L’evoluzione non ingrana mai la retromarcia, almeno secondo un recente studio. Alcuni ricercatori hanno infatti dimostrato come l’inversione della pressione selettiva, ciò che spinge verso l’evoluzione delle specie, non comporti l’inversione di marcia di una biomolecola verso uno stadio precedente.
I risultati della ricerca aggiungono dunque un nuovo argomento a supporto della teoria secondo cui i processi evolutivi non tornano mai indietro. Un tema complesso, approcciato già nel corso del diciannovesimo secolo, che ha portato numerosi studiosi ad analizzare l’evoluzione di alcuni tratti visibili delle specie, comparando le caratteristiche attuali con quelle dei reperti fossili. Un’operazione spesso resa difficoltosa dalla mancanza di sufficienti reperti e informazioni per comprendere l’intero processo evolutivo di una singola specie.
Insieme ad alcuni colleghi, Joseph Thornton (University of Oregon – USA) ha deciso di cambiare approccio e di analizzare l’evoluzione di qualcosa più facile da tracciare come una singola proteina. Lo studio ha così interessato i 450 milioni di anni del processo evolutivo del recettore del glucocorticoide (GR), una proteina riconducibile all’ormone del cortisolo che ne regola la reazione negli animali. Il GR è formato da sequenze di aminoacidi, i mattoncini che costituiscono le proteine, dunque raccogliendo tali sequenze da alcuni animali, il gruppo di ricerca è riuscito a ricostruire la mappa dell’evoluzione della proteina e i suoi “antenati”.
I ricercatori hanno così scoperto che intorno ai 440 milioni di anni fa, GR modificò le proprie caratteristiche. La proteina iniziale, battezzata dai ricercatori GR1, rispondeva a due ormoni – il cortisolo e l’aldosterone – ma 40 milioni di anni dopo la proteina divenne specifica per il solo cortisolo tramutandosi dunque in GR2. Tale processo evolutivo avvenne in concomitanza con la suddivisione tra pesci cartilaginei (squali, razze…) e pesci ossei (la maggior parte delle specie ittiche esistenti) e successivamente con la comparsa dei primi animali terrestri a quattro zampe.
Nel corso della finestra temporale dei 40 milioni di anni, gli scienziati hanno registrato il cambiamento di 37 aminoacidi. Solamente due di questi mattoncini furono responsabili del cambiamento dei gusti della proteina: uno modificò la struttura della proteina rendendola incapace di rispondere ai due ormoni, mentre un altro consentì alla nuova molecola di interagire nuovamente ed esclusivamente con il cortisolo.
I ricercatori si sono così posti una semplice domanda: rendendo GR2 in grado di riconoscere nuovamente sia il cortisolo che l’aldosterone, potremmo riportare la proteina allo stadio GR1 invertendone dunque il processo evolutivo? La risposta, come documenta il team di ricerca sulla rivista scientifica Nature, è giunta semplice e netta dopo alcune prove di laboratorio: No.
Il tentativo di mettere la retromarcia all’evoluzione della proteina ha infatti portato a un risultato inatteso. Oltre a non recuperare la sua capacità di riconoscere le due differenti tipologie di ormoni, la proteina è divenuta incapace di riconoscere qualsiasi ormone. Uno studio del fenomeno ha consentito ai ricercatori di scoprire altri cinque aminoacidi coinvolti nel passaggio da GR1 a GR2. Questi mattoncini hanno portato a cambiamenti casuali senza sortire alcun effetto significativo nelle funzionalità della proteina. Mettendo la retromarcia al processo evolutivo, però, questi aminoacidi hanno impedito un ritorno alle origini facendo collassare diversi tratti della proteina.
Per tornare da GR2 a GR1, hanno concluso i ricercatori, le mutazioni apportate dai 5 aminoacidi andrebbero invertite prima di avviare la retromarcia così da evitare l’implosione della proteina. Questi aminoacidi non hanno però alcun effetto sulle capacità della proteina di riconoscere una data tipologia di ormoni e dunque non potrà mai esservi alcuna pressione selettiva per invertire tali mutazioni.
Il processo evolutivo fa terra bruciata alle proprie spalle.