuttavia, ciò che un tempo pareva essere un semplice sogno, si sta trasformando sempre di più in un concreto futuro.